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Deputazioni per il Catasto (Granducato di Toscana e Toscana napoleonica)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Deputazioni sull’estimo di Firenze e Siena (1778-1785)

Catasto napoleonico (1807-1814)

Deputazione sopra il Catasto (1817-1825)

Soprintendenza alla Conservazione del Catasto ed al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade (1825-1834)

Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto (1834-1849)

Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato (1849-1862)

Cancellerie comunitative, Agenzie delle Imposte, Uffici Distrettuali delle Imposte Dirette poi Uffici Tecnici Erariali (1862-oggi)

I vari uffici creati dai diversi governi (granducale, borbonico, napoleonico e poi nuovamente granducale) che tra il 1778 e il 1817 ressero la Toscana dovevano realizzare il catasto geometrico particellare secondo i modelli sabaudo-teresiano affermatisi intorno alla metà del XVIII secolo.
In effetti, il catasto geometrico si stava imponendo all’attenzione di molti riformatori illuminati non solo come strumento di perequazione fiscale, atto ad eliminare le grandi differenze prodotte nel tempo sul piano sociale (a tutto vantaggio dei ceti della grande proprietà aristocratica ed ecclesiastica), ma anche come un mezzo per dotare le comunità locali delle entrate indispensabili per la loro gestione e per incentivare gli investimenti agrari: in altri termini, il catasto geometrico venne inteso dai riformatori come strumento di innovazione insieme sociale ed economica, e questo fatto spiega – al di là delle rilevanti difficoltà tecniche – l’opposizione manifestata dai ceti privilegiati che per molti anni (fino alla dominazione napoleonica e alla Restaurazione) impedì la concreta realizzazione dell’operazione.
Il catasto ferdinandeo-leopoldino fu realizzato infatti tra il 1817 e il 1832 (come prosecuzione delle operazioni avviate da Napoleone nel 1807-08), e deve essere considerato il primo dei catasti moderni, del tutto appoggiato com’era ad una triangolazione primaria generale – incardinata su 767 stazioni angolari (dalle quali si dominavano 7515 visuali) e su 2505 triangoli di cui 157 conchiusi – iniziata fin dal 1816 ed eseguita in circa un decennio.

Deputazioni sull’estimo (Firenze e Siena). In collegamento con la radicale riforma delle comunità avviata nel 1772-73 e conclusa nel 1783-84, con Motuproprio granducale del 5 Gennaio 1778 venne costituita la Deputazione sull’estimo del distretto fiorentino composta dal Soprassindaco Senatore Cavaliere Giovan Battista Nelli, dal Commissario degli Innocenti Giovanni Neri, dal Provveditore del Monte di Pietà Conte Federigo Barbolani da Montauto, dal Sottoprovveditore alla Camera delle Comunità Carlo Ippoliti e dal segretario Pagnini. La Deputazione nacque con il compito di esaminare – come si legge nel Motuproprio – “se convenga per il bene dello Stato il fare nuovi Estimi per tutte le Comunità […], quale sarebbe il metodo il più sicuro da tenersi, per conoscere il vero valore dei terreni, e repartire con giustezza le pubbliche gravezze, e propongano le regole, e Istruzioni da osservarsi per la più retta esecuzione” (ASF, Segreteria di Finanze. Affari prima del 1788, 896, Inserto “1778”, c. 1).
Nel marzo 1778, su ordine di S.A.R., fu istituita pure una Deputazione sull’Estimo della Provincia Senese formata dalla Balìa di Siena e composta da 4 o 5 soggetti, tra i quali Pandolfo Spannocchi e il Cancelliere Marc’Antonio Sciarelli. Questa Deputazione aveva il compito di esaminare e proporre il modo di formare gli estimi per le Comunità della Provincia Superiore di Siena, collaborando al progetto con la Deputazione fiorentina (ASF, Segreteria di Finanze. Affari prima del 1788, 984: “Compartimento delle Comunità della Provincia Superiore di Siena”, ins. 1778), o “in altra Comunità che abbia chiesto la confezione di un nuovo Estimo, e che abbia dei terreni parte in piano, e parte in poggio, o costa”. Il sovrano disponeva, inoltre, che per questa prima prova, che era interamente a spese del governo, non venisse pubblicato un editto statale ma si facesse una notificazione sottoscritta dal cancelliere comunitativo, contenente tutte le informazioni che si riteneva opportuno rendere pubbliche. Si lasciava pertanto facoltà alla Deputazione di scegliere la comunità da cui iniziare l’operazione e di redigere la dovuta notificazione.
Nell’ottobre 1778, la Deputazione fiorentina ordinò un primo rilevamento catastale (corredato di mappe dei beni e di stime) in alcune comunità campione che potesse servire da prova per un catasto generale: furono scelte le Comunità di Montecatini, Montevetturini e Monsummano che facevano parte di un’unica cancelleria (ASF, Segreteria di Finanze. Affari prima del 1788, 896, Inserto “1778”, cc. 805-807). Questa operazione in Valdinievole fu condotta (tra la primavera del 1779 e quella del 1780) dall’ingegnere Francesco Bombicci e come stimatori furono incaricati Paolo Piccardi e Luca Antonio Billi coadiuvati da Francesco Betti, pubblico agrimensore, e Mattia Caparrini, fattore dell’azienda granducale di Poggio Imperiale.
Nell’estate del 1780 presero il via le operazioni catastali anche in alcune comunità della Montagna Pistoiese, sempre condotte da Francesco Bombicci, questa volta con l’aiuto dell’ingegnere Gio. Niccola Mazzoni di Pietrasanta; l’operazione venne portata a compimento nel 1784-85.
Con Motuproprio del 18 luglio 1782 venne eletta una seconda deputazione con il compito di prendere in esame i materiali sulle operazioni catastali fino ad allora eseguite nelle comunità campione al fine di esprimere un parere definitivo. Ne fecero parte i vecchi membri Neri e Pagnini a cui vennero affiancati Serristori, Mormorai e Gianni.
Nel 1782 si attivarono le operazioni catastali nelle comunità di Massa e Cozzile, Buggiano, Uzzano e Pescia sempre in Valdinievole, ma questa operazione, eseguita ancora dal Bombicci, non giunse a compimento.
Tra il 1780 e il 1785 vennero realizzati gli estimi delle comunità senesi di S. Quirico d’Orcia e Chiusi condotti dall’ingegnere Bernardino Tozzetti, coadiuvato dall’agrimensore Antonio Faleri, e come stimatori dagli altri agrimensori senesi Francesco Mannucci e Francesco Rigacci.
Per la forte opposizione della grande proprietà terriera che trovò ascolto anche all’interno della deputazione, il granduca nel 1785 decise di interrompere tutte le operazioni catastali e di lasciare le comunità libere di adeguare i propri catasti con procedure geometriche oppure soltanto descrittive: procedure, queste ultime, prescelte pressoché da tutte le comunità granducali (Biagioli, 1975, pp. 7-13).

Catasto napoleonico. Già il nuovo sovrano del Regno d’Etruria, Ludovico di Borbone, con legge dell’11 agosto 1802, prefigurò la “compilazione di un nuovo generale Estimario” che tuttavia non ebbe seguito “per timore da parte del governo delle spese che tale operazione avrebbe comportato”.
Occorre attendere la fine del 1807 e l’annessione all’Impero Francese del Regno d’Etruria perché anche in Toscana venisse nuovamente posto su basi attuative il problema del catasto geometrico che in Francia era stato avviato a titolo sperimentale, in alcune comunità, con il decreto del 3 novembre 1802.
Due istruzioni del 1° dicembre 1807 e del 20 aprile 1808 ordinarono la catastazione in tutti i dipartimenti dell’Impero, mentre altre due leggi del 29 ottobre e 5 novembre 1808 indicavano i metodi di stima.
Per quanto riguarda la Toscana, durante quello stesso anno 1808 venne decisa la messa a disposizione di tre ingegneri verificatori e di un numero imprecisato di geometri-misuratori e di periti di stima affinché le operazioni potessero concludersi nell’arco di un quadriennio.
Ma l’inizio dei lavori fu a lungo bloccato dal problema delle troppo estese comunità dell’ex Granducato, fatto che rendeva impossibile l’applicazione del sistema di triangolazione e mappatura già in uso oltralpe, ove la maglia comunitativa era molto più fitta. Così, tra la fine del 1808 e l’estate del 1810 si tentò di risolvere questo problema di fondo (con la lucida opposizione del geografo imperiale Giovanni De Baillou, specificamente incaricato di progettare la drastica semplificazione del reticolo amministrativo), finché il governo francese dovette convincersi dell’impossibilità e dell’inopportunità di attuare una sorta di controriforma amministrativa.
Venne allora scelto un sistema diverso, col fare la triangolazione in ciascun comune “comme on fait en France celle de tout un canton”, e poi col dividere ogni comune in 4 o 5 parti o sezioni designate col nome del principale comunello o popolo, per fare una mappa in scala 1:2500 o 1:5000 per ciascuna sezione, e poi una sola rappresentazione per l’intera comunità (i quadri d’unione) in scala 1:10.000 o 1:20.000.
Dopo che il geodeta francese Puissant ebbe collegato la triangolazione della Corsica (già realizzata dal Tranchot) con le isole e con vari punti della costa della Toscana, nell’agosto 1810 le operazioni poterono finalmente cominciare in alcuni comuni del Dipartimento del Mediterraneo (Fauglia e Collesalvetti), per estendersi un po’ a tutta la regione nel corso del 1811. I lavori andarono comunque a rilento per difficoltà di ordine politico, finanziario e tecnico, tanto che al momento della caduta dell’Impero le operazioni erano state concluse o condotte a buon punto solo in una quarantina di comunità su 245, con molte mappe che – dopo essere state acquisite dal restaurato governo lorenese con la ripresa dei lavori nel 1817 (oggi sono conservate insieme alle mappe del catasto ferdinandeo-leopoldino nel vari archivi di stato della Toscana) – assai più dei registri descrittivi e delle stime furono considerate imprecise, talora anche in modo intollerabile, soprattutto perché i lavori di triangolazione locale non avevano potuto essere incardinati in una triangolazione generale della Toscana e dell’Italia centro-settentrionale.
Riguardo al personale impiegato, le poche notizie disponibili confermano che questo fu in grandissima parte francese: dei tre ingegneri verificatori solo Luigi Campani era toscano. Alle loro dipendenze lavorarono decine di geometri di prima e seconda classe e stimatori, alcuni toscani (come Prospero Badalassi, Graziano Capaccioli e il Braccesi nel Dipartimento del Mediterraneo sotto la direzione del Campani, e come il Franceschi a Sesto Fiorentino), appositamente formati dal personale francese, che avrebbero poi messo la loro qualificazione professionale al servizio del catasto lorenese del 1817-34 (Biagioli, 1975, pp. 14-35).
Come già detto, Luigi Campani fu l’unico ingegnere verificatore toscano impiegato nei lavori catastali. Giovanni Inghirami ne fece le lodi già nel 1818, cioè a catasto ferdinandeo appena avviato, non solo per la riconosciuta abilità professionale, ma anche per la strumentazione davvero innovativa: già nel 1810, per eseguire le operazioni della triangolazione primaria, Campani si era infatti privatamente dotato “di un circolo moltiplicatore del celebre costruttore parigino Etienne Lenoir” – anche i suoi subordinati erano stati dal medesimo obbligati ad usare “teodoliti pregevoli” (Biagioli, 1975, pp. 23-24 e 51) – e non mancava di chiedere l’aiuto attivo del concittadino scienziato Inghirami non solo per le misurazioni (aiuto che infatti ottenne), ma anche poter convincere il governo a costruire un solido inquadramento geodetico nel territorio pisano-livornese, vale a dire il Dipartimento del Mediterraneo, dove stava operando.
Il 16 gennaio 1812 Campani rivela ad Inghirami il suo convincimento, in contrasto con gli indirizzi governativi che non ne tennero conto, e cioè “che è indispensabile prima una generale triangolazione a uso Cassini in tutto il Dipartimento per avere nella vera posizione ciaschedun Paese e formare così un Canevas trigonometrico bellissimo, facendo i triangoli di primo, secondo e terzo ordine […]. Io farei tutte le osservazioni, i suoi allievi i calcoli. Bisogna dunque fare un ragionato rapporto dimostrando fino all’evidenza: 1°, la necessità di questa operazione; 2°, che non cresce nulla di spesa allo Stato perché l’operazione che si fa separatamente per ciascheduna Comune venendo pagata ai rispettivi geometri si può pagare all’ingegnere geometra in capo che sarebbe incaricato di questa operazione, e che i geometri trovano fatta; 3°, che la triangolazione in generale riattacca meglio tutti i punti e l’insieme delle Comuni, mentre a farla separatamente non può venire così esatta; 4°, si ottiene una Carta Dipartimentale utilissima a tante operazioni dello Stato; 5°, si abbrevia nel suo totale l’operazione del Catasto”.

Deputazione sopra il Catasto. Dopo che lo Stato Pontificio ebbe ripreso i lavori avviati dai francesi e dopo che i principali ministri toscani (fra i quali Vittorio Fossombroni) si furono pronunciati a favore del catasto, il restaurato granduca Ferdinando III ordinò l’inizio delle operazioni con motuproprio 7 ottobre 1817: il 24 novembre dello stesso anno venne insediata la Deputazione sopra il Catasto formata da illustri studiosi come i matematici dello Studio Pisano Pietro Paoli, Pietro Ferroni e Leonardo Frullani, l’astronomo e geografo dell’Osservatorio Ximeniano Giovanni Inghirami, il celebre naturalista ed economista Giovanni Fabbroni, e i proprietari agronomi Emilio Pucci e Lapo de’ Ricci, evidentemente scelti con il compito di stabilire le modalità delle operazioni di rilevamento, delle descrizioni e stime dei beni (terreni e fabbricati non colonici), e in ultima analisi perché potessero garantire “un catasto accettabile senza grosse opposizioni” da parte dei ceti agrari (Biagioli, 1975, p. 41).
I lavori – facendo ricorso in via prioritaria ai tecnici che avevano avuto esperienza durante la catastazione napoleonica – poterono prendere il via nel 1819 grazie alla pubblicazione, con il contributo determinante del Ferroni, di un fascicolo di Istruzioni e Regolamenti (con aggiornamento definitivo nel 1821), con utilizzazione anche dei materiali lasciati dai francesi o fatti arrivare appositamente da Parigi.
Le operazioni sul terreno e i lavori a tavolino relativi all’impianto catastale procedettero speditamente, grazie anche al sistema adottato del compenso a cottimo agli operatori, fino alla loro ultimazione nel 1826, fatte salve le molte correzioni alle 8567 mappe in scala 1:2500 e 1:5000 e ai 242 quadri d’unione comunali a più piccola scala (quasi sempre tra 1:10.000 e 1:20.000), alle descrizioni e stime che si resero necessarie per rimediare ai frequenti errori di topografia o di estimo agrario, e che richiesero ancora circa un quinquennio. Solo per le isole i lavori iniziarono e si conclusero rapidamente nei primi anni ’40.
Le operazioni di misura furono dirette dall’Inghirami che – dopo aver verificato gli errori presenti nelle misure della piccola base trigonometrica costruita nel 1808 a Firenze dall’astronomo tedesco barone de Zach e nella triangolazione francese della Corsica della fine del XVIII secolo diretta dal Tranchot e dall’altro geodeta Puissant collegata alle isole e alla costa della Toscana durante l’occupazione napoleonica in previsione del nuovo catasto – nell’estate 1817 misurò la nuova e più lunga base San Pietro a Grado-Palazzo ai Ponti di Stagno sulla quale appoggiare il primo triangolo della rete trigonometrica della Toscana.
L’Inghirami si incaricò quindi della triangolazione generale di primo grado (incardinata su ben 767 punti) che doveva servire da fondamento “per la triangolazione di secondo grado, che restava affidata a tre ingegneri ispettori [Luigi Campani nel Pisano, Belli nel Senese e Francesco Guasti nel Fiorentino], ed era destinata a coprire l’intera superficie di ogni Comunità, come pure a fornire le coordinate geografiche. Gli ispettori avevano il compito iniziale di visitare e definire i confini delle Comunità del Granducato, mantenendo il più possibile la delimitazione decisa in periodo francese” e ove necessario provvedere alla razionalizzazione dei confini attraverso il loro dimensionamento su strade e corsi d’acqua. “Essi dovevano inoltre suddividere le comunità in sezioni ai fini della compilazione delle mappe, e controllare l’opera dei [numerosi] geometri. Questi ultimi, divisi in due classi [68 per la prima e 195 per la seconda] come in periodo francese, eseguivano il rilievo effettivo, non trigonometrico, delle comunità. I risultati dei loro calcoli, ottenuti con una misura reale, dovevano concordare con quelli desunti dagli ispettori con l’ausilio degli strumenti diottrici di precisione” (Biagioli, 1975, pp. 49-54).
L’attivazione del catasto per la terraferma avvenne con motuproprio del 4 giugno 1832. A partire da quella data, all’impianto si aggiunsero i nuovi materiali cartografici e descrittivi delle cosiddette volture, prodotti per l’aggiornamento graduale del catasto lorenese: un’opera minuta che sarebbe terminata solo con la realizzazione del nuovo catasto italiano alla fine degli anni ’30 del XX secolo (Biagioli, 1975, pp. 36-83).

