Archivi tag: Siena

De Greyss, Antonino Fortunato

Antonino Fortunato De Greyss
N.
M.

Relazioni di parentela: Antonino Fortunato e Benedetto Felice erano figli di Francesco, di famiglia di origine tedesca, ambedue religiosi dell'Ordine dei Frati Predicatori Domenicani

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Disegnatore e incisore

Biografia:

Produzione scientifica:
Benedetto è noto per la tecnica del "tocco in penna", consistente nel ripassare con una sottile penna inchiostrata i contorni di un disegno, in modo tale da renderlo simile ad una incisione.
Antonino Fortunato, anche lui abile disegnatore, si specializzò invece nell'arte della miniatura e nel disegno delle carte geografiche.
Nel 1772 e 1774 realizzò una carta manoscritta dello Stato Senese in due diversi fogli e alla scala approssimativa di 1:100.000: la Carta Topografica della Provincia Inferiore dello Stato di Siena in Toscana... e la Carta Topografica della Provincia Superiore dello Stato di Siena... (ambedue in SUAP, RAT 239 e 240; due prodotti analoghi sono anche in ASS, incorniciati nel corridoio principale di accesso alla sala di consultazione). Quanto alla configurazione d’insieme e ai contenuti topografici (ripartizione amministrativa in province, insediamenti, strade e idrografia), queste due figure non si segnalano particolarmente rispetto ai prodotti coevi dei cartografi granducali: semmai De Greyss aggiunge di suo non poche annotazioni di ordine storico-topografico e archeologico per sedi umane e vie di comunicazione, indicando altresì innumerevoli opifici e miniere (Rombai e Ciampi, 1979, p. 104; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 124-127).
Nel 1776 disegnò un'altra carta manoscritta dal titolo Descrizione delle Provincie del Casentino, e del Mugello; della Romagna del Gran Ducato di Toscana; del Territorio Aretino; del Piano di Cortona; e del corso di tutta la Chiana... (in SUAP, RAT 241; una copia è in BMF, Manoscritti Bandini B.I.19.1), che appare degna di maggiore apprezzamento anche perché – come leggesi nel lungo titolo – “il tutto” fu “disegnato in faccia dei luoghi”: infatti nell’ampia area inquadrata si riportano le principali sedi umane e strade (Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 128-129).
Nel 1787, una copia di tale carta fu richiesta all'autore dal canonico ed erudito Angelo Maria Bandini per utilizzarla nel suo Odeporico del Casentino rimasto però inedito in quella biblioteca fiorentina.
Antonino si cimentò in produzioni di maggiore impegno quali le carte corografiche della Toscana. Pare addirittura che già nel 1747 avesse disegnato una prima versione della rappresentazione, cui continuò a lavorare finché, nel 1789, offrì inutilmente in vendita al granduca il prodotto finito (Rombai, 1987, p. 305): una grande carta manoscritta della Toscana che l’autore di questa scheda ha avuto modo di vedere e che risulta essere attualmente posseduta da un collezionista fiorentino.
In seguito, su incarico dei rispettivi vescovi, lavorò alle rappresentazioni delle diocesi di Pisa, Arezzo, Pistoia e Prato: sull'ubicazione attuale di tali carte non si hanno notizie.
C’è infine da sottolineare il fatto che il padre Degreyss è ricordato da Ximenes come autore di un’altra carta ora non reperibile (ma che fu posseduta dallo stesso matematico): la Pianta del Dominio e distretto della Città di Montepulciano (Barsanti e Rombai, 1987, p. 240).
Che De Greyss abbia avuto rapporti diretti con l’amministrazione lorenese è dimostrato dalla presenza nel praghese Archivio Lorena (SUAP, RAT, Petr Leopold, ms. 8, cc. 90-95) di una perizia su Castiglione della Pescaia redatta proprio da padre Antonino “da Siena, Convento di S. Spirito 7 gennaio 1773” (Bonelli Conenna, a cura di, 1997, p. 29).

Produzione di cartografia manoscritta:
Carta Topografica della Provincia Inferiore dello Stato di Siena in Toscana..., 1772-74, e Carta Topografica della Provincia Superiore dello Stato di Siena [...], 1772-74 (in SUAP, RAT 239 e 240; e in ASS, in cornice nel corridoio principale);
Descrizione delle Provincie del Casentino, e del Mugello; della Romagna del Gran Ducato di Toscana; del Territorio Aretino; del Piano di Cortona; e del corso di tutta la Chiana... (in SUAP, RAT 241; e BMF, Manoscritti Bandini B.I.19.1).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 124-129; Rombai e Ciampi, 1979, p. 104; Barsanti e Rombai, 1987, p. 240; Bonelli Conenna, a cura di, 1997, p. 29; Rombai, 1987, p. 305; BMF, Manoscritti Bandini; ASS; SUAP, RAT.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

De Baillou, Giuseppe

Giuseppe De Baillou
N.
M.

Relazioni di parentela: Fu padre di Giovanni

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
Come colonnello del Genio Militare lorenese (vi entrò nel 1739), Giuseppe, barone della S. R. I., finì col ricoprirvi l'incarico di direttore generale dell'artiglieria e delle fortificazioni toscane (Carranza, in DBI, ad vocem).
Nel 1765, quando da un lustro era Provveditore alle Fortificazioni del Granducato di Toscana, fu incaricato, insieme al capitano Eoduard Warren e all'architetto pistoiese Romualdo Cilli, di progettare un piano di fabbricazione per un nuovo insediamento nel quartiere di S. Jacopo a Livorno; a tal fine Giuseppe e il Warren realizzarono una pianta del nuovo sobborgo previsto a Ponente, mentre il Cilli presentò un progetto da eseguirsi a Levante (soluzione che verrà poi adottata). La soluzione Warren-de Baillou prevedeva un impianto planimetrico a scacchiera con tipologie edilizie "a schiera" (in ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche, f. 266, n. 274).
Nella relazione della gita a Livorno dell’aprile 1774, il Granduca si lamentò apertamente della situazione del corpo militare, sottolineando: “nel corpo del Genio il colonnello Baillou non vuole far niente e si lascia dominare dal segretario Naccherelli e tenente Borsi, incapaci e venduti agli impresari”, tanto da proporre di “levare gli ingegneri al Baillou e mettervi per capo il Fazzi” (Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, III, 1974, pp. 296-297).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, III, 1974, pp. 296-297; Biagioli, 1975, pp. 19-21, 43 e 52; Cresti e Zangheri, 1978, p. 74; Rombai, 1987, pp. 383-384; Rombai, 1989, pp. 22-24 e 51-52; Rombai, 2001, p. 48; Rombai, 1993, pp. 123 e 155-157 e 370; Rombai, 1990, pp. 178-180; Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 241-242; Barsanti, a cura di, 1992, p. 47; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 120-121; Pera, 1867, pp. 317-321; Rombai e Torchia, 1994, p. 127; Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 127 e 661; Belcari, 2003, p. 236; Carranza, in DBI, ad vocem; Targioni Tozzetti, 1780, III; AOXF, Carte Giovanni Inghirami, da numerare; BNCF, Nuove Accessioni; SUAP, RAT; ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade; ASF, Segreteria di Finanze; ASF, Prefettura dell’Arno; ASF, Manoscritti; ASF, Acquisti diversi; ASF, Depositeria Generale, Parte antica; ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci e Leonardo Rombai

De Baillou, Giovanni

Giovanni De Baillou
N. Livorno 25 agosto 1758
M. Firenze 27 giugno 1819

Relazioni di parentela: Il nonno Giovanni fu anche membro dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria"; ed è proprio dagli "Atti e Memorie" di questa società (I, 1747, pp. 153-238) che traiamo la notizia di un suo impegnativo studio (non si sa se pubblicato, comunque presentato nel 1747) dal titolo Trattato Universale delle pietre preziose, metalli, minerali e altri fossili.
Il nostro Giovanni fu figlio d’arte, perché il padre, barone Giuseppe, nel 1739 entrò nel corpo del Genio militare costituito dal primo granduca lorenese, Francesco Stefano, fino a ricoprirvi l'incarico di direttore generale dell'artiglieria e delle fortificazioni, con il grado di colonnello.

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Nacque a Livorno il 25 agosto 1758 da una nobile famiglia francese o lorenese che si era trasferita prima a Milano, al servizio della casa d'Austria, poi a Parma e quindi a Firenze, allorché tra gli anni ’20 e ‘30 il granduca Gian Gastone dei Medici, su suggerimento del naturalista toscano Pier Antonio Micheli, nominò Giovanni de Baillou (nonno del nostro Giovanni) direttore della Reale Galleria (Targioni Tozzetti, 1780, III, p. 236).
Morì a Firenze il 27 giugno 1819.