Soprintendenza alla Conservazione del Catasto ed al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade.
Già nel 1825 (a lavori catastali ancora in corso), la Deputazione venne assegnata alle dipendenze della nuova Soprintendenza alla Conservazione del Catasto ed al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade, che nel 1834 mutò la sua denominazione in Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto.

Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato; Cancellerie comunitative, Agenzie delle Imposte, Uffici Distrettuali delle Imposte Dirette poi Uffici Tecnici Erariali. Nel 1849 la Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto, trasformandosi in Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato, perse ogni competenza sul catasto.
I materiali catastali – con i compiti della loro conservazione e aggiornamento – furono trasferiti alle Cancellerie comunitative. Nel nuovo Regno d’Italia, questi uffici periferici furono riordinati con la denominazione di Agenzie delle Imposte nel 1875, finché – in seguito alla creazione della Direzione Generale del Catasto presso il Ministero delle Finanze – le Agenzie assunsero il nome di Uffici Distrettuali delle Imposte Dirette e poi di Uffici Tecnici Erariali.

Produzione cartografica

La catastazione geometrica tardo-settecentesca ha prodotto qualche centinaio di mappe con relativi registri descrittivi conservati in vari fondi degli Archivi di Stato di Firenze, di Pistoia-Pescia e di Siena e in diversi archivi comunali.
Dalle catastazioni napoleonica e lorenese ferdinandeo-leopoldina, solo per l’impianto, sono scaturite quasi 9000 fra mappe in scala 1:2500 e 1:5000 e quadri d’unione comunali in scala ridotta variabile fra 1:10.000 e 1:50.000 (con registri descrittivi quali Tavole indicative e Campioni dei proprietari e delle comunità, nonché altre documentazioni scritte preparatorie come i Rapporti di stima e le Repliche dei gonfalonieri ai quesiti agrari): tutti materiali conservati – con gli aggiornamenti prodotti successivamente all’attivazione – negli Archivi di Stato dei capoluoghi delle province toscane, per i territori di loro specifica pertinenza.

Operatori

Deputazioni sull’estimo (1778-85): Francesco Bombicci e Gio. Niccola Mazzoni (estimi fiorentini, 1778-1785); Bernardino Tozzetti e Antonio Faleri (estimi senesi, 1780-1785).
Catasto napoleonico (1807-14): Luigi Campani, Prospero Badalassi, Graziano Capaccioli, Baldassarre Marchi, Braccesi.
Catasto ferdinandeo-leopoldino (1817-34): La triangolazione primaria generale fu eseguita in circa un decennio, dal 1816 in poi, da Giovanni Inghirami, dai suoi collaboratori astronomi dell’Osservatorio Ximeniano Cosimo Del Nacca, Numa Pompilio Tanzini, Giuseppe Pedralli, Leopoldo Pasqui, e dai giovani allievi Giovacchino Callai e Pellegrino Papini di Firenze e Ferdinando Mingazzini di Imola (Rombai, 1989, pp. 37, 56, 59, 72, 78, 91-95, 98, 114 e 117).
Alle operazioni di triangolazione secondaria e di misurazione e rilievo topografici furono addetti, tra gli altri, gli ingegneri ispettori: Luigi Campani per il Pisano, Francesco Guasti per il Fiorentino e Belli per il Senese; e gli ingegneri e geometri di prima e seconda classe (non pochi di essi allievi dell’Inghirami o degli altri collegi scolopi toscani): Baglini Luigi, Bagnoli Luigi, Barboni Francesco, Becattini Giuseppe, Gaetano Becherucci, Ippolito Bordoni, Graziano Capaccioli, Capecchi, Cerri Lorenzo, Cerrini, Giuseppe Faldi, Angelo Falorni, Fossi, Frassi, Galli, Luigi Ganucci di Radicofani, Guidi Giovan Domenico, Livi Giuseppe, Magheri Giuseppe, Baldassarre Marchi, F. Martinelli, Massaini, Lamberto Mey, Giuseppe Metelli di Roma, Moriconi, Mozzi, Giovanni Naldoni, Natucci, Giusto Nelli, Paoli, Passeri Girolamo, Passetti, Pazzi, Piccioli Savatore, Corrado Puccini, Gaetano Rigacci, Ristori, Ruini Giovanni, Salvadori Carlo, Salvadori Lorenzo, Sancasciani, Sorelli, Spinazzi Venceslao, Ferdinando Tartini Salvatici, Ugolini, ecc. (Rombai, 1989, pp. 66-95).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001; Bellinazzi e Manno Tolu, 1995; Bertocci, Bini e Martellacci, 1991; Biagioli, 1981; Bigazzi, Grazi e Giulianelli, 1985; Bueti, 1987; Bueti, 1990; Canestrelli, 1994; Carapelli e Cozzi, 1981/1982; Di Pietro e Fanelli, 1973; Giglia, 1997; Guarducci e Rombai, 1998; Guerrini, 1987; Ludovico, 1991; Manetti, 1991; Mantovani, 1987; Mazzanti e Sbrilli, 1991; Nanni, Pierulivo e Regoli, 1996; Piccardi, 1999/2004; Raffo Maggini, 2001; Rombai, 1997; Rombai, 1989; Rombai, 1993; Romby, 1999; Rossi, 1990; Siemoni, 1998; Toccafondi, 1996; Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 241-243; Biagioli, 1975. ASF-ASA-ASGr-ASP-ASS-ASPo-ASPt-ASLi, Catasto Generale Toscano; ASF, Segreteria di Finanze. Affari prima del 1788; AOX, Carte Giovanni Inghirami.

Leonardo Rombai, Anna Guarducci (Siena)

Deputazioni sopra i corsi d’acqua (Stato di Lucca)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Offizio sopra la Maona (1463-1576)

Offizio sopra la Foce (1576-1618)

Offizio sopra la Maona e la Foce di Viareggio (1618-1801)

Offizio sopra l’Ozzeri e Rogio (1545-1801)

Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri (1768-1875)

Offizio sopra il Fiume di Camaiore (1453-1801)

Offizio sopra la Pescia di Collodi (1579-1801)

Offizio sopra la Maona/Offizio sopra la Foce/Offizio sopra la Maona e la Foce di Viareggio.La vasta pianura costiera che si apre, serrata ad oriente dalla catena delle Alpi Apuane, fra il fiume Magra e il Serchio, è sempre stata nei tempi antichi un territorio insalubre e caratterizzato da ampie zone umide che rendevano tutta la zona molto instabile e difficile da sfruttare a favore delle coltivazioni agricole. Fintanto che le condizioni amministrative e i diritti della città di Lucca sulle Marine di Viareggio e di Camaiore non si delinearono definitivamente, quest’area non fu mai interessata da un’opera completa di bonifica, e fino alla metà del XV secolo non si assistette a nessun risanamento se non di piccoli appezzamenti privati ad opera dei rispettivi proprietari.
Perso il possedimento del castello e porto di Motrone, però, la Repubblica di Lucca cominciò a pensare che fosse assolutamente necessaria una sistemazione di tutta la fascia costiera, avendo quest’idea un duplice valore: da un lato la bonificazione di quei luoghi avrebbe risolto non pochi problemi di assetto idrogeologico e sanitario, mentre da un altro si poteva predisporre la marina di Viareggio a sicuro ed efficiente scalo portuale ed unico sbocco al mare dello stato lucchese, in sostituzione di Motrone.
Fu così che, dopo dei tentativi mal riusciti eseguiti a partire del 1463, il Consiglio Generale decise di affidare l’opera ad una società detta Maona, formata da cittadini, “mettendo a disposizione di essa il terreno nel 1463 destinato alla bonificazione, eccettuandone i laghi e le fosse, a patto che dovesse eseguire a sue spese i lavori, e pagare il prezzo dei terreni de’ particolari. I lavori cominciati solamente nel 1506 […], furono terminati nel 1508, e nell’anno appresso se ne fece la spartizione fra i soci o maonisti, in 28 porzioni che si dissero Colonnelli, suddivisi ognuno in 12 particelle”.
I lavori eseguiti furono essenzialmente di canalizzazione e non di prosciugamento totale dei terreni, cosicché si rese il territorio atto alla coltivazione, ma ben presto la “mischianza delle acque salse colle dolci, favorita grandemente da que’ nuovi canali, guastò in tal modo l’aria de’ dintorni, già non buona, che i pochi abitanti ne menarono breve e malsana vita”. Con un progressivo spopolamento delle aree bonificate, anche le colture in breve tempo furono abbandonate e, neanche mezzo secolo dopo queste opere idrauliche, la zona tornò quasi nelle stesse condizioni idrografiche e insalubri iniziali.
Negli anni successivi furono elaborati nuovi studi e progetti di bonifica dell’area, il primo dei quali, nel 1565, affidato al tecnico Piero della Lena, comprendeva anche il riassetto della foce della Fossa di Viareggio che spesso si interrava e non permetteva un buono scolo delle acque. Il progetto prevedeva la costruzione di un canale che raccogliesse le acque che provenivano dal monte Quiesa e che, evitando con grossi argini che spagliassero nel padule, venissero convogliate nel Fosso di Viareggio, sì da aumentarne la portata ed evitare l’accumulo di detriti presso lo sbocco in mare. Ma anche questa soluzione non portò i risultati sperati, come del resto un secondo progetto, commissionato all’ingegnere olandese Guglielmo Raet, nel 1577, che propose di adottare delle tecniche già sperimentate nei Paesi Bassi, come l’arginatura delle zone di bonifica o l’utilizzo di pompe idrauliche per lo svuotamento della casse.
Tutte le operazioni che furono adottate fin dall’inizio, anche quelle commissionate e “appaltate” all’Offizio della Maona, erano comunque sempre state controllate da un consiglio di sei cittadini eletto dagli Anziani. In considerazione di ciò, possiamo a tutti gli effetti parlare di una vera magistratura che si prendeva cura della sistemazione della pianura costiera versiliese, come quella che nel luglio del 1576, fu ufficializzata riguardo al mantenimento e al consolidamento dello sbocco e scalo viareggino, ovvero l’Offizio sopra la Foce di Viareggio.
Successivamente, con decreto del 30 gennaio 1618, il Consiglio Generale riunì le due magistrature costiere in un’unica, che mantenne la doppia denominazione di Offizio sopra la Maona e la Foce di Viareggio, dapprima composta da tre membri cittadini, e poi aumentati a sei nel 1648.
“Può dirsi dunque che dal 1618 al 1801 facesse capo nell’Offizio della Foce la somma delle faccende riguardanti le terre, le acque, le strade e l’aria delle Marine lucchesi,” responsabilità che finalmente furono coronate da un progressivo successo dopo che fu ascoltato, nel 1735 e successivamente, il consiglio (già dato in passato da altri illustri ingegneri) del matematico veneziano Bernardino Zendrini che vedeva la risoluzione dei problemi nell’impedire l’ingresso delle acque salmastre all’interno dei canali di bonifica, ponendo delle cateratte basculanti alla foce del Canale della Burlamacca.
Come tutti gli Offizi della Repubblica lucchese, anche questo cessò le proprie attività nel 1801.

Offizio sopra l’Ozzeri e Rogio. L’Ozzeri e il Rogio sono due bracci del Serchio che, nella sua naturale conformazione, precedentemente cioè ai lavori che interessarono quel tratto che a nord di Lucca, si presentava fortemente anastomizzato: Ozzeri e Rogio si staccavano dal corso principale del fiume e per un certo tratto proseguivano nello stesso alveo, mentre in un secondo tempo facevano “gorgo presso la Pieve di S. Paolo, detta appunto in gurgite, per dividersi in due direzioni, una verso il Lago di Sesto, l’altra verso […] il Serchio”. Il braccio che scolava verso il Lago di Sesto veniva chiamato Rogio mentre quello che tornava ad immettersi nel Serchio era denominato Ozzeri.
Questo particolare assetto idro-morfologico fu la causa di molti allagamenti e danni alle colture.
Già dal XV secolo si trovano dei documenti che fanno riferimento alla formazione di speciali commissioni che avevano il compito di porre rimedio a tali avvenimenti. L’istituzione vera e propria dell’Offizio, però, che si prenderà cura della regimazione fluviale della pianura a sud e ad est di Lucca – che in seguito ai lavori eseguiti sul corso del Serchio aveva nel sistema Ozzeri-Rogio, non più collegato direttamente al fiume principale, comunque un canale di raccoglimento di tutti gli scoli del bacino che così scaricavano da una parte nel Serchio e dall’altra nel Padule – avviene in seguito alla legge del Consiglio Generale del 7 gennaio 1545.
Composta ordinariamente da tre membri eletti fra i cittadini di Lucca, la magistratura si occupò dell’assetto della rete idrica compresa fra il Padule di Sesto e il Serchio fino al 1801.

Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri. I continui problemi idrologici che avvenivano nei territori circostanti il Padule di Sesto e quelli contermini all’Ozzeri e il Rogio – che erano sottoposti a due rispettivi Offizi – portarono, nella seconda metà del XVIII secolo, a più attento interessamento da parte dello Stato lucchese. Alla risoluzione di tale contingenza era interessato anche il Governo del Granducato di Toscana che, assieme a Lucca, cercava di promuovere delle valide alternative progettuali.
Nel confronto con lo stato vicino, il Consiglio Generale della Repubblica lucchese decise di affidare il compito ad una nuova deputazione che nasceva dalle competenze affiancate delle due magistrature già esistenti del Padule di Sesto e dell’Ozzeri e Rogio. Con decreto del 30 dicembre del 1768 quindi veniva istituito tale ente che, avvalendosi del personale già impiegato e di nuovi inserimenti opportuni a svolgere il lavoro richiesto, portò alla stesura di un’elaborata relazione in cui si delineava il progetto della costruzione del Nuovo Ozzeri, ovvero di un canale che avrebbe collegato il bacino del Lago di Sesto direttamente con la pianura costiera lucchese, passando sotto i monti di Balbano, per giungere a sfociare in mare presso Viareggio.
Questo studio venne sottoscritto dagli autori – i celebri matematici e idraulici Ximenes, Boscovich e Zanotti che proseguirono le idee già esposte da Giovanni Attilio Arnolfini – il 5 marzo del 1782, ma nonostante la validità del progetto e il consenso del Consiglio Generale a sostenere le spese, questa soluzione incontrò vari ostacoli. Fu così proposta una revisione del tracciato, nel 1784, ad opera del matematico Anton Maria Lorgna che confermava l’idea dello scolo diretto verso il mare, ma proponeva di by-passare i colli presso Filettole e non sotto Balbano.
Ma anche questi pareri non furono mai attuati perché maggiori interessi acquistarono le ipotesi promosse dal Granducato di Toscana. Infatti con la realizzazione della Botte sotto l’Arno, progettata dal matematico pisano Pio Fantoni e rivista da Alessandro Manetti, si arrivò nel 1859 alla realizzazione dell’emissario dalla parte della pianura pisana meridionale, e con le ultime relazioni del 1875, cessarono tutte le attività della deputazione lucchese.

Offizio sopra il Fiume di Camaiore e Offizio sopra la Pescia di Collodi. Queste due deputazioni si riferiscono a corsi d’acqua che, seppur di limitata grandezza, hanno sempre costituito un circoscritto ma costante pericolo per gli abitanti delle zone da loro percorse, a causa del loro carattere torrenziale e della scarsa presa di coscienza delle popolazioni sui reali pericoli che potevano recare.
La pianura versiliese, ad esempio, è stata per molto tempo attraversata in maniera del tutto libera dal fiume Camaiore, che spesso cambiava tracciato e vagava disalveato per tutto il territorio. Questo comportamento apportava, ovviamente, gravi disagi e ingenti danni alle terre coltivate e così il Consiglio Generale decretò, il 23 maggio 1453, che fosse istituita una commissione di cittadini che cercassero di risolvere queste problematiche. I lavori furono effettuati disegnando un corso ben preciso del fiume che lo convogliava verso la Fossa dell’Abate, per poi sfociare in mare, ma nel corso degli anni successivi tale sistemazione risultò essere molto precaria: a tal punto, che anche Alessandro de’ Medici si dovette lagnare ufficialmente con lo Stato lucchese per le soventi tracimazioni del Camaiore nel vicino territorio di Pietrasanta, appartenente a Firenze.
Il 15 luglio 1533 si provvide quindi all’istituzione di un nuovo offizio che ripristinasse l’assetto della zona. I lavori che scavarono un altro letto si svolsero in poco più di due anni, ma anche questa soluzione non portò i risultati aspettati.
La deputazione, composta da tre membri cittadini e eletta straordinariamente per risolvere queste problematiche contingenti, fu rinominata in vari anni successivi, tanto da divenire ben presto una magistratura ordinaria e perpetua, almeno fino al 1801, anno in cui fu soppressa.
Anche per quanto riguarda la Pescia di Collodi, la nascita e le vicende storiche dell’Offizio sono molto simili ai quelle dei precedenti enti, nonostante la deputazione si riferisca ad un fiume che, contrariamente a tutti gli altri fiumi non costieri che nascono dai monti lucchesi, non va a gravare sul bacino lacustre di Sesto, ma su quello della vicina Valdinievole. L’ente venne istituito per la prima volta nel 1579, dapprima straordinariamente al fine di risolvere dei problemi di disalveamento e tracimazione, e successivamente trasformato in Offizio stabile (con decreto del 12 settembre 1600) fino al 1801.

Produzione cartografica

Offizio sopra l’Ozzeri e Rogio. La cartografia prodotta da questo Offizio fu soprattutto di corredo agli studi e ai progetti che venivano eseguiti o proposti. A tal riguardo, sono conservate delle relazioni di vari ingegneri, quali Eustachio Manfredi (1730) e Bernardino Zendrini (1735), che proponevano di erigere delle cateratte allo sbocco dell’Ozzeri per impedire gli allagamenti dovuti ai rigurgiti del Serchio verso il Padule di Sesto (ASLu, Offizio sopra l’Ozzeri e Rogio, 29).

Cartografia della Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri. La produzione è costituita essenzialmente da relazioni e perizie fatte per gli studi di una valida alternativa allo scolo delle acque del Padule di Sesto. Tra le altre, è da segnalare la Memoria sopra il Lago di Sesto o Bientina, raccolte per la Deputazione de’ Nove Spettabili Cittadini eletti per l’esame del Progetto del Nuovo Ozzeri da G. At. Arnolfini (ASLu, Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri, 3): nella relazione sono presenti varie carte, fra cui della copie di mappe più antiche, quali Copia di un antico disegno rappresentante i laghi di Sesto, di Bientina e di Valdinievole dell’anno 1450 circa (ASLu, Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri, 3, tav. IV); Copia di un altro disegno, il cui titolo è come appresso: copia di un disegno vecchio, in qualche parte difettivo, e non proporzionato e di più vi si trova nota ch’è di commissione dello Sp.le Off.e dell’Entrate. S’è copiato nell’infrascritta forma, nonostante che in qualche parte manchi di perfezione (ASLu, Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri, 3, tav. V).

Operatori

Le maestranze che prestarono le loro competenze al servizio di uffici e deputazioni sono state numerose, e sono da segnalare personalità molto importanti quali: Eustachio Zanotti (1777-1781); Leonardo Ximenes (1777-1781); Ruggiero Boscovich (1781); Giorgio Martinelli ingegnere (1777-1778); Michele Saverio Flosi (ingegnere, 1777-1778); Rocco Francesconi (ingegnere, 1777-1778); Francesco Butori (ingegnere, 1777); Anton Maria Lorgna (1784).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Azzari, 1993, pp. 161-193; Azzari, 2001, pp. 89-106; Barsanti, 1987; Barsanti e Rombai, 1986; Barsanti e Rombai, 1994; Bongi, 1872-1888; Boncompagni e Ulivieri, 2000; Caciagli, 1984; Gallo, 1993; Nepi, 2003; Nepi e Mazzei, 2001. Ricchi fondi specifici dell’ASLu, specialmente Offizio sopra l’Ozzeri e Rogio e Deputazione sopra il Nuovo Ozzeri.

G. Ta.

Consorteria del Padule d’Orgia (1303-metà XIX secolo) (Granducato di Toscana)

Il “Padule d’Orgia” era il termine che veniva abitualmente usato per indicare quella serie di “Pantani” distanti “dalla città di Siena miglia 6 in circa verso la Maremma racchiusi tra le riguardevoli ville di Stigliano, Torri, Rosia, Malignano, Ampugnano, Bosco delle Lame, Piano della Ficarella, le Seghalaie che sono per la maggior parte terre lavorative” (Baccinetti, 1936, p. 7) in conseguenza del difficile smaltimento delle abbondanti acque che scendevano dalla Montagnola Senese.
Fin dal Medioevo il distretto fu oggetto di molteplici interventi idraulici. A tal proposito, i principali possidenti delle zone interessate, istituituirono la “Consorteria del Padule d’Orgia” la quale, dotata di un proprio statuto (Statuto della Società del Piano d’Orgia, 1303-1375), avrebbe dovuto promuovere tutta quelle serie di iniziative volte alla risoluzione dei principali problemi idraulici della pianura. Uno fra tutti era il costante mantenimento dei diversi torrenti e canali che si gettavano nel fiume Merse provenendo dalla pianure a nord.
Alla fine del XVII secolo, in virtù delle costanti lamentele dei proprietari di terreni posti lungo il corso superiore del torrente Serpenna, costretti a subire frequenti esondazioni, prese corpo l’idea di un progetto per garantire lo scolo costante del fiumiciattolo. A questo si ricollega il disegno elaborato nel 1782 probabilmente da Alessandro Nini. L’intervento, che prevedeva l’escavazione di un alveo del torrente nel tratto più vicino al fiume Merse, scatenò l’ira dei proprietari adiacenti al tratto più direttamente interessato dai lavori (in particolare quelle del Marchese D’Elci), fortemente contrari all’operazione soprattutto riguardo al reparto delle spese. Tale situazione sfociò in una serie di dispute legali.
Finalmente, nel 1784, venne accettato, da entrambe le parti in causa, un arbitrato nella persona dell’abate Leonardo Ximenes, a cui non erano sconosciuti i problemi di quelle pianure. Il matematico scrisse in proposito un’interessantissima perizia idrometrica: “Relazione, e Giudizio dell’Abbate Leonardo Ximenes sui lavori, che conviene eseguire nella Serpenna da’ Possessori del Distretto, come pure da’ Possessori Superiori”, datata 17 marzo 1785 (ASS, Quattro Conservatori, 2049, ins. Relazioni e Perizie) corredata di quattro disegni eseguiti dagli ingegneri Nini e Fantastici sulla base dei rilievi e misurazioni compiuti direttamente dallo stesso Ximenes nel maggio del 1784.

Produzione cartografica

Pianta della Serpenna dalla sua Foce nella Mersa sino ai suoi Influenti, e di altri Canali che la Costeggiano, Bernardino Fantastici e Alessandro Nini, 1784 (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 276).
Profilo del fosso della Serpenna dal suo sbocco nel fiume Merse fino al paletto XX della livellazione postoa al di sopra del ponte al Frasso canne 190 fiorentine, Bernardino Fantastici e Alessandro Nini, 1784 (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 277).
Sezioni del fosso della Serpenna nel tronco interposto fra la confluenza del fiume Merse ed il paletto XX della livellazione posto al di sopra del ponte al Frasso canne 190 fiorentine, Bernardino Fantastici e Alessandro Nini, 1784 (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 278).
Sezioni del fosso della Serpenna dal paletto XX fino alla via della Querciolaia al di sopra del distretto, Bernardino Fantastici e Alessandro Nini, 1784 (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 279).
Profili del Cavo da farsi al Rio della Serpenna dagli Interessati del Distretto, Giovanni Franchi, 1698 (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 280).
Pianta d’un tronco del Fiume Mersa, e del Torrente Serpenna nella loro confluenza ove si vedono i lavori, che converrebbe farsi, perché l’Influente si unisca felicemente con il Recipiente, Alessandro Nini (ASS, Quattro Conservatori, Mappe, c. 283).

Operatori

Leonardo Ximenes, matematico granducale (1784); Bernardino Fantastici, ingegnere senese (1784);
Alessandro Nini, ingegnere granducale (1784); Giovanni Franchi, ingegnere senese (1698).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Baccinetti, 1936; Barsanti e Rombai, 1986; Vichi, 1990; Repetti, 1839; Fossombroni, 1835;
ASS, Quattro Conservatori, 2049, ins. Relazioni e Perizie; ASS, Quattro Conservatori, Mappe.

Giovanna Tramacere (Siena)

Congregazione degli Interessati del Pian del Lago (Granducato di Toscana)

La Congregazione degli Interessati del Pian del Lago venne istituita fin dal primo decennio del XIV secolo al fine di provvedere alla manutenzione idrica della piccola area umida denominata “Pian del Lago” o anche “Lago di S. Colomba” (dalla località omonima), situata nelle immediate vicinanze di Siena, a nord-ovest, ai piedi delle colline della Montagnola Senese.
Tale organismo, composto dai principali proprietari terrieri dell’area, fu dotato di un proprio statuto nel 1309, in cui si stabiliva che i signori confinanti con la palude dovessero provvedere, a proprie spese, all’escavazione dei fossi di scolo necessari allo smaltimento delle acque stagnanti.
Nel corso delle diverse adunanze tenutesi presso il Tribunale della Mercanzia di Siena, venivano eletti periodicamente un Rettore (o Camarlengo) e due Consiglieri.
I numerosi provvedimenti (ordini, decreti e bandi) emanati nel corso dei secoli XIV-XVII erano finalizzati principalmente alla gestione e alla regolamentazione della fruizione delle risorse (pesca, caccia, semina, pascolo, raccolta, ecc.) dell’area umida e della parte bochiva , denominata la “Silva Lacus”, più che alle operazioni di bonifica. Tant’è che alla fine del XVII secolo, la costante permanenza di acque stagnanti generò una vera e propria palude.
Gli interventi idraulici fino ad allora praticati erano stati per lo più settoriali e contingenti, limitati alla sistemazione e ripulitura (o rimondatura) dei pochi fossi di scolo presenti nell’area; di tale natura furono anche le operazioni compiute negli anni ’90 del XVII secolo e all’inizio del XVIII, volte a contenere una situazione ormai insostenibile.
In questo frangente si colloca la figura dell’ingegner Pierantonio Morozzi, al servizio della Magistratura dei Quattro Conservatori di Siena, autore di molteplici “Accessi” al luogo e relazioni all’interno delle quali sono descritte alcune soluzioni per lo smaltimento delle torbide acque.
Nessun intervento di rilievo comunque venne attuato fino al 1751, allorché prese corpo l’idea di prosciugare totalmente il Pian del Lago. Francesco Barucci, possidente senese, si impegnava per mezzo di una supplica al granduca, di intraprendere a proprie spese tale operazione.
Anche questa nuova proposta finì comunque con un nulla di fatto, nonostante il coinvolgimento del matematico Tommaso Perelli, incaricato dalla Congregazione degli Interessati (fortemente contrari all’intervento) di esprimere il proprio parere sul “Progetto Barucci”.
Un nuovo progetto venne presentato alla Congregazione nel 1760 (si veda il disegno conservato in ASS, Quattro Conservatori, f. 2058) dal signor Giuseppe Cannucci di Siena, ottenendo un nuovo rifiuto.
La situazione subì una svolta decisiva negli anni ’60 del XVIII secolo quando un nobile senese, Francesco Sergardi Bindi, decise di bonificare, a proprie spese, il Pian del Lago.
Gli Interessati del Pian del Lago, ostinatamente contrari all’operazione decisero di far valutare la proposta del nobile Sergardi Bindi al matematico Leonardo Ximenes, impegnato in quegli anni nei principali comprensori di bonifica del Granducato. L’abate, si suppone con l’ausilio del collaboratore Donato Maria Fini, nell’estate del 1765, effettuò ben cinque visite, da cui potè trarre tutte le necessarie informazioni in proposito. Nell’ottobre dello stesso anno la Congregazione del Pian del Lago, dopo aver animatamente discusso sulla relazione dello Ximenes, affidò l’impresa della bonifica del Pian del Lago al Sergardi Bindi.
La direzione dei lavori venne affidata momentaneamente all’ingegnere granducale Alessandro Nini. Le operazioni, che presero il via nel 1766, procedettero avvelenate dalle ostilità e dalle continue e accese dispute fra il Sergardi Bindi e la Congregazione, e furono necessari interventi di periti di parte che produssero numerose perizie, a volte corredate di rappresentazioni cartografiche: nel 1769 fu la volta dei senesi Bernardino Fantastici (per la parte degli Interessati) e Florenzio Razzi ( per il Sergardi Bindi); nel 1776 di Gaetano Conti e Francesco Bombicci; nel 1777 di Gaetano Conti e Bernardino Fantastici.
La bonifica del Sergardi Bindi andò avanti con l’apertura del canale sotterraneo che, nel novembre del 1770, permise di far defluire completamente le acque del Pian del Lago.
Con il tempo però ci si rese conto che il canale sotterraneo non era stato costruito a regola d’arte, tant’è che la zona soprattutto nei periodi particolarmente piovosi ritornava ad essere invasa dalle acque. Ben presto, quindi, ci si rese conto che il problema del Pian del Lago era stato risolto solo in parte e necessitava di operazioni di miglioramento che sollevavano continue proteste e che il suo promotore non era più in grado di sostenere.
Fu così che nel 1777, con Motuproprio sovrano, il granduca Pietro Leopoldo decideva di intervenire, incaricando gli ingegneri Anastasio Anastasi e Bernardino Fantastici di visitare l’area e proporre adeguati interventi. Ma la spinta decisiva fu data dall’intervento di una figura fra le più eminenti dell’epoca: Pietro Ferroni, a cui venne affidata la direzione dei lavori. Grazie anche alla dettagliatissima relazione del matematico (in ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 990), vennero ultimati i lavori di “ristabilimento e rettificazione” del Canale Sotterraneo, a cui prese parte anche l’ingegner Fantastici.
La vicenda si concluse con successo nel 1781. Nel 1788, per la gestione delle spese di mantenimento della fabbrica del Canale Sotterraneo e delle sue dipendenze a carico dei proprietari del Circondario, fu realizzato il “Cartone del Pian del Lago” (Tramacere, 1999-2000, passim).
Dalla documentazione archivistica conservata presso l’Archivio di Stato di Siena si evince che la manutenzione di tutti i fossi di scolo esistenti nella pianura a carico dei “frontisti” della Congregazione venne continuata almeno fino alla metà del XIX secolo.