Produzione scientifica:
Entrato nei pubblici uffici fiorentini, fece parte di quel gruppo di funzionari toscani che, sotto il governo illuminato del sovrano Pietro Leopoldo di Lorena, contribuirono alla realizzazione di un vasto e capillare progetto di riforma che, nella seconda metà del XVIII secolo, doveva mutare il volto della Toscana.
Nella pratica, Giovanni collaborò fattivamente con il senatore Francesco Maria Gianni al riordinamento dei regolamenti delle comunità e ad altre riforme civili.
Nel 1801, divenuta la Toscana Regno d'Etruria governato da Ludovico di Borbone, il Nostro fu uomo di spicco del nuovo governo filo-francese: venne infatti nominato alla carica di "Primo Geografo del Regno" (in tale carica sarà poi confermato nel 1807 da Napoleone come “geografo imperiale”).
E infatti Giovanni fu operoso geografo (dimostrando interesse per il lavoro sul terreno e per i documenti del passato, per le scienze della natura e per la statistica) e originale cartografo: fu posto a capo del Bureau Géographique de Toscane (cfr.), della cui fondazione egli stesso si occupò, e che sarà confermato anche durante l’annessione all’Impero, almeno fino al 1811.
Nel 1807, come geografo dello Stato, aveva una provvisione annua di 5040 lire (ASF, Depositeria Generale, Parte antica, 1648 (II), ins. 61: “Ruolo dello Scrittoio Geografico pagabile dall’Imperiale Depositeria il di 26 Dicembre 1807”).
De Baillou, a quanto risulta dai pochi documenti disponibili, dedicò buona parte della sua vita di tecnico statale e di studioso sul terreno (servendosi di rilevamenti geodetici e topografici e di indagini naturalistiche) alla costruzione della carta geografica della Toscana, che non venne però mai ultimata e consegnata alla stampa.
Di questa carta manoscritta della Toscana conosciamo la versione del 1804 in scala di 1:460.000 (oggi conservata in SUAP, RAT 37).
La rappresentazione, sia pur ancora lontana dalla perfezione (essendo costruita solo in parte con il metodo geodetico e con operazioni trigonometriche), appare tutto sommato un buon prodotto d'impostazione planimetrica, assai migliore di quelli tardo-settecenteschi. La carta riporta infatti contenuti topografici aggiornati riguardo al quadro degli insediamenti (compresi quelli nuovi, essenzialmente militari, costruiti nella seconda metà del XVIII secolo) e dell'assetto amministrativo, con speciale ricchezza dei toponimi anche territoriali.
Il disegno inquadra l'ampio territorio compreso tra Parma e Civitavecchia con la costiera adriatica romagnolo-marchigiana (Rombai, 1993, pp. 155-157; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 120-121).
La rappresentazione continuò ad essere perfezionata dall’autore fino alla morte, avvenuta a Firenze il 27 giugno 1819.
Dopo il decesso del De Baillou, fu venduta insieme ad altre geo-carte dagli eredi (precisamente dal figlio Giovanni Gualberto) al governo lorenese.
Di sicuro, la rappresentazione toscana manoscritta di Giovanni subito dopo la sua redazione fu inoltrata dall'autore stesso al Deposito della Guerra di Milano e servì per la costruzione della celebre Carta militare del Regno d'Etruria e del Principato di Lucca, incisa da Gaudenzio Bordiga e stampata a Milano nel 1806 (Rombai, 1987, pp. 383-384; Rombai, 1990, pp. 178-180, e 1993, pp. 123, 155-157 e 370).
E’ da sottolineare il fatto che De Baillou è autore pure della Pianta della città di Firenze, incisa da Giuseppe Canacci e pubblicata a Firenze dall’editore Molini Landi nel 1808. E’ una pianta colorata che – utilizzando le grandi planimetrie settecentesche del Ruggieri e del Magnelli – si distingue dalle altre coeve per la notevole precisione del tessuto edilizio cittadino con la divisione in sestieri o “giudicature di pace” istituite dal governo francese (Barsanti, a cura di, 1992, p. 47).
Ci resta di Giovanni pure un disegno a stampa con profonda cornice vedutistica, la Veduta del nuovo quartiere di ritirata annesso al Real Palazzo di Pitti (in BNCF, Nuove Accessioni, VI, 27), incisa da Aniello Lamberti nei primi anni '80 del XVIII secolo. E’ una veduta parziale del noto palazzo fiorentino, Palazzo Pitti, con rappresentazione di alcuni nuovi ambienti (progettati dall'architetto Gaspero Maria Paoletti), con nello sfondo la conca fiorentina delimitata dalle colline punteggiate di edifici anche monumentali: si distinguono, infatti, nella parte nord le ville della Petraia, di Castello e di Doccia.
Come geodeta e cartografo, Giovanni intraprese, insieme e forse in emulazione con il Barone Francesco Saverio De Zach, misurazioni astronomiche, altimetriche e trigonometriche per dare basi scientifiche alle operazioni catastali approvate, in Toscana, prima da Ludovico di Borbone Parma, re d'Etruria, nel 1802 e, nuovamente e questa volta con reale attuazione delle operazioni, tra il 1807 e il 1808, da Napoleone allorché quel Regno venne annesso all'Impero di Francia.
Egli procedette pure al rilevamento altimetrico delle montagne toscane: i dati raccolti verranno utilizzati da Emenauele Repetti nel suo Dizionario (ad esempio, vedi: Rufina in Val di Sieve e altre voci, voll. IV e V, pp. 841-842 e pp. 397-399 rispettivamente).
Giovanni fu infatti tra i principali artefici (anche se non mancò di esprimere critiche) del catasto napoleonico; e, al tempo della Restaurazione (essendo le operazioni rimaste incomplete per la fine della dominazione francese), non mancava di suggerire di proseguire i lavori catastali previa la necessaria istruzione di buoni agrimensori sotto la guida dell'Inghirami (Biagioli, 1975, pp. 19-21; Rombai, 1987, pp. 383-384; Rombai, 1993, pp. 123 e 155-157; Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 241-242).
Tra il 1808 e il 1809 il Nostro scienziato effettuò una campagna di operazioni trigonometriche e altimetriche (queste ultime mediante osservazioni barometriche svolte con un "nuovo apparecchio di Borda costruito da Senior") tra il Fanale di Livorno, la Torre pendente di Pisa e il Monte della Verruca, con progetto di proseguimento dei triangoli fino a Firenze e alla base misurata proprio allora dal De Zach, in evidente leale emulazione con l'astronomo tedesco. Queste operazioni geodetiche – di cui l’autore dette conto in una memoria letta ai Georgofili nel 1814 – erano funzionali all'inquadramento del catasto francese e all'assicurazione delle indispensabili basi geometriche della carta geografica della Toscana (ASF, Segreteria di Finanze, f. 2403, n. 27).
Vale la pena di rilevare che, in una lettera del 22 marzo 1808 all’illuminista e antico collaboratore pietroleopoldino Francesco Maria Gianni (appellato come “Maestro”), Baillou esprime un giudizio fortemente critico sul sistema catastale che si stava per imporre dai francesi perché temuto come "rovinoso" per le sorti dell’agricoltura toscana. Tuttavia, dopo l'avvio della catastazione napoleonica, spettò proprio al Baillou, al fine di agevolare le operazioni metriche, studiare la questione della razionalizzazione dei confini e soprattutto della eventuale scomposizione in unità di minor superficie (i comunelli o parrocchie) delle grandi comunità toscane create con la riforma del 1774. In proposito, il nostro geografo – dopo aver rilevato la insufficiente conoscenza geografica della regione anche per la mancanza di buone cartografie, e dopo aver comunque svolto approfondite ricerche geografico-statistiche sul terreno – anche in una memoria al prefetto del Dipartimento dell’Arno del 14 giugno 1810 (ASF, Prefettura dell’Arno, f. 485, ins. Dépot de mendicité. Memoria dell’ingegner Jean de Baillou a S.E. il Barone Fauchet, 14 giugno 1810) – espresse con piena ragione un parere negativo per l'impossibilità "di considerare i comunelli come semplici sottomultipli dei comuni", dal momento che in molte di queste circoscrizioni minime di campagna vivevano pochi abitanti e per di più quasi solo mezzadri o braccianti, ceti sociali inadeguati a reggere le redini dei governi locali. Meglio era dunque provvedere, per quanto possibile, a razionalizzare il reticolo amministrativo esistente e a suddividere ciascun comune in più sezioni catastali, come poi effettivamente fu fatto (Rombai, 1989, pp. 22-24 e 51-52, e 2001, p. 48; e Biagioli, 1975, pp. 19-21).
Nonostante l’esperienza fatta nella catastazione francese, non sembra che Baillou sia stato coinvolto nelle nuove operazioni catastali avviate nel 1817 dal restaurato Ferdinando III di Lorena. C’è semmai da rilevare che Baillou fece parte della commissione nominata tra la fine del 1817 e l’inizio dell’anno successivo dall’Accademia dei Georgofili per redigere una memoria accademica di suggerimenti e critiche al catasto avviato dal governo: questo rapporto ufficiale fu “stilato, come membro più autorevole in materia, da Giovanni de Baillou, l’ingegnere già addetto al catasto francese”, anche se poi edito nella “Continuazione degli Atti dei Georgofili” dell’annata 1818 (tomo I, p. 436 ss.) a nome di uno solo dei commissari, vale a dire F. Gallizzioli (Biagioli, 1975, p. 43).
Per quanto riguarda la carta della Toscana da lui coordinata e disegnata, nella stessa lettera Baillou arriva a dichiarare: "non vi è speranza che possa vedere la luce [a stampa], poiché mi mancano 300 zecchini necessari per le spese di incisione e stampa dell'analisi ragionata che deve accompagnarla. Essa per altro, essendo Carta Generale, non può comprendere i dettagli, né mostrare i confini dei territori comunitativi distintamente". Per tale ragione, il nostro geografo aveva provveduto a disegnare pure delle carte subregionali a più grande scala contenenti anche i confini amministrativi che non poteva comunque riportare sulla rappresentazione d'insieme fino a "quando avrà avuto luogo il nuovo Compartimento" o scomposizione della Toscana in tre grandi prefetture.
E' poi significativa la lettera del 19 luglio 1811 al geografo statistico svedese, residente a Genova, Graberg De Hemso, ove Baillou abbia espresso la sua amarezza per il trattamento nel frattempo riservatogli dal governo francese, del tutto immeritatamente, dopo – egli scrive – "tanti servigi resi da me, e dai miei per più generazioni allo Stato". Si viene così a sapere che al geografo erano stati improvvisamente "tolti i mezzi di continuare le [...] operazioni geodetiche e geologiche per la Toscana, dovendole interrompere dopo avervi tanto lavorato".
In altri termini, pare di capire che all’inizio dell’estate 1811 il Bureau Géographique de Toscane fosse stato soppresso e che al geografo livornese non restasse che dedicarsi, a titolo puramente privato, al perfezionamento della sua carta corografica e alla compilazione delle opere di erudizione storico-geografica e cartografica cui stava da tempo attendendo, come gli studi "sui Portolani antichi italiani" e sui viaggiatori medievali italiani in terre lontane (con speciale riguardo per il Milione di Marco Polo), oltre che l'opera di geografia odeporica "Viaggio Appenninico": tutte opere che non risulta abbiano mai visto la luce, o almeno non sono a noi disponibili.
Riguardo al "Viaggio Appenninico", in una lettera successiva del 19 novembre 1812 a Giovanni Paolo Schulthesius dell'Accademia Italiana di Scienze, Lettere e Arti, Baillou ricordava il suo "ritorno dopo una lunga escursione e visita geologica nella catena degli Appennini all'oggetto di scriverne la topografia fisica, la storia naturale e la statistica", opera – continuava il nostro – "alla quale lavoro da due anni in qua" (ASF, Manoscritti, n. 72, ins. 6).
Poco prima della sua morte, aveva dato vita, insieme a L. Collini, G. Cioni ed altri, ad un periodico intitolato Il Saggiatore. Giornale Toscano, che ebbe solo pochi mesi di attività e per il quale Giovanni scrisse la presentazione al primo numero (n. I, Firenze, 1° Maggio 1819, pp. 1-23).
Tra gli altri incarichi pubblici, è da sottolineare il fatto che Giovanni, nel 1808, sia stato chiamato dalla giunta straordinaria (stabilita con decreto imperiale del 12 maggio di quell'anno) a far parte di un’apposita commissione nominata per l'introduzione del sistema metrico decimale. A lui si deve la stesura delle Tavole di riduzione delle misure e pesi toscani alle misure e pesi analoghi del nuovo sistema metrico decimale dell'Impero Francese calcolate per ordine del governo dalla commissione istiuita in data primo luglio 1808 ed approvato con altro decreto de' 6 ottobre (pubblicate a Firenze nel 1809). L'interesse del Nostro per i sistemi di misura ebbe anche sviluppi successivi, con lo studio erudito sulla metrologia dei popoli del mondo antico, in particolare i Romani, che nel 1614 e poi ancora nel 1818 lesse all'Accademia dei Georgofili di Firenze (della quale era socio), e che fu poi pubblicato, dapprima come Memoria intorno al sistema metrico degli antichi Romani, “Continuazione Atti dell’Accademia dei Georgofili”, vol. I (1814), pp. 233-271, e poi rivisto e accresciuto con il titolo Delle misure agrarie e di capacità degli antichi Romani con le tavole di riduzione delle medesime nelle misure analoghe di Francia e di Toscana (Firenze, s.i.t., 1818).
Come già enunciato, la carta generale della Toscana, molti anni dopo la morte di Giovanni, e precisamente nel 1836, fu offerta in vendita dal figlio Giovanni Gualberto al sovrano Leopoldo II di Lorena che incaricò lo scienziato Giovanni Inghirami di valutarla. Ferdinando Tartini Salvatici, allora segretario dell'Ufficio del Catasto, il 14 settembre 1836 scrisse infatti al vecchio maestro Inghirami poiché si peritasse di dare una indicazione circa la "misura del compenso" (AOXF, Carte Giovanni Inghirami, da numerare).
Non è senza significato sapere che, già molti anni prima, una parte della collezione cartografica del Baillou era stata privatamente acquistata proprio dall'Inghirami all'evidente fine di servirsene (con tante altre rappresentazioni più o meno aggiornate, conservate tutte nella raccolta dell’Osservatorio Ximeniano) nel suo lavoro di costruzione della Carta Geometrica della Toscana edita poi nel 1831.