Produzione cartografica

Pianta del Lago di S. Colomba secondo l’inondazione dei primi giorni di giugno 1765, Donato Maria Fini, 1765 (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, c. 260);
Pianta della confinazione dei terreni e del Pian del Lago, Gaetano Conti e Francesco Bombicci, 1776 (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, c. 259);
Pianta dei Fossi principali del Pian del Lago…, Bernardino Fantastici [1777-1781] (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, c. 267);
Profilo del Fosso Maestro del Pian del Lago…, Bernardino Fantastici [1777-1781] (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, c. 268);
Profilo del nuovo Fosso del Pantano dei Giunconi…, Bernardino Fantastici [1777-1781] (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, c. 272);
Mappa del Pian Lago e sue pertinenze…, Pietro Ferroni, ottobre 1779 (edita in Dei, 1887);
[Pianta e Alzato dell’obelisco del Pian del Lago, Luigi Sgrilli, [1788] (ASS, Quattro Conservatori. Mappe, cc. 273-274).
Altra documentazione in:
ASS, Quattro Conservatori, ff. 2058, 2059; ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 990; ASF, Miscellanea di Finanze A, f. 93.

Operatori

Pierantonio Morozzi (matematico e ingegnere granducale, 1701 ca.); Leonardo Ximenes, matematico granducale (1765 ca.); Donato Maria Fini (ingegnere, 1765 ca.); Alessandro Nini (ingegnere granducale, 1766 ca.); Bernardino Fantastici (ingegnere senese, 1769, 1777-1781); Florenzio Razzi (ingegnere senese, 1769); Gaetano Conti (1769); Francesco Bombicci (1769); Pietro Ferroni (matematico granducale, 1777-1788); Alessandro Tanini (capomaestro, 1777-1778); Anastasio Anastasi (ingegnere senese, 1777-1778); Salvatore Piccioli (ingegnere granducale, 1788).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Barsanti e Rombai, 1986; Bizzarri, 1938; Dei, 1887; Tramacere, 1999-2000. ASS, Quattro Conservatori; ASF, Segreteria di Finanze ante 1788; ASF, Miscellanea di Finanze A.

Giovanna Tramacere (Siena)

Congregazione di Strade e Ponti (1677-1769) (Granducato di Toscana)

Obiettivo principale della Congregazione era quello di garantire la buona conservazione delle strade del Granducato di Toscana.
Il controllo periodico della viabilità era assicurato (o, meglio, avrebbe dovuto essere assicurato) da due agenti o commissari “sopra la cura delle strade e ponti fuori della città”, scelti tra i capomastri della magistratura dei Capitani di Parte Guelfa, ai quali spettava il compito di controllare e valutare eventuali necessità del sistema stradale e quindi di provvedere a commissionare gli eventuali interventi di manutenzione e riparazione alle amministrazioni locali (rettori, sindaci, ecc.).
Tra le consuetudini della Congregazione (come del resto di molte altre magistrature non solo granducali) troviamo “l’istituto della sopravvivenza”, cioè la possibilità per gli impiegati di poter nominare un proprio successore: pertanto era assai frequente il subentro di figli o altri parenti (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 216-217).
Fu istituita in Toscana all’interno della Magistratura dei Capitani di Parte Guelfa, sotto il governo mediceo, nel 1677, peraltro sulla base di una non meglio nota precedente soprintendenza sull’attività degli agenti di strade (è comunque ricordata fin dal 1606 e affidata al soprassindaco dei Nove Conservatori e al provveditore dei Capitani di Parte Guelfa).
Nel 1718 (per ordine del nuovo provveditore della magistratura dei Capitani di Parte Guelfa Giovan Battista Nelli) – dopo vari provvedimenti presi nel corso del XVII secolo per migliorare il livello qualitativo degli operatori, provvedimenti poi rivelatisi poco efficaci, e a causa anche della scarsa efficienza dimostrata dall’ente (la viabilità del Granducato continuava ad essere arcaica, inefficiente e trascurata) – si perfezionarono le competenze degli agenti di strade al servizio della Congregazione: si richiedeva, pertanto da allora, una perizia tecnica maggiore “di quella di semplice muratore o lastricatore” e si stabiliva che tale professione fosse esercitata “con titolo di ingegnere” o di aiuto ingegnere, oppure da “altre persone di simili capacità” comandate dal granduca.
In questa fase di riordino della Congregazione e di specializzazione delle professionalità tecniche, sempre nel 1718 si licenziarono alcuni operatori ritenuti non all’altezza, fra cui Jacopo Pazzi e Mariotto Casali, si revocò ogni grazia concessa a Giovangualberto Casali di poter subentrare al padre Mariotto, e si assunsero invece nuovi e più preparati agenti di strade, come Giovan Battista Bettini e Vittorio Anastasi/Anastagi.
Nello stesso anno, probabilmente su iniziativa dello stesso Nelli, vennero pubblicate le nuove e dettagliate “Istrutioni et obblighi degli ingegneri di strade e ponti” che, sia pur rifacendosi a norme precedenti, dovevano restare in vigore fino alle riforme del periodo pietroleopoldino e regolare minuziosamente l’attività degli ingegneri di strade e ponti. Erano previste visite annuali degli ingegneri alle strade e ai ponti, alla presenza del deputato alle strade e del cancelliere delle rispettive comunità, durante le quali si doveva prender nota (in un apposito “Libro di ordinazioni di lavori di strade e ponti”) di tutti gli interventi necessari, delle spese occorrenti e di chi le doveva sostenere; il “Libro” doveva essere vistato dalla cancelleria dei Capitani di Parte e, una volta completato, consegnato ad essa. Tutte le visite, sia ordinarie che straordinarie, erano rigidamente regolate e si proibiva agli ingegneri di “andare a mangiare o dormire nelle case dei muratori o di altre maestranze […] e in compagnia di loro andare all’osteria a mangiare”; si dovevano compiere visite periodiche ai luoghi dei cantieri; erano fissate regole rigide per i collaudi e per i pagamenti, previsti entro quaranta giorni dalla fine dei lavori; erano inoltre vietate le approvazioni di lavori “per quelle strade che servono per puro comodo de’ villeggianti”.
Alla metà del XVIII secolo, nonostante tali provvedimenti, i progressi nel campo della specializzazione erano ancora piuttosto scarsi sia per quanto riguarda la professionalità che le capacità operative degli addetti (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 216-217).
La formazione avveniva in modo vario, senza istituti particolari deputati allo scopo, spesso attraverso attività di assistenza e tirocinio svolte presso tecnici granducali o privati.
Il reclutamento degli operatori avveniva quasi esclusivamente nei centri principali del Granducato: Firenze ma anche Siena e Pisa, dove avevano sede uffici particolari della Congregazione. In genere, gli agenti provenivano dalla cerchia dei protetti di cortigiani o di personaggi già introdotti nella pubblica amministrazione. Non esistendo infatti collegi, corporazioni o altri canali di accesso ai ruoli, si seguivano criteri clientelari, come la presentazione e la parentela, e non erano previsti seri accertamenti sulle competenze dei candidati; per tamponare le necessità, gli uffici, attraverso il sistema delle “imborsazioni” e delle estrazioni “al bisogno”, disponevano di un’area di reclutamento che consentiva collaborazioni saltuarie di pubblici periti senza ampliamento degli organici.
Per tutto il XVII secolo e fino alle nuove norme del 1718 (che stabilirono stipendi invariati per gli ingegneri), i livelli di remunerazione per gli ingegneri e gli aiuti non subirono grandi sviluppi e l’assenza di organismi di categoria, come arti o corporazioni, poneva gli ingegneri e gli architetti in una situazione di subordinazione nei confronti della committenza (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 216-217).
Con l’istituzione della Camera delle Comunità, Luoghi Pii, Fiumi, Ponti e Strade, motuproprio del 22 giugno 1769, la Congregazione (insieme alla collegata istituzione dei Capitani di Parte Guelfa) venne soppressa e le competenze passarono a questo nuovo organismo nel cui ambito venne creata una specifica burocrazia tecnica alle dipendenze dell’ingegnere (poi capo-ingegnere) Giuseppe Salvetti.
Il fondo Ponti e Strade conservato nell’Archivio di Stato di Firenze fa riferimento sostanzialmente all’attività di una sezione della Camera delle Comunità, Luoghi Pii, Fiumi, Ponti e Strade istituita nel 1769 (Toccafondi e Vivoli, 1993, p. 196).
Il corpo di tecnici che andò ad operare nella nuova Camera fu appositamente formato dal matematico Pietro Ferroni con la costituzione di una vera e propria scuola per ingegneri all’interno della stessa Camera.
Con i regolamenti comunitativi istituiti da Pietro Leopoldo di Lorena nel 1773 la maggior parte delle competenze in materia di strade e ponti (con allargamento a corsi d’acqua e fabbricati) passò alle comunità; queste, con il nuovo organo del Magistrato Comunitativo (che, tra l’altro, provvedeva a nominare ogni due anni un perito tecnico esterno all’amministrazione locale, con qualifica di provveditore di strade, corsi d’acqua e fabbriche), d’ora in avanti, e fino alla istituzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade del 1825 (con la breve parentesi del periodo francese, allorché anche in Toscana, nel 1808-14, operò il Service Impérial des Ponts et Chaussèes con nelle vesti di soprintendente generale lo scienziato Giovanni Fabbroni) (Toccafondi e Vivoli, 1993, p. 242; e Toccafondi, 1996, p. 165), godranno di un’ampia autonomia decisionale nella gestione tecnico-amministrativa e finanziaria dei loro beni.

Produzione cartografica

In ASF, Inventario 156: Piante di Ponti e Strade sono conservate numerose piante per un complesso di 117 segnature, per lo più di strade e corsi d’acqua (stati di fatto e progetti d’intervento), con rappresentazioni topografiche e anche figure di complessi edilizi, redatte nell’arco cronologico dalla seconda metà del XVII all’inizio del XIX secolo.

Operatori

Jacopo Pazzi (fino al 1718); Mariotto Casali (fino al 1718); Giovan Battista Bettini (dal 1718); Vittorio Anastasi/Anastagi (dal 1718); Anastasio Anastasi/Anastagi (metà XVIII sec.; dal 1769 passerà nell’organico della Camera delle Comunità, Luoghi Pii, Fiumi, Ponti e Strade); Giovanni Spadini (metà XVIII sec., in sostituzione del Bettini; dal 1769 passerà nell’organico della Camera delle Comunità, Luoghi Pii, Fiumi, Ponti e Strade).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Toccafondi e Vivoli, 1993; Toccafondi, 1996, pp. 153-154; ASF, Piante di Ponti e Strade; e Camera delle Comunità e Luoghi Pii.

Anna Guarducci (Siena)

Confini (Stato di Lucca)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Offizio sopra le Differenze di Confine (1601-1799)

Deputazione sopra le Differenze (1799-1801)

L’istituzione dell’Offizio sulle Differenze de’ Confini si costituisce nel corso del XVI secolo con il preciso compito di “negoziare co’ principi esterni”; mansioni che in precedenza non erano mai state ricoperte da alcuna deputazione permanente, ma “secondo la volontà del Consiglio Generale, si sbrigavano per lo più dal Collegio degli Anziani e dal Gonfaloniere, e raramente da Balie straordinarie”.
La nascita di questo offizio, quindi, avviene per sopperire ad una finalità ben precisa, ma che non aveva mai avuto un inquadramento istituzionalizzato da parte della Stato lucchese, e si attua dopo una serie di elezioni di varie Cure o Deputazioni formate da un numero variabile di membri cittadini che dovevano farsi carico delle “controversie di confine cogli Stati limitrofi”. La magistratura viene però decretata in maniera ordinaria soltanto nel 1601, quando il Consiglio Generale stabilisce con una legge del 2 gennaio che “«l’Offitio delle Differenze, che farà speditione delle cure et negotii che piacerà all’Ecc. Cons. commetterli», sia di nove cittadini, e debba rinnovarsi ogni anno almeno per la terza parte, con modo però, che vi abbia seduto tre anni, per altrettanti debba esserne escluso”.
Oltre alle mansioni concernenti i limiti amministrativi, nel corso degli anni l’Offizio fu incaricato anche di sovrintendere a tutte le incombenze riguardanti in generale le relazioni interstatali, andando a ricoprire quelle funzioni che oggi giorno competono prettamente agli affari esteri. Inoltre, svolgeva anche le vesti di gabinetto per l’ordine pubblico: infatti, in occasione di fatti tumultuosi e casi estremi e pericolosi per la salvaguardia dello Stato che accadevano di notte, esso si doveva immediatamente riunire assieme al Magistrato de’ Segretari e i Consiglieri di Notte, per prendere decisioni e repentini provvedimenti a tutela del territorio lucchese.
In ragione di questi incarichi la deputazione sulle Differenze divenne una delle magistrature più importanti della Repubblica.
Quando a Lucca, nel 1799 cadde il Governo – dato che essa negli anni passati si era sempre schierata per l’indipendenza alla dominazione francese e alla rivoluzione – fu immediatamente soppressa. Tale esperienza, però, durò per pochi mesi e al momento in cui fu ristabilita la Reggenza Provvisoria venne immediatamente rinnovata anche la magistratura (il 24 luglio sempre del 1799), con la denominazione di Deputazione sopra le Differenze. Ma a causa delle alterne vicende politiche che si ebbero in quegli anni, anche la sussistenza di questo Offizio fu molto breve dato, che essa fu definitivamente conclusa con il decreto del 28 gennaio 1801 in cui la Repubblica Democratica ricostituiva l’ordinamento statale istituendo la figura dei vari Ministeri.

Produzione cartografica

L’attività e la produzione dell’Offizio sopra le Differenze di Confine comincia agli inizi del XVI secolo – l’istituzione ufficiale, però, venne sancita il 2 gennaio del 1601 – e termina nel 1801. All’interno del fondo di questa magistratura sono conservati una grande quantità di documenti, non solo cartografici, che trattano in generale dei problemi delle dispute di confine. Sono presenti quindi carteggi, documenti relativi ai conflitti, relazioni su controversie amministrative, ma una veste decisamente rilevante la rivestono le filze in cui sono stati riuniti mappe, disegni e descrizioni varie, eseguite in differenti anni.
Di seguito, si elencano le segnature archivistiche delle singole filze, evidenziando a quali Comunità si riferiscono le mappe contenute:
Viareggio e Camaiore (Offizio sopra le Differenze di Confine, 567);
Montignoso e Pescaglia (Offizio sopra le Differenze di Confine, 568);
Gallicano (Offizio sopra le Differenze di Confine, 569-570);
Coreglia, Bagni e Villabasilica (Offizio sopra le Differenze di Confine, 571);
Minucciano (Offizio sopra le Differenze di Confine, 572);
Distretto delle Sei Miglia (Offizio sopra le Differenze di Confine, 573);
Castiglione (Offizio sopra le Differenze di Confine, 574);
Comunità varie (Offizio sopra le Differenze di Confine, 575);
Miscellanea di piante riguardanti Castiglione, Massa, Viareggio assieme alla sue fortezze, Camaiore, Montignoso, Castagnola, Ricciana di San Michele, Agliano, Albiano, Acqua del Caprio, Garfagnana (Offizio sopra le Differenze di Confine, 576).

Operatori

Nel corso degli anni in cui l’Offitio esercitò compiutamente le proprie competenze amministrative, operarono alla diretta dipendenza dell’ente, o in isolate e specifiche collaborazioni, numerosi tecnici e operatori. In alcuni casi le maestranze che produssero i progetti e le dispute di confine risultano essere personalità della parte confinante che elaborarono il lavoro in concorso con i propri colleghi appartenenti allo Stato lucchese. Di seguito si riporta una lista di personaggi che a varia natura collaborarono con l’Ente, ove viene menzionata la funzione di ciascun tecnico e gli anni in cui è certa l’attività per opere riguardanti le dispute di confine:
Alessandro Resta, ingegnere (1567); Marcantonio Botti, perito ingegnere (1620-1629); Pasio Pasi, perito ingegnere di parte modenese (1621); Domenico Cecchi (1702-1733); Frediano Puccini, ingegnere (1613-1615); Don Pietro Pierotti, perito agrimensore (1712-1714); Don Domenico Pierotti, perito agrimensore (1714); Giuseppe Masseangeli (1701); Domenico Filippo Masseangeli (1712-1714); Giulio Ambrogio Giannetti, perito (1719-1732); Gianfrancesco Giannetti (1730 circa); Filippo Del Medico, capitano ingegnere di parte modenese (1770); Tommaso Gaetano Pellegrini; perito ingegnere (1770-1776); Sigismondo Bertacchi, perito ingegnere di parte modenese (1613); Giuseppe Civitali, agrimensore (1541-1564); Giovan Francesco Gabrielli, pubblico perito agrimensore (1686-1723); Giovan Battista Pieri, chirurgo (1699); Giovanni Costa, perito ingegnere di parte modenese (1776); Flaminio Samminiati, perito (1603); Silvestro Gabrielli, agrimensore (1635-1640); Giovanni Vannuccori, agrimensore (1664-1687); Gherardo Boccabadati, perito di parte modenese (1687); Giacomo Cantelli, perito di parte modenese (1687); Francesco Vacchi, perito ingegnere di parte modenese (1622); Geronimo Palma, ingegnere di parte modenese (prima metà del XVII secolo); Pellegrino Pieri, agrimensore; Giovanni Azzi, perito ingegnere (1684); Simone Moni, agrimensore (1721); Paolo Natalini, perito agrimensore (1659); Giuseppe Natalini, perito agrimensore (1723-1725); Giuseppe Maria Serantoni, padre agostiniano (1744); Pietro Pellegrini, perito ingegnere (1762); Romano Duccini, perito ingegnere (1756); Giovanni Bertocchi, perito ingegnere (1763-1770); Pier Angelo Dini, perito agrimensore (XVIII secolo); Francesco Maria Butori, ingegnere (1801); Filippo Cappelletti, perito agrimensore (1656-1659); Paolo Lipparelli (1635-1646); Pietro Vagnarelli, ingegnere (1620); Carlo Federico Castiglione, perito agrimensore (1723); Michele Flosi, pubblico Professore di Geometria (prima metà XVIII secolo); Filippo Chiocca (1701).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Archivio di Stato di Lucca, 1987; Azzari, 1993; Franchetti Pardo e Romby, 1980; Gallo, 1993; Niccolai, 2004; Rombai, 1983; Bongi, 1872-1888. ASLu, Offizio sopra le Differenze di Confine.

Giulio Tarchi (Siena)

Catasto di Massa e Carrara (Nuovo Catasto prediale uniforme, 1820-1826) (Stato Estense)

Il “Nuovo Catasto prediale uniforme” fu ordinato da Maria Beatrice Duchessa di Massa e Carrara, Principessa d’Este e Arciduchessa d’Austria il 30 maggio 1820 per “rendere più equa la distribuzione delle Pubbliche Imposte necessarie pel sostegno del principato, e insieme per supplire ai bisogni territoriali” (Modena, Editto del 30 maggio 1820). La formazione del nuovo Catasto fu affidata “dipendentemente dal Governo” all’Ingegnere Erasmo Lucini per la direzione e all’Ingegnere Luigi Mugiasca in qualità di Ispettore (Massa, Notificazione del 13 giugno 1820). I lavori furono avviati a Massa il 30 giugno 1820 e a Carrara l’8 marzo 1821.
L’attivazione del nuovo Catasto fu decretata il 27 novembre 1824.
Ai fini del rilevamento catastale il Comune di Massa fu diviso in 12 frazioni (Antona, Bergiola Maggiore, Canevara, Casania, Castagnola, Forno, Massa città, Mirteto, Pariana, Resceto, Turano e Volpigliano) e quello di Carrara in 15 frazioni (Avenza, Bedizzano, Bergiola Foscalina, Carrara adiacenze, Carrara città, Castelpoggio, Codena, Colonnata, Fontia, Fossola, Gragnana, Miseglia, Noceto, Sorgnano, Torano).
Dalle operazioni di rilevamento catastale, effettuate tra il 1820 ed il 1822, derivarono, per l’impianto, mappe in scala 1:2000 contenenti gli sviluppi dei centri abitati in scala 1:1000. Di alcune di esse si sono conservate copie, in genere datate 1826 ed alla stessa scala. Le mappe, di grande formato, sono corredate da registri descrittivi (Tavole indicative e Campioni) conservati – con gli aggiornamenti prodotti successivamente all’attivazione – nell’Archivio di Stato di Massa (con l’unica eccezione della mappa di Turano Monte di Pasta conservata presso l’Archivio di Stato di Modena). L’andamento del rilievo è evidenziato da un lieve sfumo ed è ben delineata la linea di spartiacque, l’idrografia è in azzurro, gli insediamenti in rosso, la viabilità è disegnata a doppio tratto continuo campito di marrone. Il nord è indicato da una freccia. Ogni mappa riporta anche la scala grafica, sia in metri che in pertiche carraresi, e la scala per “Campagna” di “canne di triplo metro” per quanto riguarda il Catasto del Principato di Carrara e in metri e pertiche massesi per le mappe relative al territorio del Ducato di Massa.
L’8 marzo 1826 venne pubblicato il Regolamento per la Conservazione del Catasto che doveva rimanere in vigore fino all’ultimo dopoguerra.

Produzione cartografica

Le mappe, conservate in ASMs, Catasto di Maria Beatrice. Mappe, Tavole Indicative, Campioni, sono state riprodotte nell’ambito del progetto Castore (Dipartimento di Studi Storici e Geografici Università degli Studi di Firenze – Servizio Geografico Regionale Regione Toscana) e saranno accessibili on line.

Operatori

Operatori impegnati nelle operazioni dal 1820 al 1824:
Erasmo Lucini, ingegnere, direttore del Catasto
Luigi Mugiasca, ingegnere, ispettore del Catasto
Cristoforo Ajmetti
Antonio Albani
Francesco Besozzi
Angelo Bianchi
Giuseppe Bianchi
Pietro Boccalari
Andrea Bortoloni
Placido Cavaglieri
Baldassare Cobianchi
Giuseppe Girotti
Gioacchino Gniocchi
Pietro Griffini
Giulio Marcolongo
Francesco Melotti
Giuseppe Orsini
Emanuele Piaggio
Isidoro Raffo
Andrea Rutilj
Antonio Sironi
Pietro Sperati
Pietro Toscani

Riferimenti bibliografici e archivistici

Baffioni, 1899; Azzari, 2004; ASMs, Catasto di Maria Beatrice. Mappe, Tavole Indicative, Campioni; ASMs, Governo degli Stati di Massa e Carrara, 123; ASMo.

Margherita Azzari (Siena)

Catasto (Stato di Lucca)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Estimo (1284-1801)
Catasto vecchio e nuovo (1802-1869)

Estimo. Nella storia dello Stato lucchese non è possibile indicare una data certa, né tanto meno un provvedimento ufficiale, che sancisca l’istituzione di una magistratura riguardante le operazioni di imposizione fiscale. Tuttavia, già dal XIII secolo esistevano delle procedure e una forma di “apprezzamento fiscale nel quale cumulavasi il possesso stabile e mobile, e la persona, e che questo apprezzamento, che si diceva estimo, era poi fondamento delle contribuzioni dirette che si raccoglievano, non solo dal Comune di Lucca sovrano, ma dai singoli Comuni sottoposti, e dalle Vicarie cui l’uomo apparteneva”. Gli “apprezzamenti” si basavano e valutavano “il possesso immobile e mobile e le bocche o teste, de’ beni stabili affittati o allivellati, tenendo conto però solamente del frutto che toccava al colono”. Tali rendicontazioni dovevano essere eseguite in maniera descrittiva con una cadenza regolare di circa 25 anni, ma questa periodicità non venne mai rispettata e in molti casi, già dalla fine del XIII secolo, i documenti analitici avevano di corredo anche delle misure degli appezzamenti stimati.
A partire poi dal 1300 tale strumento di imposizione tributaria si andò a modificare, interessando quasi esclusivamente le zone extramoenia e andando a gravare solamente sulle spalle dei contadini. Il primo effetto di questo nuovo impianto fiscale fu la crescita del malcontento delle popolazioni rurali le quali cercarono di architettare contromisure tese a falsare le effettive rendite, e di conseguenza la nascita di una generale difformità fra la reale condizione dei beni privati e il censimento e le misure che venivano eseguite. Tale panorama restò inalterato per molti secoli in avanti e anche i provvedimenti di revisione o di aggiornamento dell’accatastazione furono spesso disattesi e realizzati a pelle di leopardo.
Riguardo alla cronologia, i primi documenti dell’Estimo sono risalenti al 1284, mentre gli ultimi al 1801, poco prima dell’entrata in vigore del Vecchio Catasto, la cui nascita viene decretata il 15 gennaio 1802. I lavori di accatastamento si protrassero per molti anni in avanti, e dal 1826 fino al 1850 si sovrapposero a quelli del nuovo Catasto. Il 17 gennaio 1850 fu sancita la soppressione definitiva della Conservatoria del Catasto.

Catasto vecchio e nuovo. Ancora all’inizio del XIX secolo l’imposizione territoriale si basava ancora su documenti e stime fatte in maniera molto approssimativa, e gravava sempre solamente sulla cittadinanza rurale.
Per istituire un nuovo metodo fiscale che sostenesse le casse dello Stato e applicasse i valori di “uguaglianza” che in questo periodo si stavano espandendo in tutta Europa, il governo della Repubblica Democratica decise con decreto del 15 gennaio 1802 di realizzare un moderno catasto e che “l’imposta dovesse pagarsi da tutti, egualmente, senza privilegi, in proporzione dell’avere”. L’operazione che era diretta da una Commissione formata da cinque membri, prevedeva che doveva “commettersi a tre o più Periti Agrari per ogni Comune, […] ed i Periti si volle che eseguissero il lavoro, senza levare alcuna misura, ma solamente col descrivere i possessi per proprietario, frutto annuale, vocabolo e confini. Nei Comuni dove fossero Pubblici Stimatori, che erano in sostanza contadini pratici, fu conceduto alla Commissione di valersi anche di quelli; e solamente le fu permesso di ricorrere agli Agrimensori geometri dell’elezione de’ Periti”.
Le nuove stime furono consegnate, come previsto dal decreto, in pochissimi mesi e dal 1803 entrò in vigore il Catasto Generale della Repubblica di Lucca. Ma i tempi strettissimi che erano stati concessi e la simultaneità delle rilevazioni che non permise un confronto e un’omogeneizzazione dello stimare, portarono al compimento di un lavoro estremamente difettoso e tumultuoso.
Negli anni successivi furono quindi adottati nuovi provvedimenti tutti volti all’individuazione di uno strumento efficace e più equo possibile per l’imposizione fiscale terriera. Sia nel 1810 che nel 1817 vennero adottate delle disposizioni che miravano alla creazione di un catasto, che risultava una novità, non solo da un punto di vista di aggiornamento, ma anche nella metodologia e nelle tecniche di realizzazione utilizzate. Ma nonostante i buoni propositi che spingevano in tale direzione, il Catasto geometrico trovò sulla propria strada sempre degli impedimenti, ora dipendenti da problemi politici, ora da difficoltà tecniche.
L’operazione più importante fu quella della creazione della rete di triangolazione che fu affidata il 17 agosto del 1830 al padre Michele Bertini che, sfruttando i lavori già eseguiti da Carlo Brioschi e dalle basi trigonometriche del vicino Granducato di Toscana elaborate dall’Inghirami, portò a compimento le misure di primo grado nel 1835, mentre quelle di secondo grado furono ultimate nel 1845.
Il risultato dell’esperienza catastale effettuata da parte del governo lucchese si ha nel 1846 con la realizzazione della cartografazione dei comuni di Montignoso e di Capannori, mentre il restante territorio fu rilevato in seguito, tra il 1860 e il 1869, quando si era già avuta la riunificazione del Ducato con il Granducato di Toscana.

Poduzione cartografica

Estimo. a produzione riferibile a questa prima parte dei lavori, che riguardarono, in generale, la valutazione dei terreni e degli immobili ai fini fiscali e della misurazione in senso prettamente geometrico della superficie terrestre del territorio lucchese, è contenuta all’interno del ricco fondo archivistico denominato Estimo ed è possibile consultare ben 231 filze contenenti materiale di vario genere (descrizioni, inventari dei beni, relazione, controversie fra parti, ecc.), fra cui si possono trovare anche piccole mappe o misure catastali di appezzamenti (ASLu, Estimo, 1-231).

Catasto vecchio e nuovo. Molto vasta è la produzione della deputazione sopra il Catasto che è possibile reperire nei fondi Catasto Vecchio e Catasto Nuovo dell’Archivio di Stato di Lucca.
Fra questo ampio panorama documentario, alcuni pezzi sono sicuramente da segnalare per il loro grande valore e l’importante contributo che hanno dato allo studio della cartografia storica e precisamente: i lavori del Bertini sulla costruzione della rete trigonometrica del Ducato di Lucca (ASLu, Catasto Nuovo, 59-61), costituiti da tre volumi nel primo dei quali vi è riportata la rete maggiore e le posizioni dei punti di appoggio principali della stessa, nel secondo le reti minori, e nel terzo le coordinate e l’altitudine dei punti più importanti; la prima pianta corografica dello stato lucchese su base geometrica, con la scala di 1:20.000, realizzata da Celeste Mirandoli nel 1836 (ASLu, Catasto Nuovo, 76); le mappe catastali riferite alle singole Comunità, in scala di 1:2000, che coprono tutto il territorio lucchese (ASLu, Catasto Nuovo, 68-75).