Produzione di cartografia manoscritta:
Carta Generale fisica, ed itineraria del Regno d'Etruria, e di porzione degli Stati Limitrofi, costruita secondo le più recenti Osservazioni Astronomiche, e con i migliori materiali che si sono potuti raccogliere sotto gli auspici di S.M. la Regina Maria Luisa Infanta di Spagna Reggente del Regno dal Cav.e Giovanni De Baillou, geografo regio e direttore dello Scrittoio Geografico l'anno MDCCCIV (SUAP, RAT 37);
Pianta della città di Firenze, Giovanni De Baillou con incisione di Giuseppe Canacci, edizione a Firenze di Molini Landi, 1808.

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, III, 1974, pp. 296-297; Biagioli, 1975, pp. 19-21, 43 e 52; Cresti e Zangheri, 1978, p. 74; Rombai, 1987, pp. 383-384; Rombai, 1989, pp. 22-24 e 51-52; Rombai, 2001, p. 48; Rombai, 1993, pp. 123 e 155-157 e 370; Rombai, 1990, pp. 178-180; Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 241-242; Barsanti, a cura di, 1992, p. 47; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 120-121; Pera, 1867, pp. 317-321; Rombai e Torchia, 1994, p. 127; Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 127 e 661; Belcari, 2003, p. 236; Carranza, in DBI, ad vocem; Targioni Tozzetti, 1780, III; AOXF, Carte Giovanni Inghirami, da numerare; BNCF, Nuove Accessioni; SUAP, RAT; ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade; ASF, Segreteria di Finanze; ASF, Prefettura dell’Arno; ASF, Manoscritti; ASF, Acquisti diversi; ASF, Depositeria Generale, Parte antica; ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci e Leonardo Rombai

De Baillou, Giovanni Riccardo

Giovanni Riccardo De Baillou
N. Firenze 14 novembre 1809
M.

Relazioni di parentela: Era anch’egli di origine livornese e dalle datazioni che disponiamo, potrebbe essere figlio di Giovanni o più probabilmente suo nipote (vale a dire figlio di Giovanni Gualberto).

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
All’inizio del 1838 operava come ingegnere di Circondario ad Orbetello.
Dal 1838 (24 dicembre) venne promosso Ingegnere di 3° classe e trasferito al circondario di Guardistallo, dove rimase fino al 1843.
Dal 19 agosto 1843 al 6 febbraio 1846 prestò servizio come Ingegnere nel circondario di Pomarance. Di questo periodo (esattamente del 1845) è l'unico disegno che fino ad ora è stato possibile rintracciare: la Pianta dimostrativa della località ove deve costruirsi il nuovo Molino, stata estratta dalle relative Mappe Catastali della Comune di Gherardesca... (in ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa, f. 996), una planimetria piuttosto schematica, in parte eseguita a mano libera, in parte con l'ausilio di strumenti.
Nel 1846 venne promosso Ingegnere di 2° classe e inviato a Radicondoli (Siena).
Dal 1848 venne "dispensato provvisoriamente dal servizio", non si sa per quale motivo (Cresti e Zangheri, 1978, p. 74; Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 127 e 661; Belcari, 2003, p. 236).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena, III, 1974, pp. 296-297; Biagioli, 1975, pp. 19-21, 43 e 52; Cresti e Zangheri, 1978, p. 74; Rombai, 1987, pp. 383-384; Rombai, 1989, pp. 22-24 e 51-52; Rombai, 2001, p. 48; Rombai, 1993, pp. 123 e 155-157 e 370; Rombai, 1990, pp. 178-180; Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 241-242; Barsanti, a cura di, 1992, p. 47; Archivio di Stato di Firenze, 1991, pp. 120-121; Pera, 1867, pp. 317-321; Rombai e Torchia, 1994, p. 127; Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 127 e 661; Belcari, 2003, p. 236; Carranza, in DBI, ad vocem; Targioni Tozzetti, 1780, III; AOXF, Carte Giovanni Inghirami, da numerare; BNCF, Nuove Accessioni; SUAP, RAT; ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade; ASF, Segreteria di Finanze; ASF, Prefettura dell’Arno; ASF, Manoscritti; ASF, Acquisti diversi; ASF, Depositeria Generale, Parte antica; ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci e Leonardo Rombai

Dati, Leonardo

Leonardo Dati
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Dati Gregorio e Dati Leonardo, fratelli fiorentini, figli del mercante di seta Stagio, o Anastasio, l’uno mercante come il padre, l’altro frate domenicano.
Leonardo (1365-1428) entrò nell’Ordine domenicano, intorno al 1375, nel convento fiorentino di Santa Maria Novella, dove si occupò dei restauri e fu maestro di teologia, e nel 1414 fu nominato maestro generale dell’Ordine. In questa veste, e anche come rappresentante della Repubblica fiorentina, partecipò al Concilio di Costanza e fu in stretti rapporti con Papa Martino V, che lo avrebbe nominato cardinale proprio al momento della morte. Oltre a numerosi testi di carattere teologico, scrisse un commentario alle Meteore di Aristotele.
Ad entrambi i fratelli viene attribuito il celebre poemetto geografico in volgare La sfera, composto sicuramente intorno al 1422. “Di natura didascalica, per certi versi simile al Trésor di Brunetto Latini, e al Dittamondo di Fazio degli Uberti, la Sfera compendia le dottrine cosmologiche, astronomiche, astrologiche e geografiche – ancora tutte nella tradizione medievale – diffuse in ambito fiorentino a cavallo dei due secoli. Essa godette di notevole fortuna in tutto il XV secolo, come testimoniano le oltre centocinquanta copie manoscritte attualmente note agli studiosi: fortuna che venne confermata nelle edizioni a stampa, ben diciotto fra il 1470 e il 1543” (Gentile, 1992, scheda n. 35). Ancora più incerta l’attribuzione del ricco apparato illustrativo, sia di tipo astronomico che geografico, presente in molti dei manoscritti, che comprende anche un mappamondo del tipo cosiddetto di transizione.
A favore dell’attribuzione al maggiore dei due fratelli, il mercante Gregorio/Goro, giocano i riferimenti nei manoscritti e una cultura nautica che si ritrova anche nella cartografia. E’ questa la tesi sostenuta quasi sempre dalla critica, anche dalla più recente (Segatto, 1983; Bertolini, 1988; e Gentile, 1992).
L’attribuzione al monaco Leonardo, sostenuta fra l’altro da Paolo Viti nel DBI, si fonda tanto sui contenuti morali che su quelli “scientifici” dell’opera, che presupporrebbero una formazione culturale superiore a quella del mercante. E’ stata avanzata anche la tesi di una collaborazione fra i due fratelli, della quale però non c’è alcuna prova.
“Solo da una recensione completa dei testimoni (che non dovrebbe neppure escludere lo studio dei disegni che accompagnano quasi sempre il testo manoscritto) potrebbero forse venire indicazioni più precise” (Viti, 1975, p. 43, corsivo nostro).
La seconda parte del testo (terzo e quarto libro), che ha un contenuto geografico e descrittivo, si occupa della navigazione, dell’uso degli strumenti e delle carte nautiche, alle quali si ispira in definitiva il corredo iconografico. Sotto questo punto di vista, la cultura e l’esperienza del mercante Gregorio/Goro sembrano più che adeguate per giustificarne la paternità dell’opera, rispetto alla formazione teologica del fratello che il mare può non averlo neppure visto da lontano.
Ciò non significa necessariamente che possano essere attribuite a Gregorio/Goro anche le carte colorate che consistono in vari piccoli mappamondi e in una dozzina di figure delle coste mediterranee dell’Africa e dell’Asia Minore: da notare che queste si ripetono sostanzialmente uguali nei diversi manoscritti (Segato, 1983) e costituiscono un apparato omogeneo con il testo.