Operatori

Soprattutto le testimonianze più antiche – molte delle quali sono andate perdute – non riportano gli esecutori, ma sicuramente personalità importanti sono state commissionate dal Consiglio Generale per realizzare i lavori di ammodernamento delle visure eseguiti nel 1546 e rimasti in vigore per molto tempo. Fra questi: Giuseppe Civitali (1547-1549); Giovan Battista Boccella (1548-1550); Piero della Lena (1547-1550); Olivo Domenichini (pubblico agrimensore, 1549-1550); Iacopo Luporini (pubblico agrimensore, 1547-1550); Agostino Pergola (1546-1561); Benedetto Casoli (pubblico agrimensore, 1550); Domenico Santucci (pubblico agrimensore, 1546-1547); Prete Meo da Carignano (pubblico agrimensore, 1550); Andrea de’ Santi da Pontetetto (pubblico agrimensore, 1547); Filippo Lippi di Diecimo (pubblico agrimensore, sec. XVI); Agnello di Maestro Tomeo (pubblico agrimensore, 1561); Giovanni Ghivizzani (pubblico agrimensore, 1561); Giovanni Parpaglioni (pubblico agrimensore, 1561); Iacopo Del Zoppo (pubblico agrimensore, 1515); Giuseppe Cagnoli (pubblico agrimensore, 1515-1520); Michelangelo da Ville (canonico, 1546); Michelangelo Landucci (pubblico agrimensore, 1520); Giovanni Dalle Monache (pubblico agrimensore, 1547); Antonio delle Torri (notaio e pubblico agrimensore, 1547); Michele Bertini (1830-1842); Paolo Sinibaldi (1830-1842); Celeste Mirandoli (topografo del Genio modenese, 1836-1850).

Rferimenti bibliografici e archivistici

Archivio di Stato di Lucca, 1987; Azzari, 1993, pp. 161-193; Barsanti e Rombai, 1986; Rombai, 1989; Bongi, 1872-1888; Boncompagni e Ulivieri, 2000; Ginori Lisci, 1978, pp. 229-237; Romiti, 1975; Tori, 1983. ASLu, Estimo e Catasto Nuovo.

Giulio Tarchi (Siena)

Capitani di Parte Guelfa, Ufficiali dei fiumi, Ingegneri dei fiumi (1549-1769) (Comune di Firenze, poi Granducato di Toscana)

Creata nel 1267 e attiva fino al 1769 con numerosi cambiamenti di compiti e di denominazione, la magistratura dei Capitani di Parte Guelfa venne istituita dopo la vittoria dei guelfi e l’occupazione di Firenze da parte delle truppe di Carlo d’Angiò. All’inizio essa ebbe il compito specifico di perseguire i ghibellini che non si erano sottomessi o che erano comunque nemici della fazione al potere; aveva dunque in un primo tempo una funzione eminentemente politica, con giurisdizione civile e criminale. Decaduta nel XV sec., la Magistratura fu profondamente modificata durante il Ducato poi Granducato mediceo, quando vennero accentrate in essa le funzioni di soprintendenza tecnica sui lavori pubblici.
Infatti, con mp 18 settembre 1549, la cosidetta “legge dell’Unione”, la magistratura degli Ufficiali della Torre, che fin dal tempo della Repubblica badava alla manutenzione delle strade, degli argini dei fiumi e delle fortezze – e a cui già nel 1364 erano stati aggregati gli uffici dei Signori di tutte le Gabelle, della Torre, dei Beni dei Ribelli, delle Mulina, del Mare e delle vie, ponti e mura di Firenze – venne abolita e riunita alla magistratura dei Capitani di Parte Guelfa, di cui fu così accentuato il carattere tecnico a scapito di quello politico.
Sorta di “ministero dei lavori pubblici” del Granducato, insieme di competenze diverse avente come unico denominatore comune l’amministrazione dei beni demaniali, sia di quelli di uso pubblico che di quelli prodotti da confische o sottoposti a imposizioni fiscali, la magistratura dei Capitani di Parte Guelfa constava di un organo collegiale di dieci cittadini, di cui tre scelti per elezione con durata in carica di un anno, e sette eletti per nomina granducale, due dei quali con durata in carica a tempo indeterminato. Questi due membri, detti Ufficiali dei Fiumi, avevano il compito specifico di occuparsi della cura dei fiumi ed assunsero ben presto un ruolo preponderante, sia per la loro progressiva crescita di numero sia per la crescente importanza degli interventi di regimazione idraulica.
L’Ufficio dei Fiumi si configurava come braccio operativo dei Capitani di Parte in materia di acque e non solo, dato che fin dall’inizio la sua attività aveva riguardato in molti casi anche le strade.
La giurisdizione dei Capitani di Parte comprendeva i territori delle attuali province di Firenze, Prato e Arezzo, ad esclusione dello Stato Nuovo senese, di Pistoia e di Pisa che avevano i loro organi competenti in questo campo, non sottoposti gerarchicamente alla magistratura fiorentina. L’Ufficio dei Fiumi estendeva infatti la sua competenza fino al territorio della podesteria di Castelfranco di Sotto, da dove, fino al mare, subentrava nel controllo del territorio l’Ufficio dei Fiumi e Fossi di Pisa. Oltre a Pisa, anche Siena e Pistoia furono dotate di uffici specifici, e sotto Ferdinando I fu istituito l’Ufficio dei Fossi di Grosseto.
Oltre all’amministrazione di alcune imposte, di multe e dei beni confiscati, che utilizzavano per lavori di loro competenza, competeva ai Capitani di Parte Guelfa il controllo su tutte le acque pubbliche, sui beni di uso pubblico, sul taglio degli alberi nelle zone di crinale dell’Appennino e intorno alle sponde dei fiumi nonché su alcuni tipi particolari di legname; il mantenimento dei lastrici, dei ponti e delle fognature; la soprintendenza sulle feste pubbliche, sulla sicurezza degli edifici, sulla pulizia dei luoghi pubblici, sui pesi e misure. La Magistratura conservò formalmente il potere di perseguire i ribelli e confiscarne i beni, ma in realtà finì per occuparsi quasi esclusivamente di lavori pubblici.
Fra il personale addetto ai lavori pubblici vi erano, oltre alle figure con mansioni più strettamente burocratiche (auditore, cancellieri, provveditore, camarlingo, scrivano, ragioniere, esattore, ministri, donzelli ecc.), un numero variabile di ingegneri/architetti, regolarmente provvisionati, e di otto capimastri, non stipendiati, con qualifiche professionali diverse – legnaiolo, scalpellino, muratore, architetto, ingegnere, perito – incaricati non solo di eseguire perizie e controlli agli argini dei fiumi e alle strade, ma anche di dare pareri sulle controversie in materia di lavori pubblici.
I “capimaestri” costituirono il primo gruppo di tecnici al servizio della Magistratura. Si trattava di personale che già operava per la magistratura repubblicana degli Ufficiali di Torre e che veniva incaricato, per estrazione o per elezione a seconda che si trattasse di lavori per la magistratura o di contenziosi tra privati, di redigere rapporti e perizie dietro compenso di una “diaria”.
Ancora all’inizio del XVII secolo, le diverse qualifiche professionali apparivano tra loro intercambiabili ed era su questo personale, avente un carattere più istituzionale che professionale, che si appoggiava il lavoro ordinario della Magistratura, mentre la figura dell’«ingegnere» o dell’«architetto di Sua Altezza» interveniva solo per lavori di maggiore impegno. Inizialmente si trattava di ingegneri/architetti anche di grande rilievo (basti citare Bernardo Buontalenti o Bartolomeo Ammannati), cui venivano affidati lavori particolarmente importanti, ma che dal punto di vista burocratico non avevano una collocazione istituzionale sempre uniforme, intrattenendo invece un rapporto fiduciario con il Duca e con il Provveditore della Parte.
Solo più tardi verrà a definirsi in modo più preciso la figura del “tecnico” impiegato e stipendiato dalla Parte e, oltre all’aumento quantitativo delle figure tecniche, si assisterà anche alla loro articolazione gerarchica in “ingegnere” e “aiuto ingegnere”, primo nucleo di un corpo professionale con compiti maggiori e con una oggettiva crescita della sua funzione.
I capomastri erano nominati direttamente dalla Magistratura o, in caso di pareri su contenziosi, estratti a sorte da una borsa contenente i loro nomi. L’esercizio della loro attività era regolato dal bando dell’8 luglio 1594, promulgato in seguito al verificarsi di abusi ed illeciti.
Nel settore delle strade si verificò per tutto il periodo mediceo un continuo conflitto di competenze tra Ufficiali dei Fiumi e Capitani di Parte da un lato e Nove Conservatori della Giurisdizione e del Dominio fiorentino dall’altro. Dal 1606 Ferdinando I stabilì che il soprasindaco dei Nove e il provveditore della Parte avessero insieme la competenza sull’attività degli Agenti di strade, emanando nello stesso anno le “Istruzioni agli agenti di strade” per una migliore organizzazione del lavoro.
In materia di acque l’attività dei capimastri era sottoposta al controllo di uno degli ingegneri al servizio della Parte che si occupava del settore e quindi denominato, a partire dal 1553, Ingegnere dei Fiumi. Il 9 luglio 1554 venne promulgata la “Provvisione concernente la iurisditione et obligo delli Uffiziali dei Fiumi e lor ministri” che, insieme alle varie aggiunte del 1577 e del 1581, fissò le regole sulla giurisdizione degli Ufficiali dei Fiumi.
I funzionari con competenze tecniche, cioè gli Ingegneri della Parte e il Maestro di Artiglieria, variarono durante il governo di Cosimo I (1537–1574) da due a tre unità, mentre nella sezione “Castello e fabbriche di Firenze”, ovvero una branca della Magistratura che sovrintendeva alla Fortezza da Basso e gestiva alcune fabbriche pubbliche cittadine, lavoravano fino a tre ingegneri contemporaneamente, con responsabilità diverse.
Alcuni decenni più tardi si aggiunsero all’organico altre figure tecniche più specifiche, quali i Ministri dei Fiumi, gli Agenti di Strade, i Commissari dei Lastrichi, il Capomaestro sopra le strade della città, il Capomaestro sopra le strade di fuora, il Deputato a rivedere le fortezze, il Provveditore della Fortezza di Siena e altri luoghi, il Provveditore della Fortezza di Volterra ecc., alcune delle quali provvigionate con stipendio fisso.
Nel XVII sec. l’Ufficio dei Fiumi venne aumentato di tre unità, mentre nacque e progressivamente si affermò la figura dell’aiuto-ingegnere (in numero di uno nel 1619, di otto nel 1654), che spesso si sovrappose nel ruolo al capomaestro e che come quest’ultimo non era stipendiato ma “imborsato” ed estratto al bisogno, con in più tuttavia una diaria identica a quello dell’ingegnere. Dal 1645 anche gli aiuti-ingegneri ebbero una provvisione mensile.
Intorno agli anni Ottanta del XVII sec., sotto il governo di Cosimo III, si assistette ad una articolazione più specialistica del lavoro che portò alla creazione di nuovi, più snelli istituti amministrativi (la Congregazione di Strade e Ponti, i Giudici delegati sull’Ombrone, le Congregazioni del Valdarno di sopra e del Valdarno di sotto, ecc.), a cui vari ingegneri della Parte prestarono la loro opera, in stretta interdipendenza fra aspetti tecnici e aspetti amministrativi del loro lavoro (Toccafondi e Vivoli, 1987, vol. I, p. 188, parlano di un processo compiuto dagli operatori della Parte tra XVI e XVII sec., che va «dalla pratica alla carica, dalla carica alla professione»). Dal 1691, infine, le deliberazioni dei due uffici dei Capitani di Parte e degli Ufficiali dei Fiumi vennero raccolte in un unico registro.
Alla fine del XVII sec. la Magistratura si presentava ripartita in tre organismi stabili: la Congregazione di Strade e Ponti, formalmente istituita nel 1677, e le due Congregazioni del Valdarno di Sopra e del Valdarno di Sotto, costituite nel 1697 ed inizialmente previste come un unico organismo.
La magistratura dei Capitani di Parte Guelfa venne soppressa con mp 22 giugno 1769 e le mansioni trasferite, con mp 1 settembre dello stesso anno, alla Camera delle Comunità, Luoghi Pii e Strade.

Produzione cartografica

Il fondo in ASF, Piante dei Capitani di Parte Guelfa si compone di circa 3000 pezzi, comprendenti disegni e mappe eseguiti dalle figure tecniche facenti parte dell’organico della Magistratura, che sovrintendeva come si è detto all’insieme dei lavori pubblici del Granducato.
Le piante conservate nel Fondo riguardano quindi i soggetti più svariati: censimento e manutenzione delle strade, degli argini, dei ponti, dei fiumi, concessione di licenze edilizie, manutenzione di alcuni edifici demaniali, gestione delle bandite forestali, di boschi e pascoli, vie di comunicazioni sia stradali che fluviali, né mancano la cartografia di natura “idraulica”, le raffigurazioni fluviali prodotte per esigenze di manutenzione, sistemazione e regimazione, i mulini e gli opifici, nonché piante della città, funzionali ad interventi a scala urbana.
Nel fondo si segnalano in particolare:
– i due registri delle Mappe di “Popoli e Strade” (ASF, Piante dei Capitani di Parte, t. 121/I e 121/II), costituiti da circa 500 tavole redatte in occasione di una vasta operazione di ricognizione, descrizione e misurazione delle strade pubbliche del contado e distretto fiorentino voluta dal Granduca, per obbligare le diverse Comunità a provvedere alla loro manutenzione e restauro (1582–1586), nonché per riordinare la materia del mantenimento delle strade, già regolata in epoca repubblicana sulla base del Libro vecchio di strade, redatto dagli Ufficiali della Torre nel 1318.
Le mappe di Popoli e Strade del fondo delle Piante dei Capitani di Parte Guelfa sono state pubblicate in Pansini e Rombai, a cura di, 1989;
– le Piante delle diocesi toscane, raccolte in tre Atlanti di cui l’ultimo disegnato da Luigi Giachi tra il 1793 e il 1795, conservate in parte in ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone XXIII; in parte in ASF, Miscellanea di piante e in parte al SUAP (Archivio di Stato di Praga);
– le carte della Soprintendenza sulla Valdichiana, istituita con mp 5 agosto 1702 ed avente a capo il soprasindaco dei Nove Conservatori.
Altre carte riferibili ai Capitani di Parte sono inoltre inserite nel fondo ASF, Miscellanea di Piante, tra cui i “Disegni di più ponti dello Stato di SAR e profili di fiumi e strade”, comprendente 55 disegni di ponti e 5 piante di percorsi stradali redatti da vari autori tra il 1705 e il 1729 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 751, 751/a – vII).

Operatori

Numerosissimi furono gli operatori e i tecnici impiegati nella Magistratura tra il XVI e il XVII secolo, con funzioni e denominazioni differenti. Tra gli Ingegneri si ricordano:
XVI sec.:
Nanni Ungaro, Niccolò Pericoli detto Il Tribolo (nel 1542 Ingegnere dei Fiumi della Valle; nel 1549 Ingegnere della Sezione Castello), Giovan Battista Belluzzi (nel 1549 Ingegnere della Sezione Castello), Giovanni Camerini (1569), David Fortini (entra nella Parte nel 1550, nel 1559 è Ingegnere della Sezione Castello; lavora nella Magistratura per più di 40 anni e dal 1587 è responsabile tecnico dell’Ufficio dei Fossi di Pisa; spesso lavora anche per i Nove Conservatori), Bernardo Buontalenti (entra nella Parte nel 1559, dal 1569 è Ingegnere dei Fiumi), Girolamo di Pace da Prato (1558), Pasqualino Boni, Pasqualino d’Ancona (che compare tra i creditori della Magistratura dal 1550, entra nei ranghi della Parte il 28 febbraio 1553 e viene nominato Ingegnere dei Fiumi rimanendo in carica fino al 1567), Zanobi Pagni o Di Pagno (anni ’70 del XVI sec.), Raffaello Pagni o di Pagno (figlio di Zanobi, Ingegnere dei Fiumi dal 1587, nel 1588 subentra a Bernardo Buontalenti), Gherardo Mechini (Ingegnere dei Fiumi dal 1594), Aristotele da Sangallo (nel 1549 Ingegnere della Sezione Castello), Baldassarre Lanci (nel 1559 Ingegnere della Sezione Castello), Bernardo Puccini (nel 1559 Ingegnere della Sezione Castello), Pietro Tacca, Alessandro Resta, Antonio Ricasoli, Andrea Sandrini (opera a cavallo tra XVI e XVII sec.), Achille Pinamonti, Bastiano Bonelli (nel 1597 “Agente di strade” e perito), Filippo d’Andrea (“Agente di strade” tra il 1582 e il 1586), Piero del Zucca (“Agente di strade” nel 1559), Battista Battaglioni (“Agente di strade”, muore nel 1571), Giovanni da Montauto (“Agente di strade” nel 1571), Lorenzo di Michelagnelo Vestrucci da Montevarchi (“Agente di strade”), Giovanni Picconieri (“Agente di strade” tra il 1589 e il 1618), Bastiano Bonelli (“Agente di strade” dal 1597 al 1604), Matteo Colombani, Alessandro Pieroni (che succede a Raffaello di Pagnio), Matteo di Dionigi Nigetti, Bartolomeo Ammannati, Baccio Bandinelli (che compie per la Parte lavori in Valdinievole nel XVI sec.), Cosimo Bossi (1592), Ridolfo Altoviti (1594), Bartolomeo Concini (1578), Carlo Pitti, Luigi Masini, Vincenzo Vagnotti (che nel 1557 svolge opere di bonifica nel piano di Cortona).
XVII sec.:
Alessandro Bortolotti (che succede nel 1621 a Gherardo Mechini, dal 1642 si occupa della tenuta di S. Rossore per lo Scrittoio delle Possesioni, muore entro il 1648), Guglielmo Gargiolli, Baccio del Bianco (nella Parte dal 1637 al 1650), Stefano Fantoni (occupato anche nello Scrittoio delle Possesioni), Francesco Cecchi (nella Parte dal 1648; serve contemporaneamente lo Scrittoio delle RR. Fabbriche), Lorenzo del Nobolo (anch’egli nei Capitani di Parte dal 1648 e opera contemporaneamente nello Scrittoio delle RR. Fabbriche), Vincenzo Viviani (che entra come “aiuto” nel 1645, nel 1653 diviene sostituto di Baccio del Bianco, è nominato Ingegnere dal 1658, dal 1666 risulta interpellato solo nei casi di maggiore impegno), Francesco Cennini (nel 1680 nominato Camarlingo alle Possessioni), Giovan Battista Cennini (nel 1680 subentra al fratello Francesco come Commissario dei lastrici, Pagatore dei fiumi e Munizioniere), Michele Gori (che lavora a cavallo tra XVII e XVIII sec., opera anche come Ingegnere delle Congregazioni del Valdarno di Sopra e di Sotto; redige una Pianta di Mercato Vecchio, 1697, conservata in ASF, Miscellanea di Piante, n, 170), Giovanni Azzi, Bonifazio Pampani, Cosimo Pugliani, Giovanni Maria Del Fantasia (a cavallo tra XVII e XVIII sec.), Francesco Generini, Giulio Parigi (nella Magistratura fino al 1635), Alfonso Parigi il giovane (presente nella Parte nei decenni successivi al 1630), Niccolò Fortini (figlio di David, entra nel 1593), Giuseppe Santini (presente nel 1679), Giuliano Ciaccheri (nato nel 1644 e morto nel 1706, risulta nella Parte nel 1679 ca.), Giovan Francesco Cantagallina (nel 1616 Ingegnere personale del Granduca), Luigi Masini (1603), Simone da Gagliano (1603), Piero Chiarugi (“Agente di strade” nel 1613), Lorenzo del Sette (“Agente di strade” dal 1604 al 1609), Andrea Chiarugi (“Agente di strade” dal 1609 al 1629), Francesco Anitrini (1600), Pietro Petruccini (1619), Francesco Landini (1664).
XVIII sec.:
Tommaso Perelli, Giuseppe Merlini, Jadod o Jadot, Donato Maria Fini, Gregorio Michele Ciocchi, Giovanni Franchi, Vittorio Anastasi, Dario Giuseppe Buonenove, Giovan Filippo Ciocchi, Bernardo Sansone Sgrilli, Giuliano Anastasi o Anastagi (“Ingegnere di Strade e Ponti” nel 1718), Anastasio Anastasi (entra negli anni intorno al 1740, fino al 1760 circa è “Ingegnere della Soprintendenza alle nuove strade”), Giovan Battista Bettini (nominato nel 1718 “Agente di Strade” per la Congregazione di Strade e Ponti, vedi Toccafondi e Vivoli, 1993, p. 216, muore nel 1739), Angiolo Bettini (Ingegnere dal 1739), Antonio Falleri (1739), Angiolo Maria Mascagni (1739), Ferdinando Morozzi (Ingegnere dal 1749), Luigi Giachi (a lui si devono le Piante delle Diocesi toscane, raccolte in tre Atlanti di cui l’ultimo, redatto tra il 1793 e il 1795, conservato in ASF, Miscellanea di Piante), Stefano Zocchi (nella Parte nel 1722, redige i disegni di Ponti conservati in ASF, Miscellanea di Piante), Lorenzo Merlini (nella Parte tra il 1703 e il1705, lavori ai disegni di ponti conservati in ASF, Miscellanea di Piante), Bernardino Fantastici (1778), Anton Giuseppe Fornari o Fornai (1747), Giuliano Gatteschi (1772), Mannoni (1783), Michele Pacini (1712), Giovannozzi Giovannozzi (1712, muore nel 1722), Giuseppe Ignazio Rossi (1731), Giovanni Maria Veraci (1731), Ferdinando Ruggieri (1739), Francesco Sodi (presente nella Parte nella Seconda metà del XVIII sec.), Pietro Sarrini (1713).
Tra gli Aiuto-Ingegnere:
XVII sec.:
Pietro Petruccini o Petrucciani da Siena (tra il 1619 e il 1624), Francesco di Giuliano Fantoni (dal 1624 al 1634, fratello di Stefano Fantoni), Felice Gamberai (tra il 1636 e il 1642), Giovan Pietro della Bella (allievo di Pietro Tacca, nella Parte dal 1642, nel 1654 gli viene concesso il titolo di Ingegnere nonostante sia sempre “aiuto”), Pier Francesco Silvani (dal 1645), Raffaello del Bianco (figlio di Baccio, entra nel ruolo nel 1658, dal 1676 passa impiegato allo Scrittoio delle RR. Fabbriche), Francesco Cecchi Conti (dal 1650 al 1660, contemporaneamente è anche aiuto alle RR. Fabbriche), Mariano Mormorai (dal 1650 al 1660, nello stesso tempo lavora anche come aiuto alle RR. Fabbriche), Francesco Landini (dal 1650 al 1660, presente anche come aiuto nello Scrittoio delle RR. Fabbriche), Gualterotto Cecchi (dal 1650 al 1660, lavora anche in qualità di aiuto alle RR. Fabbriche), Annibale Cecchi (nella Parte dal 1649 al 1652, lavora con Vincenzo Viviani e Baccio del Bianco ai lavori sul fiume Ombrone), Giuliano Ciaccheri (collabora come aiuto del Viviani dal 1661, dal 1678 partecipa ai lavori all’Ombrone), Michele di Silvestro Gori (dal 1678 presente sui lavori all’Ombrone), Ridolfo Giamberti (dal 1678 presente sui lavori all’Ombrone), Francesco Generini (allievo di Pietro Tacca, nel 1648 entra nella Parte e nel 1654 gli è concesso il titolo di Ingegnere nonostante sia sempre “aiuto”), Francesco Landini, Jacopo Ramponi (“Ministro d’Arno” dal 28 agosto 1672), Giuseppe Balatri (“Ministo d’Arno” dal 1666, fratello di Giovan Battista Balatri e nipote di Matteo Nigetti), Giovanni di Bartolomeo Bruschieri (nel 1654 supplica di essere ammesso nella Parte “senza provvisione”).
XVIII sec.:
Luigi Orlandi (nel 1723 risulta nella sorveglianza ai lavori nelle Chiane), Angiolo di Giovan Battista Bettini (dal 1739), Pietro Paolo Giovannozzi (fratello di Giovannozzo, nella Parte dal 1722), Vittorio Anastasi, Ferdinando Morozzi (nel 1751, su incarico del Consiglio di Reggenza, inizia la compilazione della carta amministrativa della Toscana con la rilevazione di tutte le circoscrizioni provinciali esistenti, che prosegue dal 1771 al 1774; nel 1784 completa la Carta generale della Toscana), Giuseppe Salvetti (imborsato dal 1757), Girolamo Zazzerini (1703), Innocenzio Giovannozzi (collabora col padre Pietro Paolo dal 1725), Bernardo Sansone Sgrilli (nella Parte dal 1724 al 1774 ca.), Luigi Sgrilli (figlio di Sansone), Bartolomeo Vanni (nasce nel 1662, muore nel 1732, è “aiuto” nella Parte dal 1707 al 1732), Ferdinando Ruggieri (nasce nel 1687, muore nel 1741, “aiuto” nella Parte tra dal 1732), Francesco Donzelli (nel 1727 redige la Pianta del territorio di Montescudaio, in ASF, Miscellanea di Piante, n. 176), Felice Innocenzio Ramponi (1749), Giovanni Maria Veraci (1749), Giovan Filippo Ciocchi (1749), Bernardino Ciurini (1749), Angiolo Maria Mascagni (1749), Arcangiolo Felice Bettini (1749), Anastasio Anastagi (1749), Jacopo Antonio Spadini (1749), Dario Giuseppe Buonenove (1749), Antonio Falleri (1749), Antonio Giuseppe Fornari (1749), Giovanni Giorgio Kindt (1749), Anton Domenico Somigli (1749), Pier Giorgio Fabbroni (1749), Michele Piazzini (1749), Antonio Ludovico da Galasso (1749), Anton Domenico Mazzantini (1749), Gaetano Faini (1749), Antonio Buonamici.
Come Maestri d’Artiglieria si ricordano:
XVI sec.: Alessandro Lastricati (1549), Iacopo Antonio da Cremona (1559), Girolamo Bonetti (1569).
Tra i Capimaestri:
XVI sec.:
Francesco Mechini, Amadio di Vincenzo Baccelli da Sangallo, Bastiano di Giusto del Frusa, Battista Battaglioni, Bernardino di Piero Bassi, Domenico di Zanobi, David Fortini (genero del Tribolo, collabora con Buontalenti tra il 1570 e il 1590), Francesco di Donnino o Donnini, Francesco di Salvatore da Gagliano, Gherardo di Francesco Mechini da Settignano, Giovanni di Zanobi, Gismondo di Giovanni di Bruno, Lorenzo di Antonio Berti, Luca di Francesco del Moro, Nicodemo di Lorenzo Bozzolini, Piero di Francesco di Donnino o Donnini, Pietro del Zucca, Piero di Domenico Cecini o Caccini da S. Agata di Mugello (nel 1580 “Agente di Strade, nel 1585 Capomaestro, partecipa alla redazione definitiva delle piante di “Popoli e Strade”), Giovanni di Domenico Fornaciari detto lo Spagna (entra nel 1571), Lorenzo di Michelangelo Vestrucci da Montevarchi, Battista di Virgilio detto l’Azzurrino, Francesco di Giovanni di Baccio Baglioni (1580), Simone di Francesco da Gagliano (1582), Domenico di Leonardo Chiari (1582), Piero di Gentile Diligenti o Diligenzi (tra il 1577 e il 1580 è “Ministro d’Arno del Valdarno di Sopra”, collabora con Buontalenti dal 1577 al 1592, muore nel 1594), Filippo d’Andrea da Strada, Francesco Anitrini (1581), Luigi di Francesco Masini (nato nel 1520, Capomastro dal 1542 fino al 1585), Lorenzo di Giovanni Lucini (tra il 1580 e il 1585 partecipa alla redazione definitiva delle piante di “Popoli e Strade”, dal 1587 collabora con Buontalenti), Francesco di Giuliano di Baccio Baglioni, Raffaello Del Vernaccia (1582); Zanobi Del Vernaccia (muore nel gennaio 1582), Giovanni di Piero Passi o dei Passi detto il Valdimarina (conclude la carriera nel 1590), Bernardo Rabatti, Francesco Busini, Marcantonio Berti, Alfonso Parigi il Vecchio (lavora anche per i Nove Conservatori), Domenico Zanobini, Cosimo di Cipriano Bossi (“Commissario dei lastrichi”, in servizio dal 1571, muore nel 1606), Lorenzo di Michelangelo Vestrucci (nel 1575 “Agente di Strade”, nel 1580 “Ministro dell’Arno del Valdarno di Sopra”, tra il 1572 e il 1588 collabora con Bernardo Buontalenti), Gentile Diligenti (padre di Piero, nella Parte tra il 1550 e il 1572), Matteo Colombani (opera dal 1589), Michelangelo Masini (figlio di Luigi, nella Parte dal 1585), Vincenzo Vagnotti, Andrea di Piero Chiarugi detto Il Ciambella (nato 1561, opera nella Parte fino al 1629 come “Agente di Strade”), Giovan Battista di Raffaello Battaglioni, Francesco da Montauto, Alfonso di Santi Parigi il Vecchio (impiegato come muratore, lavora nella Parte fino al 1597; contemporaneamente presta la sua opera ai Nove Conservatori), Giovanni Messeri (Agrimensore, 1577), Francesco di Roberto Venturi (“Agente di strade”, 1555), Piero di Raffaello Velluti (“Agente di strade”, 1555), Piero del Zucca.
XVII sec.:
Filippo Lasagnini (nel 1606 “Commissario dei Lastrichi”), Niccolò Fortini (figlio di David, entra nel 1593), Giovanni Vannuccori, Piero Pierotti (opera a cavallo tra XVII e XVIII sec.), Silvano Gabbrielli, Lorenzo Sarrini (“Ministro d’Arno”), Baldassarre Sarrini (“Ministro d’Arno”), Lorenzo Petrozzi da Perugia, Simone Pieri (lavora tra XVII e XVIII sec.), Giovanni Giubilei, Jacopo Squadrini, Francesco della Nave (“Ministro d’Arno”, si licenzia nel 1653), Michele Ciocca, Jacopo dell’Incisa, Giovanni Frilli, Michelangelo Masini, Agostino Cilliani (“Agente di strade”, 1631), Bastiano di Francesco Bonelli (nel 1606 risulta nei lavori di ispezione della Chiana).
XVIII sec.:
Giovanni Pesciulli, Domenico Pesciulli, Vincenzo Favi, Agostino Gamberai, Andrea Tosi, Jacopo Pazzi (“Agente di Strade”, licenziato nel 1718 dalla Congregazione di Strade e Ponti, vedi Toccafondi e Vivoli, 1993, p. 216), Mariotto Casali (idem c.s.), Agostino Maria Fortini (“Commissario dei Lastrici” 1763), Raffaello Paganelli (redige tra il 1774 e il 1776 il Plantario della Comunità di Pontassieve), Giuseppe Medici (perito, 1761).
Altri incarichi o collaborazioni sporadiche risultano affidati a Bartolomeo Ammannati, Giorgio Vasari, Francesco da Sangallo, Jacopo Carrucci detto il Pontormo (1549), Baccio Bandinelli (1588), Filippo di Bernardo Buontalenti (oltre ad essere nominato per diverse consulenze, nel 1579 risulta “Provveditore dei Fiumi”), Domenico Marcacci (capomastro pistoiese, compie con il capomastro Lucini visite al fiume Pescia a Collodi nel 1601), Giuseppe Ignazio Rossi (XVIII sec.), Gaspero Paganelli da Nipozzano (nel 1764 disegna il Cabreo della proprietà Bargigli di Camperiti; a lui si deve anche il Plantario delle strade della Comunità di Rignano, del 1774 ca.), Antonio Ferri, Giovan Battista Foggini.
Tra gli altri tecnici operanti nella Parte, ma in periodi e/o con ruoli non bene identificati, risultano: Ridolfo Giamberti (opera tra il XVI e il XVII sec.), Giovan Domenico degli Albizi (XVII sec.), Cristoforo Berardi, Francesco Zati, Giovan Francesco Giannetti (XVII sec.), Domenico Cecchi (XVIII sec.), Anton Francesco Zocchi (XVIII sec.), Francesco Santuccio di Coreglia, Francesco Gennaini, Domenico Sarrini, Antonio da Sangallo il Vecchio, Pietro Del Puglia, Francesco di Battista, Odoardo Corsini, Dario Donati, Gherardo Boscoli, Pietro Giardini, Filippo Grobert, Pietro Maestrelli, Felice Arcangelo Bettini, Bastiano di Francesco Bonelli (capomastro), Prospero Buonmattei, Matteo Colombani (XVI sec.), Giuliano Gatteschi (XVIII sec.), Sebastiano Mirridolfi, Michele Pacini (XVIII sec.), Simone Pieri (XVII–XVIII sec.), Giuliano Salviati, Domenico Zanobini (XVI sec.), Stefano Zocchi (XVIII sec.), Antonio Matteo Lancisi (capitano e ingegnere, a lui si deve una pianta dell’alta Valtiberina), Iacopo Polverini, Giovanni Luder (compilatore della raccolta relativa alla montagna pistoiese, 1711, conservata in ASF, Piante dei Capitani di Parte, cartone XXV).
Tra i Viai sono nominati Domenico d’Agnolo Rosini, Giovanni di Stefano Fanetti, Piero di Matteo Corboli, Santi di Pasquino di Stinaro.