Produzione scientifica:

Produzione di cartografia manoscritta:
La Sfera, 1400 circa (BMLF, Conventi soppressi 109; e BMLF, Mediceo Palatino 88).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:
Gentile, 1992, pp. 74-76; Segatto, 1983; Bertolini, 1988; e Viti, 1975;

Bibliografia:

Rimandi ad altre schede: C. G.

Autore della scheda:

Dati, Gregorio

Gregorio Dati
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Dati Gregorio e Dati Leonardo, fratelli fiorentini, figli del mercante di seta Stagio, o Anastasio, l’uno mercante come il padre, l’altro frate domenicano.
Gregorio (1362-1435) viaggiò molto fra la Toscana e la Catalogna, sia per mare che per terra, e ricoprì numerose importanti cariche cittadine. Scrisse un Libro segreto, memorie di casa e di bottega che vanno dal 1388 al 1434, e una Istoria di Firenze in otto libri, dalle origini alla guerra con il Papa del 1387, oltre a un nono libro che tratta delle magistrature fiorentine.
Ad entrambi i fratelli viene attribuito il celebre poemetto geografico in volgare La sfera, composto sicuramente intorno al 1422. “Di natura didascalica, per certi versi simile al Trésor di Brunetto Latini, e al Dittamondo di Fazio degli Uberti, la Sfera compendia le dottrine cosmologiche, astronomiche, astrologiche e geografiche – ancora tutte nella tradizione medievale – diffuse in ambito fiorentino a cavallo dei due secoli. Essa godette di notevole fortuna in tutto il XV secolo, come testimoniano le oltre centocinquanta copie manoscritte attualmente note agli studiosi: fortuna che venne confermata nelle edizioni a stampa, ben diciotto fra il 1470 e il 1543” (Gentile, 1992, scheda n. 35). Ancora più incerta l’attribuzione del ricco apparato illustrativo, sia di tipo astronomico che geografico, presente in molti dei manoscritti, che comprende anche un mappamondo del tipo cosiddetto di transizione.
A favore dell’attribuzione al maggiore dei due fratelli, il mercante Gregorio/Goro, giocano i riferimenti nei manoscritti e una cultura nautica che si ritrova anche nella cartografia. E’ questa la tesi sostenuta quasi sempre dalla critica, anche dalla più recente (Segatto, 1983; Bertolini, 1988; e Gentile, 1992).
L’attribuzione al monaco Leonardo, sostenuta fra l’altro da Paolo Viti nel DBI, si fonda tanto sui contenuti morali che su quelli “scientifici” dell’opera, che presupporrebbero una formazione culturale superiore a quella del mercante. E’ stata avanzata anche la tesi di una collaborazione fra i due fratelli, della quale però non c’è alcuna prova.
“Solo da una recensione completa dei testimoni (che non dovrebbe neppure escludere lo studio dei disegni che accompagnano quasi sempre il testo manoscritto) potrebbero forse venire indicazioni più precise” (Viti, 1975, p. 43, corsivo nostro).
La seconda parte del testo (terzo e quarto libro), che ha un contenuto geografico e descrittivo, si occupa della navigazione, dell’uso degli strumenti e delle carte nautiche, alle quali si ispira in definitiva il corredo iconografico. Sotto questo punto di vista, la cultura e l’esperienza del mercante Gregorio/Goro sembrano più che adeguate per giustificarne la paternità dell’opera, rispetto alla formazione teologica del fratello che il mare può non averlo neppure visto da lontano.
Ciò non significa necessariamente che possano essere attribuite a Gregorio/Goro anche le carte colorate che consistono in vari piccoli mappamondi e in una dozzina di figure delle coste mediterranee dell’Africa e dell’Asia Minore: da notare che queste si ripetono sostanzialmente uguali nei diversi manoscritti (Segato, 1983) e costituiscono un apparato omogeneo con il testo.

Produzione scientifica:
La Sfera, 1400 circa (BMLF, Conventi soppressi 109; e BMLF, Mediceo Palatino 88).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:
Gentile, 1992, pp. 74-76; Segatto, 1983; Bertolini, 1988; e Viti, 1975;

Bibliografia:

Rimandi ad altre schede: C. G.

Autore della scheda:

Da Vinci, Leonardo

Leonardo Da Vinci
N. Anchiano, frazione del comune di Vinci 15 aprile 1452
M. 19 aprile 1519

Relazioni di parentela: figlio naturale del notaio Piero e di “certa Caterina

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Pittore, scultore, architetto, ingegnere, anatomista, scienziato e inventore

Biografia:

Produzione scientifica:
Dal 1472 Leonardo risulta già iscritto nel registro della Compagnia di San Luca, corporazione dei pittori fiorentini, pur continuando ad assistere il maestro Verrocchio nella sua bottega. A questo periodo risale il suo celebre Paesaggio, datato 5 agosto 1473 (GDSU, n. 8P), che pur se prodotto in giovane età, già testimonia la presenza di alcuni di quei precetti che ispireranno la sua futura produzione cartografica (Nanni, 2004).
Nel 1478 riceve le prime commesse autonome, anche grazie all’interessamento del padre, e dal 1482 si trasferisce a Milano, alla corte di Ludovico il Moro (Vigevano, Pavia 1452-Loches 1508), dove tra l’altro stringe amicizia e collabora con Luca Pacioli (Borgo San Sepolcro 1445-Roma 1517), figura fondamentale per il suo perfezionamento in campo geometrico-matematico.
Qui trascorre un periodo di intensa attività operativa, di studio e di ricerca, nel cui ambito elabora vari schizzi cartografici, un progetto ed un modello ligneo per la realizzazione del tiburio del duomo; lavora alla sistemazione urbanistica della città di Vigevano ed appronta alcuni progetti per i navigli; si occupa della realizzazione della statua equestre in onore di Francesco Sforza; cura l’allestimento di rappresentazioni teatrali di corte; e si occupa delle decorazioni per la celebrazione delle nozze di Gian Galeazzo ed Isabella d’Aragona e di quelle di Ludovico e Beatrice d’Este.
Dopo la caduta del Moro si trasferisce temporaneamente a Mantova e poi a Venezia, dove viene incaricato di sovrintendere alle attività difensive per contrastare la temuta aggressione dei Turchi lungo l’Isonzo.
Dalla primavera del 1500 è poi nuovamente a Firenze e solo due anni più tardi passa al servizio del duca Cesare Borgia (Roma 1475-Viana, Spagna 1507) come “Architecto et Ingegnero Generale”, occupandosi prevalentemente di attività militari, eseguendo rilevamenti e realizzando carte per esigenze belliche.
L’anno seguente, per interessamento di Niccolò Machiavelli (Firenze 1469-1527), è chiamato dalla Repubblica fiorentina per una consulenza nella guerra contro Pisa, in occasione della quale si occupa ancora di questioni militari e studia la possibilità di canalizzare e di deviare il corso dell’Arno alla volta di Livorno, producendo ancora nuove rappresentazioni cartografiche e disegni per la costruzione del canale di diversione.
Due anni dopo la morte del padre, avvenuta il 9 luglio 1504, si trasferisce nuovamente a Milano, rimanendovi fino al 1512, per interessamento personale del sovrano Luigi XII, che ottiene l’autorizzazione di Firenze e lo nomina “pittore ed ingegnere ordinario del re”. In questo periodo si occupa prevalentemente di studi di ingegneria e di pittura e progetta un monumento equestre mai realizzato.
Dopo la cacciata dei francesi da Milano, viene accolto sotto la protezione del cardinale Giuliano de' Medici, e dal 1514 al 1516, soggiorna a Roma, dove continua gli studi di anatomia e si dedica ad esperimenti scientifici sugli specchi, alla bonifica delle paludi Pontine e ad un progetto per il porto di Civitavecchia.
La morte del cardinale induce poi Leonardo a recarsi in Francia, dove dal 1517 il giovane re, Francesco I di Valois-Angoulême (Cognac 1494-Rambouillet 1547), lo accoglie nel castello di Cloux (oggi Clòs-Lucé), presso Amboise, come suo “pittore, ingegnere, architetto e meccanico”. Lavora al progetto di ampliamento della residenza reale di Romorantin e si dedica al riordino dei suoi numerosi appunti, forse per la redazione definitiva del Libro di pittura. Ancorché paralizzato al braccio destro, trascorre sotto la protezione del re di Francia gli ultimi due anni della sua vita, dedito ancora ai suoi studi.

Sembra che già da fanciullo Leonardo riceva delle non meglio precisate lezioni di “erudizione e principi delle lettere”, senza particolare successo, e di abaco, dove invece “egli in pochi mesi ch’e’ v’attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl’insegnava, bene spesso lo confondeva” (Vasari, 1966-1987); mentre la prima formazione certa inizia, come accennato dianzi, verso il 1469, con l’apprendistato presso il Verrocchio.
La bottega del maestro orafo, pittore e scultore fiorentino era una vera e propria fucina di arti, uno dei due maggiori centri di produzione artistica della città (l’altra era quella di Antonio Benci, detto il Pollaiolo, Firenze 1431 ca.-Roma 1498), dove, oltre alla realizzazione di quadri, affreschi, gioielli, sculture e suppellettili, venivano affrontati e risolti i più vari e complessi problemi di falegnameria, di metallurgia, di statica, di meccanica, variamente connessi alla realizzazione di opere talvolta ardite per le conoscenze tecnologiche dell’epoca; e qui Leonardo viene quindi a contatto non solo col mondo della pittura, ma anche con quello delle cosiddette artes mechanicae, delle quali subisce un ininterrotto fascino.
Dopo questo fortunato periodo di apprendistato, la vita di Leonardo viene permeata da una formazione autodidattica permanente, che lo conduce all’ampliamento del lessico, all’apprendimento di nozioni di latino e all’approfondimento sempre maggiore degli studi di geometria, di ottica, di matematica, di geografia, di geologia, di idraulica, di meccanica, di anatomia, verso un sapere eclettico, quasi enciclopedico, ancorché frammentario.
L’ampio panorama bibliografico di riferimento per la sua formazione risulta in qualche modo tracciato nelle varie note autografe riportate nei codici Atlantico (BAM, f. 210 r. a), Foster III (LVAM, f. 8 v.), Trivulziano (BTM, f. 2 r.), Leicester (ex BLHH, f. 2 r.; acquistato nel 1994 da Bill Gate), Arundel (LBM, ff. 66 r., 71 v., 79 r., 190 v., 192 v.), (BIF, Ms. L (f. 2 r.), e nei Quaderni d’Anatomia (RLW, I, f. 13 v.), dalle quali è possibile in qualche modo ricostruire la sua biblioteca o, comunque, il quadro generale delle opere da lui consultate.
Attraverso questa formazione eclettica e disorganica fonde in un unicum senza precedenti arti liberali ed arti meccaniche, dalla quale fusione si genera un umus ideale per le sue attività di ricerca e di sperimentazione, che gli apre notevoli possibilità di scoperta, proprio perché si collocava fuori dai canoni di quella tradizione culturale “aristocratica ed estetizzante”, imperante specialmente in Firenze in quel tempo e, talvolta, in netta contrapposizione con “i trombetti e recitatori dell’altrui opere” (BAM, Codice Atlantico, f. 117, r. b).
“Omo sanza lettere” (BAM, Codice Atlantico, f. 119, v. a), risente però per lungo tempo della mancanza di una formazione regolare, che, privandolo della necessaria dimestichezza col latino, gli impedisce l’accesso alle conoscenze della tradizione scientifica del suo tempo (Marinoni, 1952), rendendogli inevitabile il ricorso ad amici dotti, come Luca Pacioli.
Anche per quanto attiene al campo cartografico Leonardo non segue un apprendimento regolare, ma, cura una formazione autodidattica, maturando le sue capacità di cartografazione sia nell’ambito delle più generali pratiche di disegno e rappresentazione artistica, sia nel quadro delle esigenze di progettazione territoriale e di pianificazione di opere connesse alle attività belliche, sia dallo studio di coevi documenti cartografici.
Nel campo del rilevamento edilizio e territoriale giunge presto a padroneggiare i metodi di misura, diretti ed a distanza; esegue in modo agevole stime di grandezze lineari e superficiali; conosce l’uso corretto dei pochi strumenti di misura dell’epoca e ne realizza finanche di propri.
In tale panorama, un posto di particolare interesse per gli aspetti legati al rilevamento ed alla rappresentazione del territorio è rappresentato dalla lettura del piccolo Ex ludis rerum mathematicarum di Leon Battista Alberti (Genova 1404-Roma 1472), della Spera di Goro Dati, del Dottrinale di Jacopo Alighieri, del De Re Militari di Roberto Valturio (Rimini 1405-1475), del Perspectiva di Witelo (Polonia 1230/35-1275 c.a), del Trattato di architettura militare e civile di Francesco di Giorgio Martini (Siena 1439-1502).