Riferimenti bibliografici e archivistici

Benigni e de Gramatica, 1998, pp. 18-34; Bertocci, Bini e Martellacci, 1991; Bigazzi, Grazi e Giulianelli, a cura di, 1985; Breschi, 1981, pp. 23-66; Casali et Al., 1985; Casali e Diana, 1983; Cresti, 1987; Di Pietro e Fanelli, 1973; Ferretti, 2004; Guida generale agli Archivi di Stato italiani, Firenze 1983, pp. 61 e 73; Guarducci e Rombai, 1998; Guarducci e Rombai, 1999, pp. 71-109; Guarducci, 1986, pp. 73-136; Karwacka Codini e Sbrilli, 1987; Lamberini e Lazzareschi, 1982; Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, 1980; Ludovico, 1991; Mantovani, 1987; Nanni, Pierulivo e Regoli, 1996; Nuti, 1927, pp. 155-159; Orefice, 1984, pp. 119-128; Orefice e Martellacci, 1988; Pansini, 1993; Pansini, a cura di, 1989, pp. 7-19; Piccardi, 1999–2004; Piccardi, 2001; Pisa. Iconografia a stampa dal XV al XVIII secolo, 1991; Prontera e Rombai, 2003; Rombai, 1983, pp. 83-100; Rombai, 1987; Rombai, 1987, vol. I, pp. 367-414; Rombai, 1989, vol. I, pp. 21-35; Rombai, 1993, pp. pp. 9-18, 103-146 e 203-229; Rombai, 1995, pp. 41-50; Rombai, 1997, pp. 111-138 e 57-98; Rombai, 2001, pp. 413-438; Rombai e Sorelli, 1992, pp. 37-71; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 474-475; Rombai e Vivoli, 1996, pp. 141-163; Salvagnini, 1983; Sguardo generale sulla cartografia e cartografi italiani nel Medio Evo, 1985; Stopani, 1986, pp. 5-15; Stopani, 1984, pp. 21-61; Tartaro, 1992–1993; Tesi, a cura di, 1981; Toccafondi, 1996, pp. 147-170; Toccafondi e Vivoli, 1987, vol. I, pp. 167-202; Valentini, 1993, pp. 245-303; Vivoli, 1993, pp. 225-239; Vivoli, 1994; ASF, Piante dei Capitani di Parte Guelfa; ASF, Piante dei Capitani di Parte Guelfa. Popoli e Strade; ASF, Miscellanea di Piante.

Rosamaria Martellacci

Camera delle Comunità

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Camera delle comunità, luoghi pii, strade e fiumi (1769-1802)

Camera di Soprintendenza comunitativa (1814-1848)

Le riforme leopoldine, con la riorganizzazione delle sedi amministrative e giudiziarie e la riformulazione di compiti e funzioni di giusdicenti e cancellieri, nonché con la ristrutturazione delle circoscrizioni comunitative, portano alla costituzione del Tribunale e Magistratura della Camera delle comunità, luoghi pii, strade e fiumi, istituita dal granduca Pietro Leopoldo con mp del 22 giugno 1769, con i compiti di controllare i bilanci delle comunità, di sovrintendere ai lavori di strade, ponti e fiumi, e di verifica delle attività dei Monti Pii, tramite la figura del Soprassindaco: con competenza su tutto ciò che concerne l’amministrazione economica delle comunità e dei corpi morali dipendenti da esse, in particolare per quanto riguarda la riscossione dei tributi su tutto il territorio appartenente all’antico dominio fiorentino.
Si mette in tal modo ordine alla precedente organizzazione che vedeva due magistrature distinte, i Capitani di Parte Guelfa e i Nove Conservatori del Dominio e della Giurisdizione Fiorentina, con tutte le congregazioni annesse, compresi gli Uffiziali di Fiumi, ponti e strade, che avevano competenza simili e sovrapponibili, ad esempio sul controllo dell’opera degli agenti di strade; una situazione di confusione istituzionale che già nel 1606 aveva indotto il granduca Ferdinando I a stabilire un’unica Soprintendenza formata dal Provveditore della Parte e dal Soprassindaco dei Nove, che si era successivamente trasformata nella Congregazione di strade e ponti. Il nuovo tribunale giudiziario, formato da tre auditori, competente a giudicare le cause fra le comunità i luoghi pii e i privati, viene abolito con mp del 22 agosto 1782, quando Pietro Leopoldo ne trasferisce l’autorità alle singole comunità locali. La Camera delle Comunità, che assorbe il personale tecnico amministrativo della precedete Congregazione, è gestita da un soprassindaco che, con alcuni aiuti e un avvocato, esercita sia il controllo sulla riscossione di vari tributi sul territorio del dominio, ad eccezione dell’antico Stato di Siena, e sia la tutela sulle comunità del contado e del distretto, ad esclusione del territorio pisano, sottoposto all’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa. Alla Camera, inoltre, viene sottoposto l’Archivio delle decime che può disporre di un proprio organico formato da un archivista, da un computista e da due ingegneri; occasionalmente vengono usati altri tecnici operanti anche per lo Scrittoio delle Possessioni.
Soppressa, dopo l’istituzione – con mp del 6 ottobre 1802 – dell’Ufficio generale delle Comunità con competenza su tutto il territorio toscano, quando viene anche creato il Servizio Imperiale dei Ponti e Argini (ANP, Serie F2, Administration Départementale; Serie F13, Bâtiments Civils; Serie F14, Travaux Publics, Cartes et plans), la Camera è ricostituita con mp del 27 giugno 1814 ed unita all’Ufficio generale delle comunità di Siena, all’Ufficio dei fossi di Pisa, all’Ufficio dei fossi e delle coltivazioni di Grosseto e alla nuova Camera di Arezzo, trasformandosi nella Camera di Soprintendenza Comunitativa. Nello stesso anno, avviate le operazioni di formazione di un nuovo catasto geometrico particellare, è istituito il Dipartimento per la conservazione del catasto e per la direzione dei lavori di acque e strade, il cui soprintendente è tenuto istituzionalmente a relazionarsi con la camera di Soprintendenza Comunitativa per quanto concernente lavori di acque e strade, bilanci di comunità e archivio delle decime.
Alla Camera di Soprintendenza Comunitativa del Dipartimento Pisano, creata nel 1814, è demandato il compito di riscuotere la tassa prediale e la nuova imposta per le spese del catasto, di curare molti lavori pubblici e la sorveglianza di fiumi e canali, in particolare dell’Arno, del Serchio, del Canale Imperiale, del Canale dei Navicelli e di quello di Ripafratta (ASF, Segreteria Gabinetto Appendice, 97/2, Soprintendenza generale delle Comunità, 1814). Nel 1825, nell’ambito della riorganizzazione generale della materia voluta da Leopoldo II che porta alla creazione del Corpo degli Ingegneri di acque e strade, il controllo degli enti locali viene separato dal Dipartimento per la conservazione del catasto, e nuovamente assegnato alle Camere di Soprintendenza Comunitativa, di Firenze, Pisa, Siena, Arezzo e Grosseto (ASF, Segreteria di Gabinetto, f. 396, Istruzioni per gli Uffizi Communitativi), ognuna delle quali aveva il controllo di una circoscrizione territoriale, che prende il nome di compartimento, a sua volta suddiviso in circondari e comunità; la gestione di ogni singolo circondario è affidata, per quanto riguarda gli interventi urbanistici, edilizi e igienici, a un ingegnere di circondario, mentre in ognuna delle cinque Camere vi deve essere un ingegnere, con il titolo di ispettore e solo per i compartimenti di Firenze e Pisa si decide che questi sia coadiuvato da un sottoispettore (ASF, Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana, vol. XIX, 1825, LXXXIII). Dopo la riforma del 1825, la Camera pisana ha giurisdizione sui circondari di Pisa, Lari, Pontedera, Campiglia Marittima, Pontremoli, Livorno, Pietrasanta e Portoferraio.
Per quanto riguarda il territorio senese, abolita nel 1786 la magistratura dei Quattro Conservatori della città e Stato di Siena, creata nel 1561 da Cosimo I, le sue competenze sono demandate all’Ufficio generale delle comunità e dal 1825, abolito quest’ultimo, alla nuova Camera di soprintendenza comunitativa di Siena. Analogamente, alla Camera di soprintendenza comunitativa di Grosseto, subentrata nel 1825 al soppresso Ufficio dei fossi e delle coltivazioni, vengono assegnate le competenze sugli affari delle comunità della provincia, essendo affiancata dall’ingegnere ispettore del circondario (1825) e dall’Ufficio di Bonificamento della Maremma (1829) che controlla economicamente, tramite la partecipazione del proprio provveditore alla Commissione idraulico-economica.
I compiti delle soprintendenze sono negli anni successivi assorbiti in modo graduale da una nuova istituzione, nata nel 1834 con il nome di Direzione generale dei lavori di acque e strade, sino a quando, con mp del 29 dicembre 1840, è istituita la Soprintendenza generale delle comunità, che esercitava funzioni di controllo sia sulle comunità che sulle soprintendenze comunitative, a cui è sottoposto anche l’Ufficio per la conservazione del catasto. La soprintendenza generale e quelle locali sono definitivamente soppresse nel 1848, quando vengono istituite le prefetture.

Produzione cartografica

Data la complessa vicenda istituzionale, risulta difficile quantificare e persino individuare il materiale cartografico prodotto da questa magistratura, anche se sono sicuramente da attribuirsi all’attività della Camera delle comunità, e successivamente alla Camera di Soprintendenza comunitativa, parte delle carte conservate nell’ASF, nel fondo Piante di ponti e strade, composto di circa 100 carte manoscritte, risalenti ad un periodo compreso fra il XVIII e il XIX secolo, e comunque di difficile consultazione in quanto dispone solo di un inventario sommario redatto nel 1912.
Ancora nell’ASF, nel fondo Miscellanea di piante sono conservate alcune carte riferibili all’ultimo periodo di attività della Soprintendenza in relazione alla realizzazione di alcuni nuovi tratti di strade regie, e di linee ferroviarie e stazioni, come ad esempio la Pianta della strada Regia da Firenze a Pontassieve (n. 12) e la Pianta della Strada Aretina da Pontassieve a Montevarchi (n. 13) che documentano i lavori di allargamento e rinnovamento della strada avvenuti alla metà dell’Ottocento. E’inoltre ipotizzabile che alcuni documenti cartografici relativi alla Camera siano compresi in Piante della Direzione generale delle acque e strade.
Altri documenti cartografici, riferibili alla Camera di Soprintendenza Comunitativa di Pisa sono rintracciabili in ASP, Piante dell’Ufficio fiumi e fossi di Pisa. In particolare è da attribuirsi a questo ufficio il corpus di 46 mappe topografiche, derivate per riduzione dai quadri d’unione del catasto granducale particellare, risalenti alla fine degli anni ’30 del XIX secolo, che riportano confini, viabilità, idrografia e insediamenti presenti nelle varie comunità del territorio pisano (nn. 175-220).

Operatori

Non avendo un corpo tecnico proprio, la Camera utilizzava per la sua attività tecnici, ingegneri, architetti e agrimensori dipendenti da altri uffici, in particolare, al momento della sua istituzione, fanno parte dell’Archivio delle decime, oltre ai matematici Pietro Ferroni, gli ingegneri Giuseppe Salvetti e Giovanni Spadini. Ingegneri e architetti, non impiegati continuativamente ma attivi alla fine del Settecento, sono Bernardino della Porta, Giovan Battista Giudici, Anastagio Anastagi e Giovanni Kindt (Direzione dei lavori di acque e strade), Neri Zocchi e Stefano Diletti (Soprintendenza comunitativa di Pisa), Antonio Capretti (Ufficio fiumi e fossi di Pisa), Giuseppe Franceschi (Ordine dei Cavalieri di S. Stefano); vanno inoltre ricordati Giuseppe Manetti (architetto granducale), l’ Abate Francesco Puccinelli e il Padre Cosimo Peintinger.
Molto più ampio il novero dei tecnici impiegati a vario titolo nel corso dell’Ottocento, in particolare attivi nell’area pisana e grossetana. Per la prima la completa schedatura dei disegni e delle carte relativi alla Camera di Soprintendenza Comunitativa di Pisa, lavoro che manca per il resto del territorio toscano, ha permesso di individuare i nomi di coloro che a vario titolo prestano la loro opera nell’ambito dell’ufficio, ingegneri, architetti, periti, agrimensori che collaborano nella redazione dell’ampio corredo cartografico alle pratiche dei lavori portati avanti da questa magistratura. Fanno parte della Camera pisana Luigi Baggiani, Luigi Baglini, Gaetano Becherucci, Angiolo Bellugi, Roberto Bombicci, Giuseppe Caluri, Ridolfo Castinelli, Lodovico Cateni, Angiolo Cianferoni, Alfonso Daguerre, Francesco Del Greco, Pompeo Ferrai, Antonio Lapi, Costante Maestrelli, Lorenzo Materassi, Gaetano Pasquini, Giuseppe Peselli, Giovan Battista Picchianti, Antonio Piccioli, Corrado Piccioni, Raffaello Rimediotti, Ferdinando Sanminiatelli, Nicola Scrivere e Antonio Torracchi.

Riferimenti bibliografici e archivistici

Barsanti, 1987; Caciagli e Castiglia, 2001; Cresti e Zangheri, 1978; Guida generale agli Archivi di Stato italiani, 1983; Giglia, 1997; Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, 1969, I; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987; Wandruska, 1965; ASF, Segreteria di Gabinetto; ASF, Segreteria di Gabinetto Appendice; ASF, Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana, vol. XIX, 1825, LXXXIII; ASP, Piante dell’Ufficio fiumi e fossi di Pisa; ANP, Serie F2, Administration Départementale; ANP, Serie F13, Bâtiments Civils; ANP, Serie F14, Travaux Publics, Cartes et plans.

Gabriella Orefice (Siena)