Produzione di cartografia manoscritta:
La produzione cartografica di Leonardo è varia e vasta ed è presente nei suoi manoscritti sotto forma di semplici schizzi, di brogliacci di campagna, di itinerari, di eidotipi e di carte in forma finita.
L’attenzione verso questo ampio materiale manoscritto nasce a partire dal XIX secolo, con la pubblicazione dei primi studi di Richard Henry Major (1866), mentre successivi contributi vengono poi in ordine di tempo per opera di una decina circa di ricercatori, tra i quali spicca l’opera sistematica e continua di Mario Baratta, che per quasi quarant’anni attraversa in lungo e largo l’intera produzione cartografica del Vinciano, dandone puntuale ed ampia illustrazione.
Alla luce di quanto sin qui emerso sull’operato di Leonardo in campo cartografico, unitamente ad alcuni, fondamentali precetti ed atti, derivanti dal suo più generale impegno in campo artistico, scientifico e tecnologico, si può affermare che il suo avvicinamento alla rappresentazione cartografica, non derivi da intenti di tipo professionale, ma nasce da specifiche necessità di studio, da riflessioni di ordine cosmologico e da esigenze di analisi, finalizzate alla progettazione territoriale o alla pianificazione di attività belliche. In tal senso, la sua produzione si distingue nettamente da quella dei cartografi professionisti, che lavoravano specificamente per la realizzazione di documenti destinati a terzi (Cantile, 2003).
In rapporto alle riflessioni cosmologiche, nei suoi manoscritti si rintracciano diverse considerazioni di carattere generale sulla Terra, sul Sole sulla Luna, oltre a vari schizzi, che testimoniano l’interesse verso il problema della rappresentazione del globo sul piano, come ai fogli 178 v. a, 191 r. b e 279 del Codice Atlantico, mentre un appunto con chiaro riferimento alla funzione dei paralleli si ritrova nel Ms. M, f. 5 v. Nei citati disegni dei fogli 178 e 191 del Codice Atlantico vi sono poi schizzi vari, che testimoniano i tentativi fatti da Leonardo per l’applicazione in piano della superficie terrestre, con scomposizione in fusi e sviluppo in piano, che anticipa in qualche modo il principio della proiezione cilindrica trasversa. La migliore esemplificazione dello sviluppo di tali fusi sul piano si ritrova in particolare negli schizzi dei fogli 191 r. b e 279 r. a dello stesso Codice Atlantico, nei quali Leonardo dà prova dell’intuizione dei limiti della applicabilità della sfera sul piano, attraverso l’impiego di triangoli sferici, giustapposti a mo’ di croce greca, o “rappresentazione a farfalla” (Almagià, 1953), la cui genesi viene mostrata nel foglio 191 r. b, nel quale il globo è diviso in due emisferi separati e ciascuno di questi a sua volta è diviso in quattro triangoli sferici, che ricoprono l’intera superficie terrestre.
I limiti di applicabilità della sfera sul piano sono poi desumibili dal foglio 207 v. a del Codice Atlantico, che dimostra “come Leonardo voleva porre nel ‘sito dell’equalità’ un triangolo equilatero curvilineo e trasformare così un triangolo ‘sferico’ in un ‘triangolo rettilineo della medesima capacità del triangolo sferico, e (soggiunge Leonardo) 8 di tali triangoli faranno una superficie piana equale alla superfizie della detta sfera’ (Carusi, 1939), ma alla fine giunge alla conclusione che la tesi è errata. Da tali riflessioni scaturiscono poi nella seconda metà dell’Ottocento le ipotesi circa la costruzione da parte di Leonardo di un mappamondo, identificato in quello della collezione di Windsor (Major, 1866) e confutata molto più tardi (Carusi, 1941; Marcolongo, 1941).
Per entrare nel merito delle sue opere cartografiche, finite o non che esse siano, bisogna preliminarmente spostare l’attenzione dal mondo delle mappe a quello della rappresentazione in generale, conseguibile attraverso il disegno e la pittura, che per Leonardo non sono semplicemente un “linguaggio per dire visivamente cose già conosciute, sono la chiave con cui si penetra nel mondo dei fenomeni: più precisamente sono il mezzo con cui l’evento o l’accidente visivo si costituisce alla coscienza come fenomeno” (Argan, 1985, p. 15). È infatti dai precetti derivanti dal Libro di pittura (Leonardo Da Vinci, 1996) che si costruisce il quadro teorico di riferimento per la sua produzione cartografica (Cantile, 2003).
Ad esclusione delle poche carte derivate, che Leonardo esegue a partire da modelli tolemaici, tutta la sua produzione cartografica è realizzata sulla base di una previa documentazione in loco, che prevede la ricognizione, la registrazione delle caratteristiche generali del sito, con disegni dal vero, e l’annotazione di distanze, di direzioni, di allineamenti. I disegni dal vero sono talvolta costituiti da semplici schizzi, privi di riferimento toponomastico o di note che possano in qualche modo indicarne la collocazione spaziale; certe volte sono appunti di percorsi stradali, itinerari dettagliati con indicazioni toponomastiche e di distanze tra località di interesse; altre volte sono bozzetti appuntati velocemente, con note su alcuni particolari topografici di interesse o peculiarità del luogo degne di nota; ed altre volte ancora sono dei veri e propri eidotipi, con schizzi planimetrici o scorci prospettici, corredati da determinazioni metriche associate.
Nella vasta categoria dei disegni dal vero, per la loro importanza ai fini della ricostruzione del metodo adottato da Leonardo nella realizzazione delle carte (Cantile, 2003), emergono in particolare il disegno Milano in fondamenta (BAM, Codice Atlantico f. 199 v), l’eidotipo realizzato per il rilevamento di Imola (RLW, 12686), al quale è strettamente connessa la celebre Pianta di Imola (RLW, 12284 r), opera per la quale sono state espresse anche perplessità circa la sua attribuzione al Maestro (Mancini, 1979), ed il brogliaccio di campagna noto come Vista della Valdichiana (RLW, 12682).
Il primo di questi disegni, Milano in fondamenta (BAM, Codice Atlantico, f. 199 v), cioè in pianta, fornisce una chiara testimonianza della registrazione di direzioni radiali a partire da un centro di osservazione, con di un giro d’orizzonte, finalizzato alla realizzazione di una mappa della città, che a quanto risulta non è stata mai eseguita da Leonardo, e che offre i primi indizi sulla probabile applicazione del metodo di rilevamento per coordinate polari. Mentre tracce ancor più concrete dell’applicazione, ancorché non sistematica, di tale metodo, si riscontrano nella Pianta di Imola (RLW, 12284 r), dove si trovano le registrazioni autografe degli azimut magnetici e delle distanze di località circostanti dal centro della cittadina emiliana. Queste direzioni e distanze, però, si riferiscono a località esterne all’abitato di Imola, ubicate perlopiù lungo lo stesso allineamento, mentre mancano elementi analoghi che possano testimoniare l’applicazione dello stesso metodo di rilevamento per la costruzione della Pianta. L’eidotipo di Windsor (RLW, 12686) mostra infatti solo il metodo seguito per la registrazione delle dimensioni degli isolati edilizi e degli edifici della cittadina (Clayton, 1996), ma non contiene direzioni angolari, lasciando ancora molti dubbi sull’effettiva metodologia adottata, frutto forse di un rilevamento del circuito murario in analogia con quanto riportato nei grafici del Ms. L (in BIF), per il rilevamento delle città di Cesena ed Urbino (De Toni, 1965) e di un completamento eseguito su basi empiriche (Cantile, 2003).
Ancora nell’ambito dei disegni preparatori, ma passando dalla scala urbana a quella territoriale, si può inoltre approfondire ulteriormente il discorso sui metodi di rilevamento territoriale e di costruzione cartografica adottati da Leonardo e notare altresì come le sue carte assumano un’importanza innovativa sia sul piano dei contenuti informativi sia su quello della tecnica.
Dal brogliaccio Vista della Valdichiana (RLW, 12682) si può constatare come il Vinciano fermi con uno schizzo en plein air le peculiarità del territorio compreso tra Arezzo ed il Trasimeno ed annoti varie indicazioni di distanze radiali, tra alcune località collocate nei paraggi di Castiglione e di Foiano, per poi perfezionarne la rappresentazione nella celeberrima Carta della Valdichiana (RLW, 12278r). Le componenti metriche della rappresentazione definitiva non sono però collegate ad alcun metodo di rilevamento noto all’epoca: non vi sono tracce di rilevamento per intersezione, né di posizionamento per coordinate polari, ma solo osservazioni di allineamenti e di sequenze ordinate di oggetti territoriali, ancorché sia chiaramente provato che il Vinciano conoscesse i metodi riportati da Leon Battista Alberti nel suo Ex ludi rerum mathematicarum (LBM, Codice Arundel, f. 66 r).
La formula adotta da Leonardo nel rilevamento e nella rappresentazione cartografica è sintetizzata nel seguente precetto “scorta sulle sommità e in su’ lati dei colli le figure di terreni e le sue divisioni e nelle cose volte a te, fale in propria forma” (BIF,, Ms. L, f. 21 r). Il passaggio dal rilievo alla carta avviene poi attraverso una sintesi individuale di elementi percettivi, metrici ed ordinali, che propongono sempre una visione diagrammatica dello spazio, percepito e delineato nella sua unitarietà (Cantile, 2003).
Pur se in qualche misura l’allestimento cartografico poggia su un impianto di tipo euclideo, lo spazio rappresentato nelle carte territoriali di Leonardo è di tipo topologico, uno spazio cioè dove le relazioni tra gli oggetti territoriali sono espresse in termini di prossimità, di adiacenza, di inclusione, di appartenenza, di intersezione. Di contro, nelle carte alla scala urbana si nota una profonda differenza di metodo, che lo porta ad esaltare la componente metrica, con ispirazione a concetti di precisione profondamente diversi, dettati probabilmente da differenti finalità di cartografazione: laddove nella Pianta di Imola (RLW, 12284) si constata la ricerca di precisioni finalizzate alla progettazione architettonica, nelle carte a scala territoriale si osserva un’attenzione rivolta al metaprogetto, alla pianificazione.
Quanto alla raffigurazione del territorio, Leonardo introduce notevoli innovazioni di tipo comunicativo rispetto alla tradizione del suo tempo, specialmente nella rappresentazione della componente verticale, argomento che come noto ha afflitto generazioni di cartografi fino al XIX secolo. Il metodo impiegato nella restituzione grafica delle masse orografiche supera la piatta delineazione dei “mucchi di talpa”, che comunque rimarrà in uso fino all’introduzione del tratteggio clinografico di Johann Georg Lehmann (1765-1811) nel 1799, grazie ad un tentativo di restituzione delle masse orografiche secondo mutui rapporti di proporzionalità ed all’introduzione dello sfumo, che conferiscono alle forme una forza comunicativa senza precedenti. La piatta e generica delineazione per mucchi di talpa si trasforma così in una rappresentazione che imita per la prima volta la componente verticale del territorio, ligia al precetto vinciano del Libro di Pittura, secondo il quale l’artefice ha tra i suoi compiti primari quello di “fare che una superficie piana si dimostri un corpo rilevato e spiccato da esso piano; e quello che in tale arte eccede più gli altri, quello merita maggior laude, e questa tale investigazione, anzi corona di tale scienza, nasce dalle ombre e dai lumi, o vuoi dire chiaro e scuro [...] bellezza e maraviglia del dimostrare di rilievo la cosa piana”.
In definitiva, l’innovazione introdotta da Leonardo comunica il suo “senso del terreno” (Baratta, 1911), che si spinge finanche alla delineazione di elementi di dettaglio del territorio, come nel caso delle rocce affioranti nei pressi del tempio a Giove Anxur, nella celebre Carta delle Paludi pontine (RLW, 12684).
Ancora un ulteriore elemento innovativo, sempre nel campo delle tecniche di rappresentazione orografica, è da riscontrare nel geniale uso del colore adottato per la Carta dell’Italia centro-nord (RLW, 12277), allestita sulla base del precedente modello massaiano (Kish, 1983 e Rombai, 1993) ed integrata da elementi frutto di rilevamento diretto. In essa Leonardo introduce una modalità di rappresentazione che consente una percezione delle variazioni di quota del territorio cartografato, senza precedenti nella storia della Cartografia, che può essere riconosciuta come l’archetipo della tecnica di rappresentazione orografica a tinte ipsometriche. La soluzione adottata per questa carta infatti, pur non riportando ancora informazioni di carattere metrico sulle variazioni di quota, anticipa, sia pure in modo non regolare, quel concetto di “più scuro più alto”, che la cartografia di tipo corografico adotterà in modo sistematico fino ai nostri giorni.
Analogamente all’orografia, anche nell’idrografia esprime l’idea di tridimensionalità attraverso la stessa tecnica, richiamando il concetto inverso: “più scuro, più profondo”, come nella Carta della Valdichiana (RLW, 12278r), dove contrappone lo specchio d’acqua della Chiana, ai flussi idrici dei torrenti tributari dello stesso bacino all’interno del vasto acquitrino ed al vicino lago Trasimeno, segnalandone con differenti tonalità di azzurro le variazioni di profondità.
La sua produzione cartografica è sparsa in vari codici e collezioni: Royal Library di Windsor (RLW); Biblioteca di Lord Leicester in Holkham Hall (BLHH): Codice Leicester; Biblioteca Ambrosiana di Milano (BAM): Codice Atlantico; Biblioteca Nazionale di Madrid (BNM), Codice di Madrid; Museo Britannico di Londra (LBM): Codice Arundel; Biblioteca dell’Istituto di Francia (BIF), Manoscritto L. Tra questi, sono particolarmente degni di nota i seguenti documenti:
Carta dell’Italia centro-nord (RLW, 12277);
Carta della Valdichiana, con lago Trasimeno e regioni limitrofe, compresa gran parte del Senes, (RLW, 12278 r);
Pianta di Imola (RLW, 12284);
Carta della Toscana marittima, da Lucca a Campiglia, con l’immediato retroterra (RLW, 12683);
Paludi Pontine (RLW, 12684);
Milano in fondamenta (BAM, Codice Atlantico, f. 199 v);
Carta geografica col sistema idrografico di una zona dell’Appennino tosco-romagnolo (BAM, Codice Atlantico, f. 334 r);
Carta del Lazio (BAM, Codice Atlantico, f. 336 v. a);
Rilievo delle mura di Urbino (BIF, Ms. L, f. 38 r; f. 75 r);
Due schizzi con il promontorio di Piombino, il golfo di Baratti e i dintorni di Populonia (BIF, Ms. L, f. 76 v).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Major, 1866; Uzielli, 1872; Baratta, 1905; Baratta, 1911; Baratta, 1912; Baratta, 1922; Clark, 1935; Baratta, 1941; Marcolongo, 1941; Goldscheider, 1952; Leonardo Da Vinci, 1952; Marinoni, 1952; Almagià, 1953; Castelfranco, 1955; Leonardo Da Vinci, 1955; De Toni 1957; Vasari, 1966-1987; D'Arrigo, 1969; De Toni, 1974; Argan, 1977; Mancini, 1979; Caleca e Mazzanti, 1980; Caleca e Mazzanti, 1982; Rombai, 1993; Clayton, 1996; Galluzzi, 1996; Starnazzi, 1996; Starnazzi, 1998; Starnazzi, 2000; Fabbri, 2002; Lago (a cura di), 2002; Starnazzi, 2003; Cantile, 2003; Nanni e Testaferrata, 2004.
GDSU, n. 8P; RLW; BAM, Codice Atlantico; BIF, Ms. L.; BLHH, Codice Leicester; BNM, Codice di Madrid; LBM, Codice Arundel; BTM, Codice Trivulziano; LVAM, Codice Foster.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Andrea Cantile

Corsini, Odoardo

Odoardo Corsini
N. borgata di Fellicarolo, frazione di Fanano (Modena) 1702
M. Pisa 1765

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Nato nel 1702 in una borgata di Fellicarolo, frazione di Fanano (Modena), morì a Pisa nel 1765.

Produzione scientifica:
Le notevoli doti intellettuali da lui evidenziate indussero i suoi superiori a nominarlo, poco più che ventenne, docente di filosofia nella stessa scuola fiorentina. Passò poi all’Università di Pisa, dove insegnò fino agli ultimi giorni di vita: inizialmente logica, poi metafisica ed etica e, quindi, lettere umane.
L’unica interruzione di questa attività didattica si ebbe dal 1754 al 1760, quando il Corsini, che aveva già ricoperto diversi importanti incarichi nell’Ordine, fu eletto Superiore Generale e dovette, pertanto, trasferirsi a Roma. In precedenza, aveva invece cortesemente rifiutato l’ufficio di bibliotecario ducale offertogli da Francesco III d’Este dopo la scomparsa del Muratori.
Intrattenne intensi rapporti con i più grandi studiosi del tempo, in particolare con lo stesso Muratori e con Scipione Maffei. Nel 1761 fu anche incaricato di scrivere la storia dell’Università di Pisa; ma il lavoro restò incompleto a causa della morte che lo colse a Pisa nel 1765.
Il Tiraboschi nella biografia del Corsini ricorda, oltre a sette opere inedite, ben venticinque opere date alla stampe, alcune anche diverse volte a causa della loro ampia diffusione in Italia e in Europa.
Fu considerato il maggiore esperto del tempo nel campo della cronologia, dell’epigrafia, della filologia e della numismatica antiche, ma i suoi interessi e i suoi studi spaziarono fra le discipline più disparate. Dimostrando una versatilità e uno spirito enciclopedico veramente eccezionali, egli si occupò, infatti, e quasi sempre con una impronta originale, anche di matematica, di logica, di fisica, di idraulica, di filosofia, di didattica, di storia e di lettere antiche e moderne.
Nel 1732 dedicò al marchese Silvio Feroni – proprietario della fattoria di Bellavista in Valdinievole, e da anni impegnato a proseguire, fra tanti contrasti e avversità, la bonifica della parte del padule di Fucecchio che gli apparteneva – una memoria anonima incentrata proprio sulle possibilità e modalità di risanamento e colonizzazione dell’area mediante la tecnica di regolari colmate.
Si occupò pure – con una memoria priva di contenuti originali – della complessa questione della sistemazione della pianura bolognese e romagnola attraverso la canalizzazione del Reno che fin dalla seconda metà del XVII secolo stava attraendo l’attenzione dei più illustri matematici e idraulici italiani.
Negli anni della Reggenza lorenese, nel quadro della ripresa di interesse per la conoscenza da parte del governo delle condizioni reali e dei bisogni delle varie realtà subregionali e locali del Granducato, e della ripresa del dibattito sulle modalità di intervento territoriale da circa due secoli in corso nella Valdichiana, Corsini si fece autore di una memoria che – integrando in modo ordinato la documentata e rigorosa ricostruzione storica dei provvedimenti medicei con l’attenta analisi geografica sul terreno – rappresentò un autentico modello geografico-storico descrittivo della Valdichiana, che quasi mezzo secolo dopo sarà largamente seguito dal matematico Vittorio Fossombroni per redigere le sue celebri Memorie.
Il Ragionamento corsiniano del 1742 è teso a dimostrare, in otto capitoli, che l’inondazione dell’Arno del dicembre 1740 (che aveva procurato non pochi danni a Firenze) non era un effetto dei lavori di bonifica in corso da circa due secoli in Valdichiana, ed è illustrato da una originale cartografia dell’intera valle – la Pianta che dimostra il corso delle acque delle Chiane per lo Stato di S.A.R. fino in Arno e per lo Stato di Sua Santità fino in Paglia e Tevere – che, relativamente all’area pianeggiante e dei ripiani circostanti che risulta inquadrata, è senz’altro la più precisa e ricca di dettagli fra tutte quelle fino ad allora eseguite per la stampa. Da questa rappresentazione, poi ripresa dal Fossombroni e da altri cartografi fino all’inizio del XIX secolo, si può notare come rimanesse ancora da sistemare la zona prospiciente i laghetti di Chiusi e Montepulciano e le aree limitrofe al Canale Maestro.
E’ poi da considerare il fatto che, in termini pratici, Corsini offrì un apprezzato progetto per la sistemazione del Callone di Valiano (Di Pietro, 2005, pp. 118-120.).

Produzione di cartografia manoscritta:
Pianta che dimostra il corso delle acque delle Chiane per lo Stato di S.A.R. fino in Arno e per lo Stato di Sua Santità fino in Paglia e Tevere, 1742 (incisione, anche in OXF, V, 29).

Produzione scientifica

Ragionamento intorno allo stato del fiume Arno e delle acque della Valdinievole, Colonia, Watergroot, 1732;
Ragionamento istorico sopra la Valdichiana in cui si descrive l’antico e presente suo stato, Firenze, Moucke, 1742;
Relazione dell’acque del Bolognese e Ferrarese, in Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Bologna, Marsigli, 1822, vol. III, pp. 231-244.

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Baldini, in DBI, ad vocem; Barsanti e Rombai, 1986, pp. 95 e 100; Tognarini, a cura di, 1990, pp. 88 e 340; Gabellini, 1987, p. 150; Barbieri e Zuccoli, 2003; Barbieri e Zuccoli, 2004; Di Pietro, 2005, pp. 118-120.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

Corsi, Lorenzo

Lorenzo Corsi
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere

Biografia:
Ingegnere, allievo ed aiutante di Alessandro Manetti alla Soprintendenza della Valdichiana (dove prese il posto di Jacopo Gugliantini), fin dai primi anni della Restaurazione svolse la sua attività di ingegnere e cartografo soprattutto in campo idraulico; dalla documentazione disponibile si evince che operò fino al 1848 circa, periodo in cui partecipò attivamente alle vicende risorgimentali.

Produzione scientifica:
Nel “Progetto di Nuovo Ruolo per l’Amministrazione Economico-Idraulica dell’I. e R. Corona in Val di Chiana” del 1819, l’aiuto soprintendente Federigo Capei propose al soprintendente Fossombroni di nominare, nel ruolo di aiuto ingegnere, il giovane Lorenzo Corsi di Firenze (figlio del defunto segretario Corsi), che già da alcuni anni collaborava con Manetti in Valdichiana e veniva, in qualche modo, già ricompensato dall’Amministrazione. La nomina del Corsi venne decisa anche per sostituire – come avverrà, sia pur gradualmente – la figura del Gugliantini, che non godeva di buona considerazione da parte del Capei, oltre che per sopperire anche alle numerose assenze del Manetti, impegnato in altri importanti incarichi. Dallo stesso documento si evince che l'aiuto Corsi percepiva un compenso di 180 scudi ed era tenuto, come gli altri tecnici, a servire indistintamente anche il Dipartimento delle Acque. Gli ingegneri percepivano inoltre una diaria di lire sette per la cavalcatura quando si recavano "in gita di servizio nella Provincia", oltre al rimborso delle spese vive occorrenti per le operazioni in campagna. Venivano poi loro pagate "le copie delle Piante, Progetti e Relazioni a ragione di lire cinque al giorno per il numero delle giornate che possono occorrere per far ciascuna copia, restando compreso in detta somma la spesa della carta, colori e tutt’altro” (ASF, Segreteria di Gabinetto, f. 164, ins. 3).
Nell’elenco degli Impiegati della Regia Amministrazione Economico-Idraulica di Val di Chiana del 1838, compare ancora Lorenzo Corsi con un trattamento annuo di lire 2520, “con più la diaria di £ 7 al giorno per le gite in campagna con l’obbligo di mantenere la cavalcatura, di servire anche il Dipartimento dell’Acque, e l’emolumento di £ 5 al giorno per le copie delle piante, progetti e relazioni” (ASF, Scrittorio delle Regie Possessioni, f. 3595).
Molti sono i progetti che portano la sua firma relativi a lavori di bonifica e rettifica dei corsi d’acqua chianini; in special modo il Corsi effettuò accurate misurazioni e scandagli, producendo le relative rappresentazioni di profili e livellazioni (i materiali sono in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 231; e ASF, Miscellanea di Piante, n. 68).
Sempre in Valdichiana, fra i vari lavori, nel 1826 progettò anche “un monumento da erigersi sul Ponte del Fiume Foenna, al passo della strada di Bettolle per Sinalunga in memoria dei lavori idraulici eseguiti per l'ottenuto bonificamento” di una parte dell’area paludosa (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 163); sotto al disegno, è riportata anche una descrizione dettagliata su come doveva essere realizzato, la spesa occorrente, le misure, ecc.
Dal 1824 al 1825 operò come ingegnere di seconda classe nel Regio Ufficio dei Fossi e Coltivazioni di Grosseto. In questo periodo (gennaio-maggio 1824) progettò le nuove terme di Roselle, nelle immediate vicinanze di Grosseto, realizzando le piante e gli alzati della nuova Fabbrica e il Progetto per la realizzazione di una locanda per i bagnanti nella vicina Cappella sconsacrata di S. Lorenzo (in ASGr, Comune di Grosseto postunitario, cat. X, b. 1, f. 16, c. 22r e cat. X, b. 1, f. 4, c. 118r); nello stesso anno progettò anche la nuova sede del Commissariato di Grosseto (in ASGr, Ufficio dei Fossi, n. 619, c. 83r, sc. 275) e fu incaricato di eseguire una serie di disegni per la realizzazione della nuova strada rotabile Massetana per Volterra (in ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa, ff. 201 e 229).
Ma già nel 1822 fu a Grosseto se il 5 aprile 1822 disegnò la Pianta geometrica del Padule di Castiglione “per servire all’atto notarile stipulato con i diversi possessori frontisti nel presente anno 1822 in quanto alla materiale e locale opposizione dei termini di confine” (il lucido disegnato da Alessandro Manetti è in AAADF, Fondo Manetti, cat. C.10, tav. 6/c) (Zangheri, a cura di, 1984, p. 64).
E’ da rilevare che la conoscenza della Maremma gli valse a stendere la Memoria che risponde al quesito “Con quali industrie potrebbero i possidenti delle Maremme nell’attuale stato economico agrario del loro paese avvantaggiarne la cultura ed aumentare i profitti della medesima”, edita in “Continuazione Atti dell’Accademia dei Georgofili”, vol. V (1825), pp. 378-395.
Venne poi – sembra nel 1829 – trasferito da Grosseto in Valdichiana presso l'Amministrazione Economico-Idraulica dei Beni della Corona; al suo posto fu nominato l'ingegnere Lorenzo Balocchi, anche lui allievo di Alessandro Manetti.
Dal 1833 al 1847 operò come ingegnere di prima classe nella Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade di Arezzo; in questi anni eseguì importanti lavori alla dogana locale.
Il Corsi fu tra i primi in Toscana ad interessarsi della questione ferroviaria, sollevando pubblicamente il problema di una linea da Firenze a Livorno, attraverso una memoria, pubblicata nel 1835 sul Giornale Agrario Toscano, dal titolo: Proposta di alcuni perfezionamenti che potrebbero sperimentarsi nei lavori di costruzione e manutenzione delle strade inghiarate. Memoria letta all'adunanza del 26 dicembre 1834 dell'I. e R. Accademia del Petrarca in Arezzo (IX, 34, p. 194). Nel 1847 tornò ad occuparsi delle strade ferrate con un altro scritto pubblicato ad Arezzo in cui esponeva le ragioni della necessità di una ferrovia centrale subappenninica toscana.
Animato da uno spirito battagliero, fu tra gli estensori della proposta – redatta da un gruppo di ingegneri fiorentini tra il 1847 e il 1848 – perché il governo granducale introducesse discipline militari nell’Università di Pisa e istituisse (come difatti avvenne alla fine del 1848) un Corpo del Genio composto da ingegneri militari secondo il modello francese (si vedano i suoi scritti in proposito); tra i promotori, figuravano cartografi assai noti come Felice Francolini, Giuseppe Poggi e Francesco Chiesi, oltre a tecnici quali Giuseppe Martelli e Ippolito Bordoni (si vedano anche: S. C., Brevi osservazioni sull’articolo di L. F. Casamorata inserito nel n. 72 del Giornale La Patria, riguardo alla progettata organizzazione degli Architetti ed Ingegneri Civili in Corpo del Genio Militare, “L’Alba” del 20 novembre 1847; POTENTI G., Progetto di regolamento per la società promotrice degli studi del genio civile e militare, “L’Alba” del 4 gennaio 1848).
Nell’ambito della polemica fra Stato e Comunità locali esplosa nel 1848 sul ruolo degli ingegneri di Acque e Strade, Lorenzo Corsi, in un suo scritto dato alle stampe, difese questi tecnici definendoli “poeti della linea e del peso, filosofi della quantità”. Secondo Corsi, era proprio grazie agli ingegneri che le industrie erano state rese popolari e si erano diffuse in forma sempre più perfezionata.

Produzione di cartografia manoscritta:
Pianta geometrica del Padule di Castiglione, 1822 (il lucido disegnato da Alessandro Manetti è in AAADF, Fondo Manetti, cat. C.10, tav. 6/c);
Nuova fabbrica del Bagno a Roselle secondo la sua ultima costruzione, che differisce in qualche parte dal progetto primitivo, 7 gennaio 1824 (ASGr, Comune di Grosseto postunitario, cat. X, b. 1, f. 16, c. 22r e cat. X, b. 1, f. 4, c. 118r);
Riduzione del piano delle soffitte nella casa destinata per nuova abitazione del Commissariato di Grosseto, attr., 19 aprile 1824 (ASGr, Ufficio dei Fossi, n. 619, c. 83r, sc. 275);
Cappella contigua al Bagno di Roselle, 31 maggio 1824 (ASGr, Comune di Grosseto postunitario, cat. X, b. 1, f. 16, c. 22r e cat. X, b. 1, f. 4, c. 118r);
Disegni per la realizzazione della nuova strada rotabile Massetana per Volterra, 1824-25 (ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa, ff. 201 e 229);
Progetto di un monumento da erigersi sul Ponte del Fiume Foenna, al passo della strada di Bettolle per Sinalunga in memoria dei lavori idraulici eseguiti per l'ottenuto bonificamento della Pianura del Busso, 1826 (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 163);
Profilo di livellazione della gora di rifiuto del Molino di Monte Martino, riunita allo scolo del Piano del Busso e delle Prata, sino alla Fabbrica del Molino del Rotone sotto il Castello di Bettolle, 1826 (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 231);
Tavola di scandagli Idrometrici per i principali Fiumi e Torrenti che influiscono nel Canale Maestro di scolo della Valdichiana Toscana e Pontificia con rapporto al livello del Mare e alla cresta della Chiusa dei Monaci presso Arezzo, 25 maggio 1827 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 68);
Pianta della gronda del Chiaro di Montepulciano sulla linea di confine tra le adiacenze di detto Chiaro e i terreni dei frontisti possessori compresi fra il Fosso delle Tre Berte e lo sbarco dei Salcini, a confine con la Comunità di Chiusi, 1827 (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 233/1);
Pianta della Chiusa del Molino di Pratantico, e sue dipendenze nel Fiume Chiana, in ordine alla sua ricostruzione, con Luigi Turchini, 1837 (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, c. 272).

Produzione scientifica

Proposta di alcuni perfezionamenti che potrebbero sperimentarsi nei lavori di costruzione e manutenzione delle strade inghiarate. Memoria letta all'adunanza del 26 dicembre 1834 dell'I. e R. Accademia del Petrarca in Arezzo, “Giornale Agrario Toscano”, IX, 34 (1835), p. 194;
Ragion civile delle strade ferrate in Italia per norma del sistema toscano e dello stabilimento di una centrale sub-appenninica, Arezzo, Borghini, 1847;
Offerta degl’Ingegneri di Firenze per formare un Corpo del Genio, o una scuola d’Architettura e Ingegneria Militare, “La Patria” del 7 ottobre 1847;
Polemica sugl’ingegneri, Arezzo, Bellotti, 1848.

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Cresti e Zangheri, 1978, p. 71; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 90-91; Giuntini, 1989, pp. 391, 408 e 413; Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001, pp. 71 e 95, Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 396 e 409; Zangheri, a cura di, 1984, p. 64; AAADF, Fondo Manetti; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Scrittorio delle Regie Possessioni; ASF, Piante Topografiche delle Regie Possessioni; ASF, Segreteria di Gabinetto; ASGr, Comune di Grosseto postunitario; ASGr, Ufficio dei Fossi; ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Conti, Pietro Giovanni

Pietro Giovanni Conti
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere, architetto

Biografia:

Produzione scientifica:
Architetto e ingegnere fiorentino, fu alle dipendenze dello Scrittoio delle Regie Fabbriche Granducali al tempo dei granduchi Pietro Leopoldo e Ferdinando III.
Il granduca Pietro Leopoldo, nelle sue Relazioni, lo definì "di mediocre ma sufficiente capacità, esattissimo, attento e molto onesto, buono per l'assistenza ai lavori" (I, 1969, p. 84).
Nel complesso, i suoi prodotti grafici sono riferibili quasi esclusivamente a soggetti di tipo architettonico: è autore apprezzato di progetti e di restauri di edifici termali, doganali e militari soprattutto maremmani per i quali realizzò una buona produzione cartografica.
Negli anni ’80 del secolo fu tra i tanti (in compagnia ad esempio del pratese Giuseppe Valentini) a svolgere apprendistato nello studio professionale dell’architetto dello Scrittoio delle Regie Fabbriche Bernardo Fallani.
Nel 1785 circa, fu incaricato di progettare il nuovo camposanto da costruire fuori delle mura di San Gimignano, in base alla nuova normativa in materia del luglio 1781: il Conti elaborò, pertanto, 4 disegni acquerellati dell'intero complesso e di alcuni particolari architettonici (in ASCSG, Y, 39).
Nel 1787 eseguì un progetto per il rifacimento della Chiesa pisana di S. Vito, ma al suo venne preferito quello di Niccolò Stassi/Stagi.
Nel maggio 1790, si occupò di un progetto per il recupero delle antiche Terme di Roselle, poste nelle immediate vicinanze di Grosseto. Il Conti, che in quel periodo si trovava in Maremma, impegnato per il controllo delle fortificazioni costiere, effettuò un sopralluogo a Roselle per studiare la ricostruzione ex novo del complesso, da tempo abbandonato, e previde la ricostruzione delle vasche (per uomini e animali) e la realizzazione di nuove strutture balneari e di un albergo (Pianta dello stato attuale del Bagno a Roselle...; Disegni del Bagno di Roselle su la Strada Regia Grossetana nella Provincia Inferiore di Siena...; Disegno dell'Albergo da costruirsi di nuovo al Bagno di Roselle: tutte in ASGr, Commissario della Provincia Inferiore Senese, n. 756, c. 581r). Il progetto del Conti, molto probabilmente a causa dell'elevato costo dell'impresa, non fu mai realizzato; il recupero delle terme avverrà nel 1824 ad opera di Lorenzo Corsi.
Sempre intorno al 1789-90, e sempre per commissione dello Scrittoio delle Fortezze, effettuò un’attentissima ricognizione di tutte le strutture militari, doganali e sanitarie costiere poste sul litorale grossetano e nelle isole, finalizzata alla realizzazione di nuovi edifici e all'adeguamento di quelli esistenti; al lavoro parteciparono valenti architetti e ingegneri che firmarono anche i disegni, come Bernardo Fallani, Giuseppe Valentini, Costantino Orsi, e l'aiuto ingegnere dello Scrittoio Marco Gamberai di Pistoia (ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade, ff. 1-2).
Da tale visita scaturì la Collezione delle Piante e prospetti delle fortificazioni situate lungo il littorale toscano che si conosce volgarmente sotto la denominazione di littoral grossetano per quanto si estende tra il confine dei Regj Presìdi di Napoli e l'altro del Principato di Piombino, datata 1793 (in ASF, Miscellanea di Piante, n. 292 e OXF, I, n. 11, ripubblicato nel 1988 dall'Osservatorio Ximeniano di Firenze, a cura di Barsanti, Bravieri e Rombai):
La raccolta dell’ASF è incompleta, presentando solo 18 tavole rispetto a quella dell’OXF che è composta da 35 tavole acquerellate e da 4 tavole di testo introduttive (dove si descrivono le torri e i fortini con i loro armamenti, con i lavori fatti di recente e con quelli ancora da fare per migliorare le strutture difensive e le condizioni di vita dei militari), e rappresenta quindi l'intero sistema delle fortificazioni poste sul litorale grossetano di pertinenza granducale. I disegni – una carta topografica d'insieme del litorale tra il golfo di Follonica e Talamone in scala 1:70.000 e 34 tavole delle singole strutture con minuziose planimetrie in scala 1:200 e con suggestivi alzati e vedute presi dal vero – sono apprezzabili, oltre che per la raffinatezza e l'eleganza grafica, soprattutto per la particolare precisione con cui riescono a "fotografare" i principali aspetti del paesaggio costiero, animati da scene di vita quotidiana.
A firma di Pietro Conti, in un’altra raccolta dell’ASF redatta sempre tra gli anni ’80 e ’90 e dedicata agli edifici doganali e sanitari, troviamo le piante e vedute delle dogane di Castiglione della Pescaia, di Magliano in Toscana e della Trappola (in ASF, Miscellanea di Piante, nn. 292bis.d, i, tI).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Pietro Leopoldo, I, 1969, p. 84; Vichi, 1986, p. 114; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 260-261 e 271; Barsanti, Bravieri e Rombai, a cura di, 1988; Barsanti, 1992, p. 7; Melis, 1996, p. 250; Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001, pp. 70 e 113-115; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade; ASGr, Commissario della Provincia Inferiore Senese; ASCSG;

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci