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Amministrazione dello Stato dei Presìdi/dos Presidios di Orbetello (1557-1801) (Granducato di Toscana)

Lo Stato dei Presìdi o Presidios di Orbetello (con i territori continentali di Talamone, Orbetello e Monte Argentario) non rappresentò mai uno Stato indipendente, bensì una sorta di appendice coloniale della Spagna prima – che comunque fece gestire il piccolo soggetto politico toscano, strappato all’antico Stato Senese nel 1557 con il trattato di Londra, dall’amministrazione del Vice Reame di Napoli – e dei Borbone di Napoli poi (vale a dire dal 1737-38), a parte la breve parentesi della dominazione austriaca tra il 1708 e il 1737-38. Solo nel 1801, dopo un’occupazione di circa due anni, fu dai francesi separato da Napoli e annesso alla Toscana allora organizzata nel Regno di Etruria, di fatto controllato da Napoleone (Caciagli, 1972).
Come è facile intuire, l’origine dei Presidios toscani, come di quelli africani coevi, risiede della valenza strategica politica e militare del territorio orbetellano – e dell’appendice elbana di Longone strappata al Principato di Piombino nel 1603 e subito fortificata – nei riguardi non solo del controllo della navigazione tirrenica (sia lungo le coste italiane e sia sulle rotte per Corsica e Sardegna) ma anche della difesa dell’Italia dagli attacchi specialmente dei barbareschi: che – non va dimenticato – si erano fatti sempre più frequenti e cruenti proprio negli anni ’40 e ’50 del XVI secolo.
Questo motivo spiega l’anomalia dei Presidios che rappresentano forse l’unico esempio in Italia di territorio che non ha mai veramente goduto di una propria sovranità e neppure, probabilmente, di una vera autonomia amministrativa, nonostante la sopravvivenza delle varie comunità e dei relativi statuti del periodo senese. Venne sempre gestito da un governatore civile o da un comandante militare residenti ad Orbetello, che è da considerare l’unica seppur piccola città e capitale, sempre dotata di vari altri uffici con autorità civili, militari e giudiziarie (Rombai e Ciampi, 1979, pp. 31-32).
Ciò non di meno, l’esigenza vitale di potenziare (anche mediante la costruzione di nuove strutture a Orbetello, Port’Ercole, Porto Santo Stefano e a Longone, come avvenne fra Cinque e Seicento) il sistema delle torri e delle altre principali fortificazioni, come pure tanti altri fabbricati pubblici civili e religiosi, esistenti nel litorale compreso tra i colli dell’Uccellina e il lago padule di Burano spiega la presenza nei Presidios, almeno negli anni ’60 del XVI secolo, di un ingegnere: ciò che risulta da una lettera del 24 febbraio 1571, con la quale l’operatore tecnico militare senese Domenico Giannelli chiedeva di ottenere – come infatti ottenne – “il luogo vacante per la morte dello Ingegnero di Port’Ercole e di Orbetello e Talamone e di Piombino, e insomma di tutti i luoghi di Toscana di Sua Maestà Cattolica” (De Vita, 1980, pp. 163-164).
E’ probabile che la figura dell’ingegnere statale sia stata presente pure successivamente e per tutto il XVIII secolo, in considerazione dell’importanza della gestione sia del patrimonio edilizio pubblico non solo di tipo militare, sia delle proprietà fondiarie demaniali (fatte in larghissima misura di boschi e pasture riuniti in bandite da affittare) di spettanza della Regia Camera, sia dei problemi anche sanitari dati da un territorio in parte pianeggiante solcato da fiumi divaganti e punteggiato da lagune e acquitrini, e sia anche dei problemi giurisdizionali correlati alla presenza di confini indefiniti e non di rado mutevoli con il circostante Granducato di Toscana.
Purtroppo, la scarsa e frammentaria documentazione rinvenuta negli archivi e nelle altre conservatorie sia toscani (Orbetello, Firenze) e romani, e sia spagnoli e napoletani, non è finora servita a restituirci nominativi di tecnici statali stabilmente operanti nei Presidios, ovviamente con le relative produzioni descrittive e cartografiche (Rombai e Ciampi, 1979; Rombai, a cura di, 1980; De Vita, 1980; Ferretti, a cura di, 1982; Principe, a cura di, 1982; Principe, 1988; e Coppi e Rombai, 1988).
E’ comunque possibile ipotizzare il nome dello spagnolo Joseph Bardet de Villanuova, che fu forse residente nei Presìdi ben oltre la dominazione iberica su quel territorio. Egli è autore, infatti, della mappa Frente de Orbitelo della metà circa del XVIII secolo (ISCAG, XVIII.C.1302) e copista nel 1754 della Pianta della Bandita del Tricosto redatta nel 1715 dal capitano ingegnere don Francesco Marinelli, che era allora conservata nella Segreteria della Comanderia dei Presidi di Orbetello (in ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 722, n. 6) (Rombai e Ciampi, 1979, pp. 226-227 e 176-177); ed è possibile che anche Marinelli abbia abitato nei Presidios.
E certamente residente nei Presìdi fu il comandante del Forte Stella sargente invalido Giuseppe Oudar, autore nella seconda metà del XVIII secolo della nutrita serie delle precise ed artistiche rappresentazioni (una decina) di tutte le torri costiere dei Presidios (mediante figure multiple costituite da rilievi topografici dell’area, planimetrie e alzati) (ISCAG, XVIII.A.1239, 1241, 1244, 1250, 1254, 1276, 1279, 1283, 1289), oltre che dell’analoga figura relativa al Forte Stella (in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 7). E’ da sottolineare che Oudar ha pure firmato, nel 1784, una pianta del magazzino di Orbetello (in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 1) (Rombai e Ciampi, 1979, pp. 250-251 e 254-273; e Ferretti, a cura di, 1982, pp. 174-175).
In altri termini, allo stato attuale della ricerca, le non molte altre carte di produzione ‘autoctona’ che si conoscono sembrerebbero attribuibili soprattutto – se non esclusivamente – ad operatori spagnoli o napoletani ‘in trasferta’ nei Presidios per conto delle rispettive amministrazioni centrali.
Limitandomi qui alla produzione manoscritta sicuramente riferibile alle amministrazioni spagnola e napoletana nel periodo che ci interessa (1557-1801), viene naturale la considerazione che potrebbe essere questo il caso della bella carta generale anonima dei Presidios della seconda metà del XVIII secolo (è in ISCAG, XVIII.C.1306 e in BNN, Ba.4b, 45); della già ricordata Pianta della Bandita del Tricosto redatta nel 1715 da Francesco Marinelli, che per molto tempo fu depositata nell’orbetellana Segreteria della Comanderia, e che nel 1754 fu copiata dal Bardet de Villanuova (in ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 722, n. 6), e produzione derivata dall’originale marinelliano risulta essere pure quella di Giovanni Castelnuovo Landini del 1792 (in ISCAG, XVII.C.1228).
E potrebbe essere questo pure il caso di tante altre rappresentazioni manoscritte di centri fortificati e singole fortificazioni chiaramente costruite da operatori militari, come: la primo-secentesca Pianta di Orbatello (ISCAG, IV.C.298bis), la primo-settecentesca planimetria Plano de la Plaza de Orbitelo con su proyetto (ISCAG, IV.C.296: altre più o meno coeve hanno segnature IV.C.293; IV.C.295; IV.C.297; XVIII.C.1301; XVIII.C.1310) e la Pianta della R. E. Piazza d’Orbetello ne’ Presidi di Toscana disegnata da Giuseppe Maria Curiel nel 1799 (in BNN, Ba.21b, 82); il Plano de la Plaza di Puerto Ercules y Castillos incontornos risalente al 1737 circa (in BNN, Ba.4b, 43); le tardo-settecentesche varie mappe di Forte Filippo e dintorni e di Port’Ercole e dintorni (rispettivamente in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 2, cc. 12-13 e 14-15; e BNN, Ba23, 14; e Ba.25°, 110); il bel Piano de la Plaza de Puerto Longon come esta presentemente del 1753 (in BNN, Ba.25b, 140), e il quasi catastale Piano della Marina immediata, alla Piazza di Longone, in cui si dimostrano tutte le abitazioni, ed altri edifici che vi esistono, disegnato nel 1782 da Luigi Alessandro Dumontier (in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 22, inc. I, cc. 5-6) (Rombai e Ciampi, 1979, pp. 168-169, 176-177, 194-199, 214-215, 224-225, 246-249 e 294-295; e Ferretti, a cura di, 1982, pp. 172-173 e 176-179).
Con maggiore sicurezza, l’accordo di confinazione tra Granducato e Presidios del 1792, che si basa su cinque cartografie – intitolate Pianta del confine giurisdizionale concordato fra i Regi Presidj, Stato di Napoli e il Granducato di Toscana (in ASF, Confini, scaff. I, palch. 11, cannone della sez. XXXVIII, tubi 3 e 5; e in ASN, Fondo Piante, cartella 30, nn. 1-5; e in ISCAG, XXXVIII.3.1) – redatte congiuntamente da ingegneri topografi granducali e napoletani (Rombai e Ciampi, 1979, pp. 29-30 e 200-203), dovrebbe essere attribuito a tecnici dipendenti dalle istituzioni centrali: come appunto gli ingegneri Luigi Kindt, per il Granducato, e Giovanni Castelnuovo Landini e Giuseppe Maria Curiel, per il Regno di Napoli, che lo sottoscrissero.
Tuttavia, non è da trascurare il fatto che il nome di Giuseppe Maria Curiel si ripete più volte. Lo abbiamo già trovato nel 1799 con la Pianta della R. E. Piazza d’Orbetello ne’ Presidi di Toscana: nel 1800 è autore di un’altra grande e dettagliata figura, questa volta di tipo topografico, la Pianta d’una parte del Monte Argentale con la laguna orbetellana, prodotto che presuppone quanto meno lunghi rilevamenti nell’area (ISCAG, F.785) (Principe, 1988, p. 118).

Produzione cartografica

Frente de Orbitelo, Joseph Bardet de Villanuova, metà circa del XVIII secolo (in ISCAG, XVIII.C.1302);
Pianta della Bandita del Tricosto (redatta nel 1715 dal capitano ingegnere don Francesco Marinelli), copia di Joseph Bardet de Villanuova, 1754 (in ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 722, n. 6);
Pianta della Bandita del Tricosto (redatta nel 1715 dal capitano ingegnere don Francesco Marinelli), copia di Giovanni Castelnuovo Landini, 1792 (in ISCAG, XVII.C.1228);
Carte topografiche con rilievi in planimetria e in alzato di 12 strutture fortificate dei Presidios, Giuseppe Oudar, comandante del Forte Stella e sargente invalido, seconda metà del XVIII secolo (in ISCAG, XVIII.A.1239, 1241, 1244, 1250, 1254, 1276, 1279, 1283, 1289; e ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 7);
Pianta del magazzino di Orbetello, Giuseppe Oudar, 1784 (in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 1);
Carta generale anonima dei Presidios, seconda metà del XVIII secolo (in ISCAG, XVIII.C.1306 e in BNN, Ba.4b, 45);
Pianta di Orbatello, prima metà del XVII secolo (in ISCAG, IV.C.298bis);
Plano de la Plaza de Orbitelo con su proyetto, prima metà del XVIII secolo (in ISCAG, IV.C.296: altre più o meno coeve hanno segnature IV.C.293; IV.C.295; IV.C.297; XVIII.C.1301; XVIII.C.1310);
Pianta della R. E. Piazza d’Orbetello ne’ Presidi di Toscana, Giuseppe Maria Curiel, 1799 (in BNN, Ba.21b, 82);
Plano de la Plaza di Puerto Ercules y Castillos incontornos, 1737 circa (in BNN, Ba.4b, 43);
Mappe di Forte Filippo e dintorni e di Port’Ercole e dintorni, seconda metà del XVIII secolo (rispettivamente in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 23, inc. 2, cc. 12-13 e 14-15; e BNN, Ba23, 14; e Ba.25°, 110);
Piano de la Plaza de Puerto Longon come esta presentemente del 1753 (in BNN, Ba.25b, 140);
Piano della Marina immediata, alla Piazza di Longone, in cui si dimostrano tutte le abitazioni, ed altri edifici che vi esistono, Luigi Alessandro Dumontier, 1782 (in ASN, Sezione militare. Segreteria di Guerra, f. 22, inc. I, cc. 5-6);
Pianta del confine giurisdizionale concordato fra i Regi Presidj, Stato di Napoli e il Granducato di Toscana, ingegneri Luigi Kindt, per il Granducato, e Giovanni Castelnuovo Landini e Giuseppe Maria Curiel, per il Regno di Napoli, 1792 (in ASF, Confini, scaff. I, palch. 11, cannone della sez. XXXVIII, tubi 3 e 5; e in ASN, Fondo Piante, cartella 30, nn. 1-5; e in ISCAG, XXXVIII.3.1);
Pianta d’una parte del Monte Argentale con la laguna orbetellana, Giuseppe Maria Curiel, 1800 (in ISCAG, F.785).

Operatori

Domenico Giannelli, ingegnere senese (1571-72); Francesco Marinelli, capitano ingegnere (1715); Joseph Bardet de Villanuova, ingegnere (1754); Luigi Alessandro Dumontier (1782); Giuseppe Oudar, sargente invalido e comandante del Forte Stella (1784); Giovanni Castelnuovo Landini, ingegnere (1792); Giuseppe Maria Curiel, ingegnere (1792-1800).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Caciagli, 1972; Rombai e Ciampi, 1979; Rombai, a cura di, 1980; De Vita, 1980; Ferretti, a cura di, 1982; Principe, a cura di, 1982; Principe, 1988; Coppi e Rombai, 1988; Guarducci, 2000; Rossi, 2000; Tognarini, 1987. I maggiori corpi documentari sono conservati in diversi fondi dell’ASN e della BNN, dell’ISCAG e dell’Archivio di Simancas.

Leonardo Rombai (Siena)

Amministrazione del Principato di Piombino (1399-1814) (Granducato di Toscana)

Nel 1399, gli Appiani strapparono alla Repubblica di Pisa la parte meridionale dell’antica Maremma Pisana (in pratica, le basse vallate di Cornia e Pecora con gli attuali Comuni di Piombino, Suvereto, Follonica e Scarlino, e con l’exclave separata di Buriano in Val di Bruna), insieme con l’Elba e le altre isole minori di Pianosa e Montecristo.
Durante i secoli XV e XVI, gli Appiano vi crearono un piccolo ma bene organizzato Stato moderno che traeva risorse basilari nell’estrazione e nella lavorazione dell’allume di Montioni e soprattutto dei minerali di ferro dell’Elba, e che – nel corso dei secoli – fino alla dominazione napoleonica venne trasmesso ereditariamente prima agli Aragona Appiani, e poi ai Ludovisi e ai Boncompagni Ludovisi, pressoché integralmente (con l’eccezione dei due lembi elbani con le nuove fortezze di Portoferraio e Longone oggi Porto Azzurro, che nel XVI passarono rispettivamente al Granducato e ai Presidios spagnoli di Orbetello). Nel 1805, però, Napoleone – che già dal 1801 aveva occupato il Principato di Piombino – decise di mantenere alla Francia il controllo diretto delle isole e di affidare la parte continentale, il Piombinese, alla sorella Elisa Bonaparte e al di lei consorte Felice Baciocchi, già investiti del governo dell’antico Stato di Lucca, con il titolo di Principi di Lucca e Piombino.
Nel 1814, con la caduta di Napoleone e con il Congresso di Vienna, tutto il territorio (continentale e insulare) dell’antico Principato fu annesso al restaurato Granducato di Toscana dei Lorena.
Nonostante l’organizzazione burocratica creata a Piombino fin dai tempi rinascimentali, non è documentata la presenza di operatori tecnici e di cartografi nell’amministrazione statale piombinese fino al XVIII secolo inoltrato.
Infatti, a quanto è dato sapere, la prima attestazione di un ingegnere piombinese riguarda Giustino Lombardo e il 1730, con il disegno di una mappa del fiume Bruna e del territorio circostante (con l’exclave piombinese di Buriano), insieme con il confine tra i due Stati (conservata in ASF, Magona. Appendice II, f. 48, mazzo n. 1: cfr. Quattrucci, 1994, p. 120).
Forse anche Giuseppe Baldesi, autore nel 1738 di una memoria sulle ferriere del Piombinese e sui lavori necessari per la loro messa in funzione (Archivio Segreto Vaticano, Boncompagni, n. 392, 11: cfr. Rombai e Tognarini, 1986, p. 61), fu un ingegnere.
Ma occorre attendere l’inizio degli anni ’70 perché compaia un tecnico stabilmente inquadrato a tempo pieno nell’amministrazione del Principato.
Almeno dal 1771 al 1804 tale operatore ha il nome del capitano ingegnere Giacomo Benassi (che si firma come “Ingegnere di Sua Eccellenza”), che sarà assai attivo soprattutto nell’ambito dei lavori della Deputazione toscano-piombinese che, nel 1779-85, fu incaricata di misurazioni e visite ai confini controversi fra Granducato e Principato, e coordinata dai matematici Leonardo Ximenes e Teodoro Bonaiuti, con vari ingegneri toscani e piombinesi al seguito (per il primo Stato Filippo Grobert e Alessandro Nini, per il secondo, oltre a Benassi, Stefano Pasi): gli ingegneri redassero materialmente, in modo collegiale, le numerose e impegnative piante per le varie aree interessate, e precisamente quelle della Val di Cornia, della Val di Pecora, della valle dell’Alma e di Gualdo, della sezione nord-occidentale della pianura di Grosseto tra la Bruna e il lago di Castiglione (ASF, Miscellanea di Piante, 9, 37, 58, 297/b-c, 408, 501, 503, 506-507, 513-536, 543-545, 764; e Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade, n. 1576/1) (cfr. Barsanti e Rombai, 1987, p. 190; e Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, p. 387).
Al di là di tale importante impegno, sappiamo che Benassi nel 1771-78 aveva disegnato una mappa geometrica, con tanto di perizia, di una piccola area interessata allo scavo della Pecora nello Scarlinese, e un altro disegno progettuale per la costruzione di un capannone a Scarlino destinato a “fabbrica della polvere”; altri scritti tecnici interessarono la steccaia sul fiume Cornia, gli edifici delle torri di Torremozza e Baratti, la chiesa di Marina di Campo, l’affitto di boschi statali a Suvereto e Scarlino (ASF, Magona. Appendice II, f. 57, mazzo n. 10: cfr. Quattrucci, 1994, p. 122).
Ancora, nel 1772 Benassi disegnò la Pianta della miniera del ferro nell’isola dell’Elba (ASV, Boncompagni, XIII, 392-16); e nel 1772-73 Benassi redasse varie perizie sui beni forestali di Valle, sui più diversi problemi (anche di confinazione col Granducato) dei territori di Suvereto, Vignale, Scarlino e Buriano con la torre del Barbiere a Gualdo oggi Puntala e la steccaia della Ronna che alimentava l’industria di Follonica (ASF, Magona. Appendice II, f. 53, mazzo n. 11: cfr. Quattrucci, 1994, p. 121).
Nel 1788 scrisse un dettagliato inventario degli stabili, con relative masserizie, esistenti nello stabilimento siderurgico di Follonica, mentre nel 1800 stilò – insieme all’altro ingegnere Giuseppe Antonio Pellegrini – perizie per restaurare alcuni degli stabili di Follonica con la gora di alimentazione e la steccaia di derivazione delle acque, con tanto di presenza in sede di esecuzione dei lavori (Rombai e Tognarini, 1986, pp. 49-50).
Da notare che il Pellegrini fu autore nel 1794 di una perizia con disegno planimetrico dello stabilimento di Follonica (ASF, Piombino, 632, c. 87: cfr. Rombai e Tognarini, 1986, p. 118).
Dunque, almeno nel 1794, al suo tramonto, l’antico Stato Piombinese aveva al suo servizio due ingegneri: Benassi e Pellegrini.
Ma è negli anni seguenti, sotto la dominazione francese che la vicenda della cartografia del Principato di Piombino appare ancora più significativa.
Già nel 1804 Benassi poté costruire la Carte de la Principauté de Piombino, una rappresentazione generale non geometrica, ma con dettaglio tale da comprendere tutti gli edifici (anche isolati) allora esistenti.
Nel 1808, pure l’altro ingegnere del Principato Giuseppe Antonio Pellegrini fece una nuova figura limitata al territorio costiero, Principato di Piombino. Pianta dei Paduli di Piombino, Torre Mozza e Scarlino contenente numerosi valori di distanze e coordinate geografiche. Nel 1810 vennero intensificati i lavori di rilevamento geometrico-topografico, correlati alle operazioni catastali, utilizzati anche per la compilazione di una nuova carta del Principato, Principato di Piombino, che fu portata a compimento dal Pellegrini nel 1813, con risultati decisamente migliori, se non ancora compiutamente geometrici, rispetto ai prodotti precedenti (Guarducci, 2001, pp. 542-560; Quaini, Rombai e Rossi, 1995; e Tognarini, 1995, pp. 57-66).
Il nuovo governo dei Baciocchi provvide realmente a prendere in considerazione i problemi territoriali, come dimostrano gli interventi concreti alla via costiera della Principessa, con la costruzione del tratto Piombino-Torrenuova, per il cui progetto (con disegni e profili) del 1810 fu incaricato l’esperto ingegnere dell’amministrazione napoleonica e del Principato di Lucca Giacinto Garella (in ASP, Piante dell’Ufficio Fiumi e Fossi, n. 30), oltre che a varie strade dello Scarlinese per Massa Marittima e il Puntone, allo stabilimento siderurgico follonichese e all’allumiera e insediamento principesco con bagno termale di Montioni, e come dimostra soprattutto il problema della bonifica delle paludi costiere per finalità di risanamento igienico-ambientale e di sviluppo dell’agricoltura e del popolamento. Infatti, gli acquitrini del piombinese non erano stati interessati – come invece era avvenuto in vari settori della Maremma granducale a nord e a sud del Principato – da interventi di bonifica nel corso del XVIII secolo, finalizzati al recupero delle zone umide per la coltivazione; tale inazione si spiega soprattutto con il fatto che queste aree erano funzionali agli ordinamenti cerealicolo-pastorali estensivi che incardinavano i latifondi dei Desideri, Franceschi e altri grandi proprietari locali (Rombai, 1995, pp. 47-56; e Tognarini, 1995, p. 62).
Emblematico dell’attenzione nuova per il problema del paludismo è il decreto sul riassetto amministrativo del 15 maggio 1807 che prevedeva pure la bonifica, nel breve arco di un biennio, dei diversi acquitrini del Piombinese, da finanziare con una “fondiaria imposizione su tutti i proprietari”, oltre alla costruzione di una strada litoranea tra Piombino e Follonica con tanto di ponte sul fiume Cornia. Scrive Ivan Tognarini che “già dal gennaio di quello stesso anno” era stato approntato un piano di prosciugamento – evidenziato anche in due dettagliate, precise e innovative cartografie dei comprensori interessati, redatte però non dai due ingegneri piombinesi ma da operatori del corpo del genio militare imperiale nel 1806-07 (Plan du Grand Marais de la Principauté de Piombino e Project de desséchment du grand marais de Piombino, che quindi ne costituiscono l’imprescindibile base progettuale – imperniato sul metodo della colmata e dell’essiccazione mediante canali, con inondazione graduale e sistematica dei terreni palustri e con l’arginazione di fossi e fiumi (Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 206-207.).
A questa serie appartengono pure altre figure coeve funzionali agli incanalamenti fluviali e alla costruzione delle arginature per le colmate che inquadrano un territorio più esteso rispetto a quello ricoperto dagli acquitrini, come la Carta del corso del fiume Cornia nella pianura di Campiglia, e nell’inferior territorio del Principato di Piombino del 1806, e la Pianta approssimativa delle Paludi di Piombino, redatta dal non altrimenti noto capitano Bechi e senza data.
Tutte queste carte e soprattutto quelle riferite ai comprensori al centro dell’interesse visualizzano le critiche condizioni idrauliche della bassa Val di Cornia tra Poggio alle Forche e Torre Mozza, con i suoi ambienti maremmani ricoperti in grandissima parte da acquitrini, boscaglie e incolti a pastura, con piccole isole a coltura cerealicola punteggiate da rade sedi rurali (Frangiana, Paduletto, Carlappiana, Vinarcha, Poggio S. Mommè), con il progetto di bonifica e di canalizzazione al mare del fiume Cornia, sulla cui foce si doveva costruire un ponte a tre archi in corrispondenza dell’antica via dei Cavalleggeri tra Piombino e Follonica (Rombai, 1995, pp. 51-52).
Questo progetto di radicale trasformazione territoriale non rimase sulla carta. Nel 1808, infatti, con un decreto specifico, venne presa la decisione di concedere le tre zone umide di Piombino, Torre Mozza e Scarlino ad un impresario, il Vidal, che avrebbe dovuto operare la colmata delle zone umide a tutte spese dello Stato, che avrebbe poi richiesto ai proprietari un contributo sulla base dell’incremento del valore dei terreni prodotto dalla bonifica.
Ma il tentativo di Vidal non arrivò a produrre risultati rilevanti, anche se nel 1809 uno dei nuovi ingegneri del Principato, Flaminio Chiesi (che probabilmente aveva sostituito il vecchio Benassi), elaborò il progetto della pescaia sul fiume Cornia, e nel 1811 i lavori, tra l’opposizione della grande proprietà fondiaria con alla testa i Franceschi, poterono iniziare e svolgersi fino alla caduta di Napoleone, sotto la direzione di Chiesi e Pellegrini. Di sicuro, fu effettuata l’escavazione da parte del Genio Imperiale del fosso della Sdriscia, che avrebbe dovuto deviare le acque torbide fluviali nel paduletto di Campo all’Olmo, venne parzialmente arginato il fiume Cornia e vennero costruiti ponti in legno alle foci del Cornia e del Pecora (Tognarini, 1995, pp. 60-61).
Ai Baciocchi deve essere riferito anche il progetto di porto canale alla foce dello Stagno e Padule di Scarlino in località Puntone che è evidenziato mediante una nitida planimetria disegnata dall’architetto francese Louis Guizot nel 1805-1807 (ASF, Piombino Appendice II, 11, ins. 2: cfr. Rombai e Tognarini, 1986, p. 81), per costruire uno scalo sicuro, con due lunghi moli da erigere pressoché esclusivamente all’interno della zona umida e nel poco profondo tombolo, in funzione soprattutto delle esigenze commerciali dello stabilimento siderurgico statale di Follonica. Il progetto venne fatto esaminare dal ben noto Matematico Regio fiorentino Pietro Ferroni che il 12 luglio 1807, secondo il suo metodo sistematico di procedere, ne scrisse un’articolata memoria col titolo di Voto imparziale, e sottotitolo di Osservazioni sopra il Progetto di riduzione a porto del Punton di Scarlino, nella quale egli giudica poco conveniente la costruzione del porto canale “a maggior comodo, e vantaggio del Forno, Ferriera e magazzini adiacenti della Follonica”, perché la sua accessibilità da parte dei bastimenti sarebbe stata continuamente messa a rischio dall’insabbiamento prodotto “dai flutti marini”, come ben dimostrava l’esperienza del “vicin porto canale di Castiglione della Pescaia” (Rombai, 1995, pp. 52-53; e Pellegrini, 1984).
A partire dal 1809 e fino al 1814, le innumerevoli perizie a fabbriche, strade e corsi d’acqua (con ponti e steccaie del Principato) portano regolarmente la firma dell’ingegner Chiesi – anche se dal 1805 compare pure un nuovo aiuto, Angelo Benassi, forse figlio di Giacomo – a partire dal progetto con quattro piante e alzati della Steccaia sul Fiume Pecora del 1809 (ASF, Piombino Appendice II, 11, ins. 2: cfr. Rombai e Tognarini, 1986, pp. 76-81).

Produzione cartografica

Mappa del fiume Bruna e del territorio circostante (con l’exclave piombinese di Buriano) al confine tra i due Stati, ingegnere Giustino Lombardo, 1730 (ASF, Magona. Appendice II, f. 48 mazzo n. 1);
Pianta della miniera del ferro nell’isola dell’Elba, ingegnere Giacomo Benassi, 1772 (ASV, Boncompagni, XIII, 392-16);
Carte de la Principauté de Piombino, ingegnere Giacomo Benassi, 1804 (SHAT, Cartes et Plans, M.13.C, carta n. 27);
Pianta topografica generale del corso nuovo e vecchio del fiume Ampio e sue adiacenze, e della nuova e vecchia confinazione tra lo Stato di Toscana e il Principato di Piombino, fine del sec. XVIII (ASF, Miscellanea di Piante, n. 9);
Pianta dalla confluenza della Milia nella Cornia fino all’estremo termine giurisdizionale fra la Sassetta e Suvereto, Alessandro Nini e Giacomo Benassi, 28 maggio 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 37);
Pianta della confinazione del Marchesato di Castiglioni col Principato di Piombino, seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, n. 58);
Pianta topografica di una parte del corso del Torrente Alma, e del Fosso della Zinghera, e dei Fossetti che mettono in essi, con i Poggi dai quali derivano, e loro adiacenze, formata dagl’Ingegneri Toscani e Piombinesi per la questione presente di Confinazione fra il Granducato di Toscana et il Principato di Piombino nel mese di Marzo del 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 297/b);
Pianta topografica di una parte del corso del Torrente Alma, del Fosso della Zinghera, e dei Fossetti che mettono in essi, con i Poggi dai quali derivano, e loro adiacenze, formata dagl’Ingegneri Toscani e Piombinesi per la questione presente di Confinazione fra il Granducato di Toscana et il Principato di Piombino nel mese di Marzo del 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 297/c);
Sbozzo di carta confinaria tra gli Stati di Piombino e di Toscana nella valle dell’Alma in Maremma, 9-13 marzo 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 408);
Cartone della Tenuta di Pian d’Alma, e luoghi adiacenti per la confinazione di detta Tenuta col territorio del Sig. Principe di Piombino. Anno MDCCLXXVII (ASF, Miscellanea di Piante, n. 190)
Pianta di una parte del corso del Fiume Alma con le sue sorgenti e fossi che mettono in esso, poggi, e loro adiacenze formata per intelligenza della questione di confinazione per quella parte fra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino l’anno 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 501);
Confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino in Valdibruna presso Buriano, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 13 maggio 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 503);
Pianta dimostrante il confine tra le tenute di Buriano e Montepescali secondo il Lodo del 1696 ed il Fermato nell’accesso nel 24 Decem. 1725 in occasione della recognizione confinaria nella pianura degli Acquisti tra Granducato e Principato di Piombino, Alessandro Nini Ingegnere, 17 aprile 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 506);
Pianta del confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino in Val di Pecora nei territori di Massa Marittima e Scarlino, Alessandro Nini e Giacomo Benassi, 21 maggio 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 507);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino tra Pian d’Alma e Gualdo, 1785 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 513);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino tra Pian d’Alma e Gualdo, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 17 aprile 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 514);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel Piano della Badia al Fango, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 19 marzo 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 515);
Pianta del confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino dalle steccaie di Pecora e Ronna a Follonica, Alessandro Nini e Giacomo Benassi, 21 maggio 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 516);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino tra Campiglia e Suvereto, Alessandro Nini e Giacomo Benassi, 17 maggio 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 517);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino tra Pian d’Alma e Tirli, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 30 aprile 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 518);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino da Tirli al Mulino dell’Ampio, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 30 aprile 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 519);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel territorio di Gualdo, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 520);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nella Tenuta di Gualdo, 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 521);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel territorio di Gualdo, [1780] (ASF, Miscellanea di Piante, n. 522);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel Piano della Badia al Fango, Alessandro Nini, 10 maggio 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 523);
Pianta dell’andamento del corso presente dei torrenti Ampio e Cortigliano dal Lago di Castiglioni o dell’Abbadiola fino alle radici dei Monti dai quali scendono e parte delle adiacenze di detti torrenti nell’anno 1781, Alessandro Nini, 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 524);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel territorio di Buriano e Montepescali, Alessandro Nini, 5 giugno 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 525);
Pianta del confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino nel territorio di Buriano e Montepescali, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 8 aprile 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 526);
Pianta del confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino nel territorio dell’Abbadiola e Acquagiusta, Alessandro Nini, 2 giugno 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 527);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino nel territorio dell’Abbadiola e Acquagiusta, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 8 aprile 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 528);
Pianta del confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino dal mulino sull’Ampio a Piano e penisola dell’Abbadiola, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 7 aprile 1783 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 529);
Pianta del confine giurisdizionale tra Granducato di Toscana e Principato di Piombino in Valdalma, Ferdinando Morozzi e Pietro Paolo Calini (o Casini), seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, n. 530);
Pianta topografica di una parte del corso del fiume Alma o Rio di S. Lucia, del fosso della Zinghera e dei fossetti che mettono in esso, con i poggi dai quali derivano formata dagl’ingegneri toscani e piombinesi per la questione presente di confinazione tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino, Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, marzo 1781 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 531);
Pianta dimostrativa i due Mulini della Zinghera e sue adiacenze, seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, n. 532);
Pianta topografica di una parte del Piano d’Alma e di Gualdo, Filippo Grobert e Stefano Pasi, 1779 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 533);
Pianta della tenuta di Gualdo dal Padule di Pian d’Alma fino alla Troia e poggi che circondano detta tenuta parte della quale appartiene a S.A.R. i Granduca di Toscana e parte a S.E. i principe di Piombino, seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, n. 534);
Pianta topografica di una parte del piano d’ Alma dal ponte di pietra del fiume di detto nome fino alla sommità del Poggio Spada e del Monte d’Alma, formata di concerto da Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri di Toscana e di Piombino, 24 maggio 1779 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 535);
Confine giurisdizionale tra il Granducato di Toscana e il Principato di Piombino da Montecalvi fino alla bassa Valdicornia. III., Alessandro Nini e Giacomo Benassi ingegneri, 1780 ca. (ASF, Miscellanea di Piante, n. 536);
Carta topografica dimostrante la Torre della Troia, stabilimento di S.A.R. il ser.mo Granduca di Toscana, e la Torre del Barbiere del Principato di Piombino con i scali e seni, adiacenti a dette torri, comprese dentro la passata del cannone, Innocenzio Fazzi ingegnere, seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, n. 543);
Pianta topografica della tenuta del Gualdo e di parte del Pian d’Alma fatta nell’anno 1779 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 544);
Territorio del Gualdo, oggi Punta Ala, in due piante a confronto del 1616 e del 1769, 1780 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 545);
Disegno schematico del confine tra lo Stato di Siena con il Territorio di Massa e il Principato di Piombino con il Territorio di Scarlino alla steccaia del Fiume Pecora, Alessandro Nini e Giacomo Benassi, 23 aprile 1782 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 764);
Pianta di tutta la linea di confine [tra il Granducato e il Principato di Piombino] dal termine del Dosso d’Arcione allo Scoglietto di Capezzuolo, Alessandro Nini, 1782 (ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade, n. 1576/1);
Disegno planimetrico dello stabilimento di Follonica, Giuseppe Antonio Pellegrini, 1794 (ASF, Piombino, 632, c. 87);
Principato di Piombino. Pianta dei Paduli di Piombino, Torre Mozza e Scarlino, ingegnere Giuseppe Antonio Pellegrini, 1808 (ASF , Miscellanea di Piante, n. 293 bis/c);
Principato di Piombino, ingegnere Giuseppe Antonio Pellegrini, 1810-13 (Archivio di Stato di Lucca);
Plan du Grand Marais de la Principauté de Piombino, Genio militare imperiale, 1806-07 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 278/a);
Project de desséchment du grand marais de Piombino, Genio militare imperiale, 1806-07 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 278/b);
Carta del corso del fiume Cornia nella pianura di Campiglia, e nell’inferior territorio del Principato di Piombino, 1806 (ISCAG, E.2047);
Pianta approssimativa delle Paludi di Piombino, capitano Bechi, 1806-07 (ISCAG, E.2044);
Pianta del fiume Cornia con sulla cui foce un progetto di ponte in corrispondenza della via dei Cavalleggeri (ASF, Miscellanea di Piante, n. 278/c);
Pianta con progetto di porto canale alla foce del Puntone dello Stagno-padule di Scarlino, architetto Louis Guizot, 1805-1807 (ASF, Piombino Appendice II, n. 11, ins. 2);
Steccaia sul Fiume Pecora, quattro mappe e alzati, ingegnere Flaminio Chiesi, 1809 (ASF, Piombino Appendice II, 11, ins. 2);
Progetto (con disegni e profili) della via della Principessa da Piombino a Torrenuova, Giacinto Garella, 1810 (in ASP, Piante dell’Ufficio Fiumi e Fossi, n. 30).

Operatori

Giustino Lombardo ingegnere (1730), Giacomo Benassi ingegnere (1771-1804), Stefano Pasi ingegnere (1779-85), Giuseppe Antonio Pellegrini ingegnere (1794-1813), Bechi capitano del Genio militare (1806-07), Louis Guizot (1805-07), Giacinto Garella (1810), Flaminio Chiesi ingegnere (1809-14), Angelo Benassi (1805-14).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Guarducci, 2000; Rossi, 2000; Guarducci, 2001; Orefice, 2002; Pellegrini, 1984; Quaini, Rombai e Rossi, 1995; Quattrucci, 1994; Rombai, 1995; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987; Rombai e Tognarini, 1986; Rombai e Vivoli, 1996, pp. 156-157; Tognarini, 1987; Tognarini, 1995. Molti documenti sono in ASF, Piombino; ASF, Piombino Appendice II; ASF, Magona; ASF, Miscellanea di Piante; ASV, Boncompagni; ASL, Piombino; ISCAG; SHAT.

Anna Guarducci, Leonardo Rombai (Siena)

Acque e strade (Granducato di Toscana)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Soprintendenza alla Conservazione del Catasto ed al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade (1825-1834)
Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto (1834-1849)
Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato (1849-1862)
Genio Civile (1862-ad oggi)

La nascita nel 1825 del Corpo degli Ingegneri è “la prova della volontà del granduca di inaugurare una politica di interventi globali” (Giuntini, 1989, p. 404): di sicuro, essa dette un violento scossone al sistema di formazione e di reclutamento degli ingegneri. Con esso, veniva abbandonato il vecchio modo di operare, basato sull’empirismo e su di un’istruzione prevalentemente classico-umanistica e architettonica, in nome di una visione riflettuta e lungimirante dell’impegno sul territorio che assegnava un ruolo basilare all’istruzione tecnica (assimilata anche mediante il costante collegamento, con letture e viaggi, con le scoperte europee) per risolvere i problemi impiantistico-strutturali e legati specialmente alla realizzazione delle opere tecnico-territoriali.
Per quanto il primo direttore del Corpo degli Ingegneri sia stato il giovane matematico dello Studio Pisano Giovanni Frullani (con nel Consiglio degli Ingegneri altre personalità tecniche di spicco come l’architetto Giuseppe Del Rosso e il matematico Gaetano Giorgini), il vero ispiratore dell’operazione fu Alessandro Manetti: egli ne dettò anche il regolamento che in larga parte si ispirava al Corp des Ingénieurs des ponts et chaussées in cui il giovane fiorentino aveva militato nel 1809-14.
Al vertice del Corpo stava dunque il Consiglio degli Ingegneri che faceva capo alla Soprintendenza alla Conservazione del Catasto e al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade. La Soprintendenza era presieduta dal detto Consiglio e costituita dal Corpo degli Ispettori e Sottoispettori dei quattro Compartimenti (o Camere di Soprintendenza Comunitativa di Firenze, Pisa, Siena e Grosseto) e dai 37 ingegneri degli altrettanti Circondari che accorpavano ciascuno varie Comunità, con il compito di sottoporre all’esame delle autonomie locali tutti i lavori relativi a strade, corsi d’acqua e paduli e fabbricati.
Il 31 dicembre 1834 il Corpo venne trasformato nell’autonoma Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade, con la direzione (comprendente anche quella del Consiglio degli Ingegneri) assunta dal Manetti. Con tale innovazione, i compiti relativi ai lavori pubblici vennero disgiunti da quelli catastali, in quanto fu contestualmente creato l’Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto che doveva gestire questo importante servizio fiscale.
Di fatto, solo nel 1833 gli accessi e i titoli di formazione cominciarono ad essere regolamentati in senso specialistico e restrittivo, a partire dall’ammissione subordinata al superamento di un esame. Con Notificazione del 4 aprile 1845 si richiese poi all’aspirante ingegnere non solo la laurea (divenuta obbligatoria colla Notificazione del 26 settembre 1838) ma anche un perfezionamento biennale da farsi presso la fiorentina Accademia di Belle Arti.
La legge provinciale del 9 marzo 1848 ridisegnò la mappa amministrativa con l’istituzione dei nuovi Compartimenti di Lucca, Arezzo e Pistoia. Ad ogni Compartimento veniva assegnato un Ingegnere Ispettore, mentre dal 1° settembre 1850 vennero soppressi i Circondari e ciascuna provincia fu suddivisa in vari Distretti con in ciascuno operante un ingegnere. Un altro decreto del 27 dicembre 1849 stabilì che dal 1° gennaio 1850 il Dipartimento di Acque e Strade prendesse il nome di Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e delle Fabbriche Civili dello Stato, assorbendo gran parte delle funzioni prima appartenenti allo Scrittoio delle Regie Fabbriche: Manetti venne confermato direttore della nuova struttura, con il nuovo Consiglio d’Arte formato, oltre che dal Manetti, anche da Luigi Campani, Pasquale Poccianti, Lorenzo Nottolini (poi sostituito da Giuseppe Martelli ) e Camillo Lapi (Zangheri, a cura di, 1984; Giuntini, 1989, pp. 398-417; Bencivenni, 1990, pp. 431-447).

Soprintendenza alla Conservazione del Catasto ed al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade (1825-1834). La Soprintendenza venne istituita con motuproprio del 1° novembre 1825 e sostituì nelle funzioni la Camera di Soprintendenza Comunitativa.
In pratica, si volle attuare una piena “ridefinizione del ruolo del potere centrale nei confronti di quello periferico, a partire dal delicato settore dei lavori pubblici”. Il ruolo degli ingegneri venne compiutamente istituzionalizzato e posto sotto il totale controllo politico statale (Toccafondi, 1996, pp. 166-167).
Era presieduta da un “Consiglio degli Ingegneri” e costituita dal “Corpo degli Ispettori e Sotto-Ispettori di Compartimento e degli Ingegneri” dei 37 circondari nei quali venne suddiviso il territorio granducale, con il compito sia “di formare o discutere i progetti, e di sorvegliare l’esecuzione dei lavori di acque e strade e fabbriche per conto comunitativo”, e sia di vigilare e dirigere “il censimento dei fondi urbani edificati dopo la compilazione del catasto, le divisioni del dazio prediale corrispettivamente ai cangiamenti della proprietà fondiaria, e le volture estimali”. Spettavano poi a questo dipartimento la direzione dei lavorio ai Bagni di Montecatini, il controllo amministrativo del Consorzio di bonifica del Padule di Fucecchio e tutti gli affari relativi a soppressione e modifiche dei circondari delle comunità, accampionamento o radiazione dei campioni delle strade comunitative, progetti di istituzione o soppressione di cancellerie. Inoltre, il Soprintendente aveva l’incarico di proporre (unitamente al Provveditore della Camera di Soprintendenza Comunitativa) le nomine, sostituzioni, promozioni dei cancellieri comunitativi e dei loro aiuti (Cresti e Zangheri, 1978, pp. IX-X).
Con uno specifico Motuproprio, in quella stessa data, venivano appunto distinte le strade pubbliche del Granducato in Regie, Provinciali e Comunitative.
Il Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade venne creato all’interno della Soprintendenza sempre nel 1825 e regolamentato, soprattutto per quanto riguarda il reclutamento, con il motuprorio del 1° novembre e con il regolamento applicativo del 10 dicembre 1826.
Il Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade, sottraendo gli ingegneri alla varie Camere di Soprintendenza Comunitativa, nacque con l’obiettivo primario di creare un ruolo unico seppure distribuito uniformemente sul territorio granducale.
Nel 1826 fu pubblicato il primo Regolamento del Corpo con il quale l’ente venne strutturato al suo interno secondo una rigorosa gerarchia di tecnici che componevano l’organico: gli ispettori e sottoispettori che prestavano la loro opera presso le Camere di Soprintendenza Comunitativa dipendevano da un soprintendente; a loro volta, era da questi che dipendevano gli ingegneri di circondario e gli aiuti ingegneri operanti nelle diverse comunità. Il reclutamento era disciplinato da un apposito Consiglio degli Ingegneri (Toccafondi e Vivoli, 1993, p. 243; Rombai, 1991; Vichi, 1983).
La creazione del Corpo degli Ingegneri comportò un evidente miglioramento del livello professionale dei tecnici ivi inquadrati previa la dura selezione operata da Alessandro Manetti fra gli innumerevoli aspiranti. Il loro addestramento “a tavolino” e “in campagna” venne sempre curato con particolare attenzione, e ben presto al posto dell’esame di ammissione (previsto dal Regolamento del 1833) venne richiesto il requisito della laurea in Scienze Fisiche e Matematiche presa negli Studi di Pisa o Siena (ciò che avvenne nel 1838); successivamente (nel 1845), si richiese anche un ulteriore perfezionamento di durata biennale da conseguirsi presso l’Istituto di Belle Arti di Firenze.
L’elevato livello professionale raggiunto dagli operatori dipendenti del Corpo si rifletté anche su molti dei loro aiuti non stabilmente inquadrati nell’ente che furono in tal modo “abilitati alla professione di agrimensore, perito agrario, disegnatore, calcolatore, assistente ai lavori e istruiti alle matematiche” (così si esprimeva il successore del Manetti, Francesco Renard, nelle sue memorie conservate in ASF, Capirotti di Finanze, 15, ins. Febbraio 1860. Corpo degli Ingegneri in Toscana) (Rombai, 1987, p. 414).
In base allo stesso Motuproprio del 1825, il territorio del Granducato fu suddiviso in 37 Circondari d’Acque e Strade (un numero destinato ad aumentare col tempo, tanto che nel 1840 saranno 68), distinti in cinque diverse classi, a capo di ognuno dei quali era assegnato un ingegnere dell’organico del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade. Gli Ingegneri di Circondario erano al servizio delle comunità, cioè delle magistrature comunitative facenti parte del Circondario stesso; essi dipendevano però dagli Ingegneri Ispettori di Compartimento che risiedevano presso le Camere di Soprintendenza Comunitativa (che erano 4, con sede a Firenze, Pisa, Siena e Grosseto), organi gerarchicamente superiori alle comunità, di cui controllavano la gestione economica. Gli Ingegneri Ispettori erano responsabili della direzione dei lavori alle strade Regie, della vigilanza su quelle provinciali, nonché della supervisione dell’attività degli Ingegneri di Circondario del loro compartimento. Annualmente essi dovevano effettuare una visita al capoluogo del Circondario al fine di controllare i registri di contabilità e i materiali prodotti dai tecnici (relazioni, piante e perizie).
A titolo di esempio, il Compartimento di Grosseto era suddiviso in 3 Circondari: Grosseto (II classe), Arcidosso (IV classe) e Orbetello (V classe).
La figura dell’Ingegnere di Circondario sostituì in seno alle comunità i precedenti ruoli dei “Viari” e dei “Provveditori di Strade e Fabbriche” riprendendone, con maggiore preparazione tecnica, i compiti: vigilanza sulla costruzione e manutenzione delle strade, progetti, pareri tecnici e sorveglianza sui lavori agli edifici pubblici e sugli interventi ai corsi d’acqua. Gli Ingegneri di Circondario erano di nomina granducale e venivano proposti dal Consiglio degli Ingegneri. Anche le Comunità disponevano di una sia pur minima possibilità di controllo su di essi, con il trasmettere ai Provveditori delle Camere una relazione annuale sul lavoro svolto e, al termine del servizio, una “cartella di ben servito”.
I Circondari di Acque e Strade verranno soppressi nel 1849, con cessazione dell’Ufficio dal 31 agosto 1850, e i compiti passarono agli ingegneri comunali e distrettuali, questi ultimi istituiti con altro provvedimento dello stesso anno (Belcari, 2003, pp. 231-234).

Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto (1834-1849). Nel 1834 la Soprintendenza prese il nome di Direzione del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade e Imperiale e Reale Uffizio per la Conservazione del Catasto, ottenendo maggiore autonomia rispetto al ministro competente che aveva presieduto la Soprintendenza.
Venne riorganizzata la sua struttura organica con la definizione di nuovi ingegneri operanti a livello provinciale, in sostituzione dei soppressi circondari (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 196-243).
Fin dalla sua istituzione, la Direzione ebbe come direttore l’ingegnere Alessandro Manetti che mantenne l’incarico fino al 1849, passando poi alla nuova Direzione Generale (Cresti e Zangheri, 1978, pp. IX-X).
Come l’istituzione precedente, la Direzione aveva il compito di soprintendere a tutti i lavori ed affari riguardanti le strade (comprese le ferrovie, che si cominciano a costruire in quegli anni) e i corsi d’acqua del Granducato (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 196-243).
Nel 1838, con un nuovo Regolamento, le competenze della Direzione vennero rafforzate ed ampliate, facendone l’unico organo di decisione e coordinamento dei lavori da eseguirsi a spese dello stato: a questa spettò infatti una funzione di controllo tecnico e finanziario sulle comunità, in collegamento, dal 1840, con la Soprintendenza Generale delle Comunità (istituita, con m.p. 3/12/1838 e 29/12/1840, con funzioni sempre accentratrici) (Toccafondi e Vivoli, 1993, pp. 196-243).

Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato (1849-1862). Alla fine del 1849 la Direzione (con decreti del 9 e del 27 dicembre di quell’anno) venne distinta dall’ente per il catasto, e prese la denominazione di Direzione Generale dei lavori di Acque e Strade e Fabbriche civili dello Stato. Da questo momento la Direzione Generale inglobò le competenze già spettanti all’antica istituzione dello Scrittoio delle Regie Fabbriche, e anche quelle del soppresso ente Commissario d’Acque e Strade della provincia Lucchese (ormai inglobata nel Granducato di Toscana).
Fin dal 1849 la Direzione Generale ebbe come direttore il solito Manetti ed era costituita da un Consiglio d’Arte di almeno tre membri con rappresentanti dei “più distinti Architetti ed Ingegneri Civili dello Stato”, con il “Commissario Regio per le Strade Ferrate” e i vertici della burocrazia tecnica dei vari compartimenti: il Consiglio, oltre che da Manetti, era formato da Luigi Campani già membro del Consiglio degli Ingegneri, da Pasquale Poccianti già Consultore delle Regie Fabbriche, da Lorenzo Nottolini già ingegnere e architetto della corte borbonica a Lucca (poi sostituito da Giuseppe Martelli) e dal segretario Camillo Lapi (Giuntini, 1989, p. 412).
Grazie a questo organo, lo Stato fu capace di “corrispondere alle proprie esigenze in materia di opere ed iniziative pubbliche attraverso gli strettissimi legami del centro con la base e la capillarità degli interventi e dei controlli” (Cresti e Zangheri, 1978, pp. IX-X).

Produzione cartografica

La ricca documentazione è conservata in ASF, fondo Piante della Direzione Generale delle Acque e Strade che riunisce gran parte della cartografia prodotta dall’ente, e Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade.
Molta documentazione è conservata pure nei tanti archivi comunali della Toscana.
Alle segnature 1497-1842 del fondo ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade, si conservano le tante centinaia di piante singole o riunite in cartelle o rilegate in atlanti della Direzione Generale delle Acque e Strade che fanno riferimento anche al periodo precedente il 1825.
Pur essendo in larghissima misura derivate dalle mappe catastali, con i necessari aggiornamenti ed integrazioni, vi si trovano, infatti, anche carte del XVIII e dell’inizio del XIX secolo, e persino del XVII secolo: tutte figure evidentemente ereditate dalle antiche magistrature (Capitani di Parte con Ufficiali dei Fiumi e Congregazione di Ponti e Strade e Deputazione dell’Arno) che si occupavano di acque e strade, ma anche di confini e strutture di controllo territoriale.
Ad esempio, è il caso della raccolta di rappresentazioni di grande significato, come la Carta corografica del Valdarno di Pisa nello stato in cui si trovava al tempo della carta generale già fattane nel 1773 dal Dott. Pietro Ferroni matematico di S.A.R. disegnata da Vincenzo Della Croce nel 1781 (n. 1578), delle piante delle province vicariali della seconda metà del XVIII secolo (n. 1564/1-40) o precedenti (come la Pianta del Capitanato Vecchio e Nuovo di Livorno del 1719: n. 1595), e di circoscrizioni feudali, come la Pianta topografica e corografica del Marchesato del Bucine di Domenico Tiroli del 1772, il feudo di Terrarossa in Lunigiana e la Contea della Gherardesca di Gio. Giorgio Kindt del 1764 (n. 1506, n. 1568 e n. 1603 rispettivamente).
Ed è il caso di un gruppo di rappresentazioni relative soprattutto all’Arno nel Valdarno di Sopra e di Sotto, al circondario umido di Bientina, al fiume Cornia, al fiume Serchio, alla Valdichiana: tra cui spiccano le carte del corso dell’Arno dalla sorgente a Firenze e da Firenze al mare (n. 1500/1-2), derivate dalle figure di Ferdinando Morozzi del 1760 circa; la Pianta del corso dell’Arno dalla Valle dell’Inferno fino all’Ancisa di Felice Innocenzio Ramponi dell’inizio del XVIII secolo (n. 1500/3) e la settecentesca Pianta del letto e spalle del Fiume Arno nel Val d’Arno di Sopra dalla Val d’Inferno fino a S. Giovanni (n. 1500/4); la Pianta del corso del Serchio a Ripafratta del 1751 (n. 1501/1) e il Lago di Massaciuccoli con altre figure della pianura pisano-livornese (n. 1617/1-5); la Pianta del corso del Fiume Cornia fino al suo sbocco in padule o stagno di Piombino del 1757 (n. 1502/1); la Pianta della demolizione dei nuovi lavori fatti dalla Repubblica di Lucca alla strada del Monte di Gragno di Agostino Fortini del 1757 (n. 1503) e la Pianta che dimostra la corrosione che fa il Fiume Serchio nella ripa di Barga di S.M.I. e le radici del poggio di Cardoso di Lucca (n. 1601); un gruppo di figure settecentesche come la Pianta del Lago e Padule di Bientina colla Serezza serrata con altra Pianta della nuova e vecchia Serezza fatta l’anno MDCCXXIX e con la Dimostrazione della campagna attorno al Lago di Bientina tra i Fiumi Arno e Serchio (n. 1563/1-11); un gruppo di carte della svolta dell’Arno a Barbaricina del 1754 (n. 1567/1-4), delle Paludi che si ritrovano a Ponente della città di Livorno (n. 1592), e dell’area depressa della Pianura di Pisa (n. 1598-1599/1-4); e finalmente il manipolo di sei piante e livellazioni di Ferdinando Morozzi del maggio 1762 funzionali alla sistemazione di alcuni tributari dell’Arno nel Valdarno di Sopra (Torrente Dogana di Montevarchi, Torrente Ricasoli volgarmente detto Giglio, Torrente Quercio, Torrente Fiacchereto, Torrente detto La Villa o San Giovanni, con la bella Pianta dimostrativa di parte della sinistra pianura del Valdarno di Sopra da Levane fino a S. Giovanni datata 1763) (n. 1504/2-7).
Agli anni 1819-21, risalgono sei mappe con profili di livellazioni che ancora risultano indipendenti dai lavori catastali relative agli interventi di bonifica in Valdichiana eseguiti da Alessandro Manetti che firma infatti le figure (n. 1806).
Numerose sono pure le rappresentazioni settecentesche su temi i più vari: come le strade (tra cui si sceglie il gruppo di quattro figure del 1789-91 relative al territorio fra Colle Val d’Elsa e Volterra con il progetto di nuova strada rotabile: n. 1666-7/3-6), come le torri costiere e i centri fortificati anche interni (n. 1565/1-7) con il bel Piano, specificazione e stato delle Torri e Posti che sono situati sul lido del mare da Livorno fino a Torre Nuova aumentati ed armati in occasione della contumacia della città di Messina l’anno MDCCXLVIII (n. 1593), le Balze di San Giusto a Volterra del 1747 (n. 1566/1-2), oppure aree più vaste, tra cui la Planimetria di Porto Pisano, di Livorno e de’ loro territorj di Carlo Maria Mazzoni del 1769 (n. 1594). Chiaramente fuori posto la Pianta di tutta la linea di confine [tra il Granducato e il Principato di Piombino] dal termine del Dosso d’Arcione allo Scoglietto di Capezzuolo redatta da Alessandro Nini nel 1782 (n. 1576/1).
Interessante la Carta topografica fatta sull’osservazione del Sig. Colonnello Warren il dì 10 maggio 1759 per meglio regolare il corso dell’acque delle ferriere di Campiglia del 1759 (n. 1600).
Riguardo ai lavori straordinari svolti dagli ingegneri a fini cartografici, sappiamo che, con circolare granducale del 7 gennaio 1826, fu ordinato che tutti gli operatori raccogliessero – per trasmetterle all’Inghirami – “coll’esattezza possibilmente maggiore le notizie tutte che occorrere possano per rendere viepiù completa la Gran Carta della Toscana” allora in costruzione. Dovevano essere riportati su lucidi “l’indicazione esatta e distinta dei corsi delle Strade Regie, Provinciali e Comunitative” con precisazione delle “strade rotabili”, delle pedonali e delle “vie a bastina”, con i “ponti di materiale” e i “ponti di legno” e le “barche per il passaggio dei fiumi”, e con la cura “di designare per mezzo di una piccola croce tutte le chiese parrocchiali, e di indicarne quando occorra con tutta esattezza il nome respettivo”. Tra gli ingegneri che più si segnalarono oltre all’ispettore Luigi Campani, Antonio Lapi da Grosseto, S. Benini da Poppi, Carlo Niccoli da Castelfiorentino, A. Torracchi da Rosignano, Vincenzo Satanassi Casanuova da Galeata, C. Maestrelli da Sansepolcro, M. Zannetti da Prato, Francesco Meocci da Lucignano, Cosimo Naldini da Radda, G. B. Moretti da San Giovanni Valdarno, Lorenzo Pini da Pontassieve, Ferdinando Samminiatelli da San Casciano Val di Pesa, Graziano Capaccioli da Empoli, Marco Gamberai da Pistoia, Francesco Soletti da Asciano A. Caprilli da Colle Val d’Elsa, Ippolito Bordoni da Siena (Rombai, 1989, pp. 96-98).

Operatori

Operatori principali furono senz’altro Alessandro Manetti, direttore del Corpo degli Ingegneri dal 1834 al 1849 e della Direzione Generale dal 1849 al 1859 e autore del Regolamento del Corpo; e Francesco Renard, Direttore della Direzione Generale, e insieme anche dell’Ufficio del Bonificamento della Maremma, dal 1859 al 1862 (che tra le altre opere, nel 1867, su committenza del Comune di Grosseto, redasse il progetto definitivo del nuovo acquedotto cittadino alimentato dalle sorgenti di Monteleone).
Innumerevoli furono poi gli ingegneri componenti il Corpo. Il Repertorio del personale in servizio dal 1825 agli anni ‘50 (ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade, 1599) censisce – con via via le giubilazioni o messe a riposo, i licenziamenti e i decessi – ben 95 operatori, e precisamente in ordine alfabetico: Giovanni Allegretti, Fabio Andreini, Luigi Baglini, Gaspero Baglioni, Lorenzo Balocchi, Gaetano Becherucci, Sebastiano Benini, Uberto Berti, Roberto Bombicci, Tito Bombicci, Ippolito Bordoni, Ferdinando Bisori, Giovanni Riccardo De Baillou, Giovacchino Callai, Luigi Campani, Graziano Capaccioli, Pietro Carraresi, Giuseppe Casini, Ridolfo Castinelli, Luigi Collentani, Flaminio Chiesi, Mario Chietti, Luigi Chiostri, Angiolo Cianferoni, Cesare Cappelli, Giuseppe Caluri, Tommaso Cantagalli, Lodovico Cateni, Alfonso Daguerre, Francesco Del Greco, Angiolo Della Stufa, Alessandro Doveri, Ulisse Dragoni, Eugenio Fabre, Giuseppe Faldi, Angiolo Falorni, Pompeo Ferrai, Fortino Fortini, Rinaldo Fossi, Giuseppe Franchini, Giusepe Gabbrielli, Gaetano Galardi, Marco Gamberai, Giuliano Gelati, Antonio Giuliani, Crestino Giuliani, Francesco Guasti, Luigi Kindt, Antonio Lapi, Cammillo Lapi, Tommaso Lepori, Costante Maestrelli, Gio. Batta Martelli, Lorenzo Materassi, Francesco Mazzei, Loreto Mazzei, Lamberto Mei, Francesco Meocci, Giuseppe Michelacci, Gio. Batta Moretti, Filippo Morghen, Carlo Martelli, Baldassarre Marchi, Cosimo Naldini, Carlo Niccoli, Gustavo Occhini, Gaspero Pampaloni, Pellegrino Papini, Gaetano Pasquini, Filippo Passerini, Domenico Pazzi, Pietro Pecori, Federigo Perodi, Giuseppe Peselli, Stefano Piazzini, Carlo Pinelli, Lorenzo Pini, Pietro Pini, Michele Poli, Corrado Puccioni, Tito Puccioni, Stanislao Ragazzini, Tommaso Razzi, Raffaello Rimediotti, Odoardo Raffanini, Francesco Saletti, Ferdinando Samminiatelli, Vincenzo Satanassi Casanuova, Niccola Scrivere, Giovanni Tavanti, Antonio Torracchi, Ermete Ulacco, Paolo Veraci, Giuseppe Vestri e Maurizio Zannetti.
Biografie individuali o anche una biografia collettiva del Corpo richiederebbero una laboriosa ricerca nell’archivio specifico. Alcuni esempi sono tuttavia da segnalare in base a precisi lavori di ricerca: sappiamo che, a Pisa, Giuseppe Caluri, figlio di Giovanni dell’Ufficio Fiumi e Fossi, dopo l’apprendistato in quello stesso Ufficio, dal 1826 servì nel Corpo di Ingegneri di Acque e Strade, raggiungendo pure la carica di ispettore a Pisa nel 1836, con trasferimento dall’anno seguente ad Arezzo, e ritorno a Pisa nel 1839-40 come ispettore incaricato della vigilanza del Serchio e del Canale di Ripafratta; Ferdinando Chini fu a Pisa dal 1837; Ferdinando Sanminiatelli entrò nel Corpo nel 1827 (nel 1829 fu a Peccioli, nel 1830 a Pontedera, nel 1834-35 a Pieve Santo Stefano, nel 1838 a Montalcino, nel 1840 a Radicondoli, nel 1846 a Montevarchi, nel 1849 a Modigliana, e finalmente nel 1850-58 a Pisa (Giglia, 1997, pp. 89, 100-101 e 109-111).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Amico, 1995; Azzari, 2001; Barsanti, 1987; Barsanti et Al., 1982; Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001; Barsanti, Previti e Sbrilli, 1989; Benigni e de Gramatica, 1998; Bertocci, 1998; Bertocci, Bini e Martellacci, 1991; Bertuzzi e Vaccari, 1993; Bigazzi, Grazi e Giulianelli, 1985; Bigazzi, 1990; Breschi et Al., 1981; Caciagli e Castiglia, 2001; Cervellati, Cardellini e Maffei, 1988; Ciuffoletti e Rombai, a cura di, 1989; Gabellini, 1987; Giglia, 1997; Greppi, 1993; Guarducci e Rombai, 1994; Guarducci e Rombai, 1998; Mantovani, 1987; Masiero, 1990; Mazzini, 1923; Nanni, Pierulivo e Regoli, 1996; Orefice, Romby et Al., 1989; Pellegrini, 1984; Piccardi, 1999-2004; Piccardi, 2001; Raffo Maggini, 2001; Rombai, 1989; Rombai, 1990; Rombai, 1993; Rombai, 1995; Rombai, 1997; Rombai e Romby, 1994; Rombai e Sorelli, 1992; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987; Romby, 1976; Toccafondi, 1996; Toccafondi e Vivoli, 1993; Tognarini, 1990; Vivoli, 1993; Vivoli, 1994. ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade.

Leonardo Rombai (Siena)

Acque e Strade (Stato di Lucca)

L’istituzione ha assunto nel corso del tempo le seguenti denominazioni:

Offizio sopra le Acque e Strade delle Sei miglia o Distretto (1523-1801)

Commissariato sopra le Acque e Strade (1801-14)

Soprintendenza (1814-18), Direzione (1818-21) e Commissariato (1821-1850)

Consiglio dei Ponti ed Argini (1806-1814)

Nello Stato lucchese fino all’inizio del XVIII secolo, tutti i regolamenti e le competenze riguardanti le Acque e le Strade, “anzi, tutta questa parte dell’amministrazione che nei governi imitati dalla Francia fa capo ai Ministri dei Lavori Pubblici”, era suddivisa in varie Deputazioni che possedevano quindi uguali pertinenze in riferimento ad una o ad un’altra zona territoriale. Successivamente, in seguito ai cambiamenti politici che avvennero a partire dal 1799 con l’instaurazione del primo reggimento democratico, sorto il 4 febbraio con l’appoggio dei francesi, e le susseguenti azioni di restaurazione di reggenze che si opponevano allo stesso, in poco più di 15 anni anche la struttura tecnico amministrativa di Lucca subì molteplici e repentini mutamenti che portarono ora all’accorpamento di diversi uffici – tendenza che trae spunto dall’impostazione che si era consolidata in Francia che aveva prodotto un accentramento di vari poteri sotto il diretto controllo di pochi dicasteri – ora al ripristino di specifiche magistrature che arrogavano a sé le competenze possedute in precedenza.

L’Offizio sopra le Acque e Strade delle Sei miglia o Distretto fu istituito dal Consiglio Generale lucchese con un decreto del 6 marzo 1523. La magistratura così denominata doveva rispondere a quelle esigenze e a quegli affari che fino ad allora erano stati in parte propri della Curia del Fondaco.
Quest’ultima infatti era un antico uffizio – chiamato così probabilmente da una fabbrica chiamata il Fondaco, dove in principio doveva avere la sede o i magazzini – che a Lucca provvedeva in generale all’annona, ai mercati, e al commercio. Dal Fondaco dipendevano in qualche modo anche la pulizia e il mantenimento delle strade, delle piazze, dei canali, dei ponti, e di tutte le infrastrutture che avevano a che fare con il commercio in senso lato. Trattandosi di tematiche e di campi che, pur avendo un denominatore comune nella finalità a cui miravano i vari intenti, si trovavano su piani diversi che avevano spesso richiesto in passato la nomina di magistrature straordinarie che fossero esperte negli argomenti che di volta in volta venivano affrontati, e considerato il fatto che negli ultimi anni “pare che succedesse un notevole peggioramento delle medesime [le strade], presso a poco come era avvenuto per quelle della città”, si giunse alla scorporazione dalla giurisdizione della Curia del Fondaco di tutte quelle mansioni che riguardavano le vie e le strade al di fuori della mura cittadine.
Con il decreto del 26 marzo 1523, il Consiglio Generale nominava tre cittadini che assurgevano provvisoriamente a “Provisores et Conservatores Stratarum, aggerum, et pontium nostri Comitatus”, ma questa Cura straordinaria venne in seguito sempre rinnovata e riformata (nel 1543, nel 1547) passando in ultimo ad avere una direzione composta da sei cittadini e con sempre più autorità e poteri. Fino al 1555 la deputazione aveva soltanto giurisdizione sulle strade – ed infatti era denominata solamente Offizio sopra le Strade delle Sei Miglia – ma successivamente le vennero arrogate anche le competenze riguardanti i fossi e le acque lungo le vie. Escludendo l’intervallo di tempo che va dal 19 giugno 1640 fino al 1661, periodo in cui fu creato uno speciale Offizio che prese in consegna la cura di tutte le acque che non rientravano specificamente all’interno di altre magistrature, l’istituzione delle Sei Miglia mantenne l’assetto che la vedeva attiva nel mantenimento della rete idrografica e viaria del Distretto lucchese (appunto nel raggio all’incirca di sei miglia intorno al capoluogo), e di conseguenza l’appellativo passò al più noto Offizio sopra le Acque e le Strade delle Sei Miglia (o Distretto). Tale disposizione rimase in vigore fino al 1801 quando fu riformato tutto l’assetto amministrativo dello Stato e i compiti passarono al nuovo Commissariato sopra le Acque e Strade.

Il periodo napoleonico, infatti, vede la nascita di nuovi enti che, avendo denominazione diversa, mantengono, però, delle competenze che risultano le stesse anche se con delle piccole differenze dal punto di vista dell’organizzazione amministrativa.
Con decreto del 24 dicembre 1806 fu istituito il Consiglio de’ Ponti ed Argini che rispecchiava in piccolo le attitudini del Ponts et Chaussés transalpino: era composto da un corpo di 10 ingegneri, un Direttore Generale ed un Ingegnere in capo. Nei circa dieci anni durante i quali resistette questo ordinamento, le due cariche più importanti furono sempre ricoperte da una personalità proveniente dall’entourage del governo francese, e da un referente illustre del territorio lucchese.
In questo periodo si segnala la figura dell’ingegner Giuseppe Duccini che operò sia nella funzione in capo che in veste dirigenziale istituzionale, che esercitò quando fu chiamato nel 1814 a guidare i Ponti ed Argini del Governo Provvisorio.
Dopo la parentesi francese, fu istituita la Soprintendenza sulle Acque e Strade, affidata nel 1818 al ministro per gli Affari Esteri e composta da sei ingegneri (mentre il Corpo degli Ingegneri veniva denominato Consiglio delle Acque, Strade e Macchie e aveva un organico di tre soli ingegneri), e subito dopo si ebbe la trasformazione in Direzione sotto il controllo della Reale Intima Segreteria di Gabinetto. L’ultimo cambiamento di titolazione della deputazione avviene nel 1821, quando in seguito ad un dissidio riguardo ai progetti di bonifica del Padule di Sesto fra Gaetano Giorgini e Lorenzo Nottolini, i due massimi responsabili di quel tempo nel campo della pianificazione territoriale, si arrivò alla creazione del Commissariato delle Acque e delle Strade che riunì definitivamente le autorità sui vari lavori pubblici del Ducato di Lucca.

Produzione cartografica

Il fondo relativo alla deputazione di Acque e Strade (in ASLu) raccoglie documenti a partire dal 1801, ma la sua istituzione avviene nel 1818 e rimane attiva fino al primo gennaio 1850. Mentre L’Offizio sopra le Acque e Strade delle Sei Miglia viene istituito con decreto del 6 marzo 1523, e cessa le sue attività all’inizio del 1801, quando le mansioni passarono al costituendo Commissariato sopra le Acque e Strade.
L’attività e la produzione della Direzione di Acque e Strade si presenta sotto forma di differenti tipologie di esecuzione con documenti cartografici, relazioni, campioni e registri relativi alle varie proprietà che si trovano all’interno dei vari Circondari in cui era suddiviso il territorio lucchese. Così, originariamente, per ogni area si aveva un “Plantario o Martilogio dove sono disegnate le terre sottoposte al ripartimento; un Notulario corrispondente, colla descrizione degli appezzamenti delle terre aggravate, nome dei possessori, e note o postille di variazioni e di passaggi di proprietà; un Campione o Ruolo dei proprietari di esse terre aggravate […]; un Libro di Cassa; Manuali di reparti, bozze ed altre diverse scritture” (Bongi, 1872-1888, vol. III, p. 287).
Successivamente, gran parte delle mappe allegate ai diversi Circondari sono state disaggregate e raccolte tutte assieme in filze specifiche che chiudono le serie del fondo Acque e Strade. Assieme al materiale prodotto nel periodo in cui l’ente esercitò direttamente le sue mansioni, sono contenuti anche documenti che erano stati realizzati da precedenti deputazioni, ma che a causa della loro attinenza con particolari progetti sono stati successivamente acquisiti dalla Direzione di Acque e Strade.
In totale vi sono 37 Circondari le cui carte sono contenute dalla filza n. 464 alla n. 705, mentre la raccolta delle mappe “che aveva formata l’Amministrazione delle Acque e Strade cavandone la parte maggiore dalle carte di diversi antichi uffizi repubblicani” chiude la consistenza del fondo dalla filza n. 706 alla n. 753 (Bongi, 1872-1888, vol. III, p. 330).
In particolare sono da segnalare:
Carta Topografica di tutte le terre soggette all’Imposta della Linea Rossa, Michele Flosi, Pubblico Perito e Giuseppe Natalini, Perito Ingegnere dell’Offizio sopra il Padule di Sesto, 1757 (ASLu, Acque e Strade, f. 625); Topografia di tutte le terre soggette all’imposizione detta della Linea Rossa, per il mantenimento del Canale Imperiale, Giovanni Iacopo Farnocchia, Perito Ingegnere dell’Offizio sopra il Padule di Sesto, 1788 (ASLu, Acque e Strade, f. 626); Carta Geografica dello Stato della Serenissima Repubblica di Lucca, descritta d’ordine dall’Ill.mo Offizio di Sanità da Fra Giuseppe M. Serantoni Agostiniano l’anno 1744, Giuseppe Maria Serantoni, 1744 (ASLu, Acque e Strade, f. 750; Carta Geografica dello Stato della Serenissima Repubblica di Lucca, copia della mappa precedente del Serantoni in formato minore, Michele Saverio Flosi (ASLu, Acque e Strade, f. 752).
Svariate mappe del Serchio e delle sue adiacenze sono contenute in ASLu, Offizio delle acque e strade delle Sei Miglia, f. 27.

Operatori

Giovan Francesco Gabbrielli (pubblico perito, 1718-1728); Giovan Lorenzo Martinelli (perito agrimensore, 1720-1724); Michele Flosi (pubblico perito, 1757); Giorgio Martinelli (pubblico perito, 1777-1780); Giovan Battista Filippo M. Giannetti (pubblico perito, 1780); Pier Giuseppe Maria Valentini (pubblico perito, 1780); Giovan Battista Innocenzo Carrara (perito ingegnere, 1795-1825); Domenico Barbantini (perito ingegnere, 1805); Giuseppe Duccini (1806-1814); Giovan Battista Martinelli (perito ingegnere, 1817-1838); Giovanni Iacopo Farnocchia (perito ingegnere, 1825); Nicodemo Morelli (perito ingegnere, 1828); Michele Cervelli (perito ingegnere, 1838).

Riferimenti bibliografici e archivistici

Azzari, 1993, pp. 161-193; Azzari, 2001, pp. 89-106; Barsanti e Rombai, 1986; Barsanti e Rombai, 1994; Bongi, 1872-1888; Caciagli, 1984; ASLu, Offizio delle acque e strade delle Sei Miglia.

Giulio Tarchi (Siena)

Zuccagni Orlandi, Attilio

Attilio Orlandini Zuccagni
N. Fiesole 1784
M. Firenze 23 novembre 1872

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
La sua opera – come quella dei coetanei Emanuele Repetti, Giovanni Inghirami e Francesco Costantino Marmocchi – rientra almeno in larga parte nell’ambito del programma di illustrazione geografica della Toscana lanciato dal Vieusseux e culminato nella fondazione e nel breve ma fiorente operato della Società Toscana di Geografia, Statistica e Storia Naturale Patria (1825-33), esperienza intensamente vissuta dal nostro autore.
A tale contesto fa pieno riferimento l’Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana del 1832, che ben prima della sua pubblicazione ottenne la piena adesione del granduca Leopoldo II, tanto da dover essere considerato per molti aspetti opera di regime. Sull’esempio del naturalista e geografo Giovanni Targioni Tozzetti che, alla metà del XVIII secolo, aveva teorizzato la regionalizzazione per bacini idrografici, lo Zuccagni pose la divisione per valli alla base del testo e delle cartografie del suo Atlante che si compone di 20 tavole in grande formato, ciascuna delle quali contenente una rappresentazione cartografica della subregione in scala variabile tra 1:100.000 e 1:300.000, con l’inquadramento di fitto testo (contenuti storici, geografico-fisici e specialmente geografico-statistici).
Questa superba e moderna illustrazione geografico-cartografica fu accolta con pieno favore anche dal Vieusseux che la considerò un esempio mirabile di “applicazione delle scienze geografiche allo stato economico di un paese”.
Le cartografie – per quanto inventate dallo Zuccagni – derivano dalla grande Carta Geometrica toscana edita nel 1831 da Giovanni Inghirami e furono disegnate e incise proprio nell’Osservatorio Ximeniano sotto la personale direzione dello scienziato scolopico (Rombai, 1989, pp. 121-122 e 1990, pp. 177-178).
Il successo arriso all’Atlante spinse l’autore ad un ben più vasto disegno, quale l’estensione del metodo della descrizione geografico-cartografica a tutti gli Stati preunitari italiani. Il programma della grandiosa opera corografica in grande formato fu pubblicato all’inizio del 1835 e realizzato dopo dieci anni “di lunghe, difficili, continuate indagini [...] solcando un vasto oceano in fragilissima barca”.
La Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue Isole edita nel 1840-1845 in dodici volumi fu corredata nel 1844-45 di cinque volumi sempre in grande formato di cartografie e di vedute o altre illustrazioni: precisamente l’Atlante geografico degli Stati italiani delineato sopra le migliori e più moderne mappe (in due volumi) e l’Atlante illustrativo ossia raccolta dei principali monumenti italiani antichi, del medio evo e moderni e di alcune vedute pittoriche (in tre volumi).
L’Atlante geografico comprende ovviamente 144 figure (44 in foglio sovraimperiale e 100 in mezzo foglio) fra carte del terreno alle più diverse scale ma anche carte tematiche di ordine fisico e storico, sempre corredate da puntuali descrizioni statistiche, facenti riferimento ai diversi Stati del tempo (con rappresentazioni d’insieme e delle varie province e con piante delle principali città).
L’Atlante illustrativo comprende 413 figure raffinate fra “pittoresche” riproduzioni prospettiche di scorci paesistici urbani e rurali (compresi piccoli centri abitati) o le “più belle vedute naturali e dei più insigni monumenti d’arte” del passato.
Le figure furono incise a Firenze, in due apposite officine, da quattro valenti artisti lombardi (V. Angeli, G. Maina, P. Manzoni e G. Pozzi), sotto il cui magistero fecero tirocinio il fiorentino V. Stanghi ed altri operatori prevalentemente locali come F. e S. Corsi, L. e A. De Vegni, L. e P. Giarrè, G. Lanzani, A. Verico.
Soprattutto il primo dei due atlanti rappresenta ancora oggi una pietra miliare nella storia della cartografia e dell’iconografia geografica italiana. Fu veramente “un’ardua impresa”, dal momento che spesso mancavano ancora (come ad esempio per il Ducato di Lucca e lo Stato Pontificio) prodotti cartografici compiutamente geometrici e, anche disponendo di rappresentazioni scientifiche, non sempre gli Stati vollero concederle all’autore col pretesto del segreto militare.
L’opera si rivelò oltremodo costosa e non ottenne il successo commerciale sperato, ma servì da base per tante altre iniziative editoriali successive che vi attinsero talora senza neppure rispettarne i diritti di autore, come nel caso dell’Atlante geografico, corografico e idrologico dello Stato Pontificio edito a Bologna nel 1857 e della fortunata ristampa dell’intera opera da parte dell’editore milanese Vallardi, con il titolo di Atlante corografico, idrografico e storico d’Italia.
Negli anni ’30 e ’40 lo Zuccagni acquisì ampia fama per le sue ricerche di carattere geografico-economico-statistico. Tra le altre cose, si interessò – in società con il console prussiano a Livorno Carlo Stichling – della colonizzazione dell’isola toscana spopolata di Pianosa, pubblicando nel 1836 una memoria storica e geografica corredata dalla dettagliata Mappa Topografica della Pianosa. Il governo granducale affittò ai due soci l’isola; poterono così iniziare i lavori di restauro dei pochi fabbricati esistenti e di impianto di olivi e altre coltivazioni, ma nel 1841 lo Stichling fu impossibilitato a proseguire l’esperienza colonizzatrice che venne presto abbandonata, con il ritorno dell’isola nel 1855 allo Stato toscano che approfittò dei lavori effettuati per istituirvi una colonia di correzione per minorenni e per sovversivi.
Zuccagni partecipò pure ai congressi degli scienziati italiani a partire da quello pisano del 1839.
Nel 1848 venne nominato capo della sezione di statistica istituita presso il Ministero delle Finanze del Granducato dal Ridolfi. Dopo che l’anno seguente questa fu riunita all’ufficio dello stato civile, Attilio venne promosso segretario-capo e in pratica funse da direttore del servizio fino al 1859, provvedendo alla redazione e pubblicazione dei 5 volumi delle Ricerche statistiche sul Granducato di Toscana del 1848-56 e dell’Indicatore topografico della Toscana granducale, ossia compendio alfabetico delle principali notizie di tutti i luoghi del Granducato del 1856.
L’Indicatore topografico nacque col proposito di dotare il Granducato – come già lo Stato Pontificio che disponeva dell’Indice alfabetico di tutti i luoghi – di una sorta di agile prontuario di notizie rilevanti per tutti i comuni e le località di maggiore interesse nello Stato; e ciò perché Attilio considerava il Dizionario del Repetti un’opera troppo vasta per poter servire da guida-prontuario, utile anche ai viaggiatori. Per tale ragione, inserì brevi notizie sulle parrocchie, sui castelli e sulle ville, con cenni sui caratteri idrografici ed orografici e sull’utilizzazione del suolo nelle comunità (con utilizzazione dei dati ufficiali della Relazione finale del catasto del 1843) (Biagioli, 1975, pp. 90-91).
Nel 1859, con l’avvento del Governo Provvisorio di Bettino Ricasoli, fu incaricato di insegnare statistica nell’appena costituito Istituto di Studi Superiori di Firenze, rimanendovi come docente fino alla morte. In quegli anni provvide a pubblicare opere come gli Elementi di Statistica del 1869, il Dizionario topografico dei comuni italiani del 1861 e tanti altri lavori specialmente di interesse geografico sulla divisione territoriale del Regno, sulla statistica delle Province e delle Prefetture, sui confini naturali d’Italia e sull’illustrazione storico-geografica di Roma e dell’Agro Romano.
A quest’ultimo riguardo, lo Zuccagni realizzò nel 1844 una carta della Provincia (o Comarca) di Roma, nella quale si distinguono le strade in provinciali, comunali e postali con le rispettive stazioni di posta.

Produzione di cartografia manoscritta:
Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, 1832;
Mappa topografica della Pianosa, 1936;
Comarca di Roma, 1844;
Atlante geografico degli Stati italiani delineato sopra le migliori e più moderne mappe, due volumi, 1844;
Atlante illustrativo ossia raccolta dei principali monumenti italiani antichi, del medio evo e moderni e di alcune vedute pittoriche, tre volumi, 1845.

Produzione scientifica

Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana, Firenze, Stamperia Granducale, 1832;
Topografia fisico storica dell’Isola di Pianosa del Mare Toscano, Firenze, Galileiana, 1836;
Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue Isole, Firenze, Tipografia all’Insegna di Clio, 1840-1845, 12 voll.;
Ricerche statistiche sul Granducato di Toscana, Firenze, Tofani, 1848-1856, 5 voll.;
Indicatore topografico della Toscana granducale, ossia compendio alfabetico delle principali notizie di tutti i luoghi del Granducato, Firenze, Polverini, 1856;
Dizionario topografico dei comuni italiani, Società Editrice di Patrii Documenti Storico-statistici, 1861;
Elementi di Statistica, Firenze, Tip. Popolare di Eduardo Ducci, 1869.

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Maccioni Anguillesi, 1948; Biagioli, 1975, pp. 90-91; Rombai, 1989, pp. 121-122; Rombai, 1990, pp. 176-178; Barsanti, 1992, p. 90; Barsanti, Bravieri e Rombai, 1992.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

Zocchi, Stefano

Stefano Zocchi
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:

Produzione di cartografia manoscritta:
Cabreo dei beni della Fattoria di S. Casciano in Val di Pesa, 1710 (ASF, Santa Maria Nuova, f. 705);
Cabreo dei beni della Fattoria di Pieve a Pitiana e della Romola, 1711 (ASF, Santa Maria Nuova, f. 695);
Cabreo dei beni della Fattoria di Castelfiorentino, 1716-17 (ASF, Santa Maria Nuova, f. 699);
Cabreo dei possessi (poderi e case urbane) del Monastero fiorentino di S. Giuliano, 1717 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 283-283c1);
Descrizione topografica di tutti i beni della Fattoria di Panzano, 1717 (ASF, Santa Maria Nuova, f. 696);
Cabreo dei beni della Fattoria di Santa Maria alle Grazie in Casentino, inizio XVIII secolo, attribuito (ASF, Conventi Soppressi, 260, n. 135. Convento di Santa Maria a Vallombrosa);
Pianta di un tratto del Fiume Arno poco a monte di Firenze, 1720 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 497c);
Disegno di un ponte sull'Arno presso Signa, 1722 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 751v);
Piante e alzati di edifici posti in Firenze, 1732 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 283dI-eI).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Ginori Lisci, 1978, pp. 80, 82-83, 86, 112 e 275-277, 281-282; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 221-228, 376 e 461; Stopani, 1993, p. 63; Valentini, 1993, p. 285; Piccardi, 2001, pp. 49 e 89; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Santa Maria Nuova.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Zocchi, Neri

Neri Zocchi
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:

Produzione di cartografia manoscritta:
Disegno sulla controversia tra Antonio Paracchi e Costa Reghini rilevata nel 1781 dall’ingegnere Neri Zocchi, 1781 (SASPont, Antico Comune, Atti Civili).
Pianta di un territorio senese per questioni confinarie fra comunità, 1792 (ASS, Piante dei Quattro Conservatori, n. 244);
Plan de la Route (1.er Classe n. 6) de Paris à Rome et à Naples par le Simplon et Milan, dans sa Partie où elle traverse le 1.er Ravin de Castro, entre les bornes miliaires XXVIII et XXVII (de Florenze) et du Projet de Corretion et Rectification de la dite Partie de Route et de l’Emplacement d’un nouveau pont sur le dit Ravin au-dessus du Pont actuel en ruine, 30 settembre 1812 (AMFCE, n. 2374);
Progetto di sistemazione del traghetto sull’Arno di Rovezzano a monte di Firenze, 1812 (ASF, Prefettura dell’Arno, f. 461) ;
Progetto per la costruzione del Ponte sul Torrente Carza in Val di Sieve, 20 novembre 1813 AMFCE, n. 2376);
Plan indicatif des Terrains à occuper, pour l’execution de Project de la 4.me Correction et Rectification de la partie de Rpute […], 20 novembre 1813 (AMFCE, n. 2372) ;
Pianta del ponte di Pontedera per un progetto di modifica, 1814 (ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa, f. 11, fasc. 74, c. 7).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Cresti e Zangheri, 1978, p. 239; Vichi, 1986, p. 108-113; Gabellini, 1987, pp. 149 e 159; Rombai, 1987, p. 412; Cresti, 1987, p. 180; Vichi, 1990, pp. 49-50; Barsanti e Rombai, a cura di, 1994, pp. 163 e 174; Caciagli e Castiglia, 2001, pp. 135, 307 e 355; Raffo Maggini, 2001, pp. 21 e 31-41; Orefice, 2002, pp. 74-84; SASPont, Antico Comune, Atti Civili; AMFCE ; BCSG, Cartoteca; ASCG; ASCSG; ASP, Camera di Soprintendenza Comunitativa; ASF, Soprintendenza alla Conservazione del Catasto poi Direzione Generale delle Acque e Strade; ASF, Depositeria Generale, Parte Antica; ASF, Segreteria di Finanze ante 1788; ASF, Prefettura dell’Arno; ASS, Piante dei Quattro Conservatori.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Ximenes, Leonardo

Leonardo Ximenes
N. Trapani 27 dicembre 1716
M. Firenze 3 maggio 1786

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Nacque a Trapani il 27 dicembre 1716 da Giuseppe (di famiglia di antica origine spagnola) e Tommasa Corso, e morì a Firenze il 3 maggio 1786.

Produzione scientifica:
Trasferitosi definitivamente nella città toscana, il 2 febbraio 1750 ricevette gli ordini della Compagnia di Gesù nel Collegio di San Giovannino ove approfondì gli studi astronomici, matematici e geografici: entrato in contatto con l’erudito Giovanni Lami e con la sua cerchia culturale, del quale divenne collaboratore con scritti nelle “Novelle Letterarie”, incontrò immediatamente il favore di Emanuele di Richecourt presidente della Reggenza lorenese, grande appassionato di geografia e collezionista di cartografie, che, proprio nel 1750, assegnò allo scienziato gesuita l’impegnativo incarico di realizzare una moderna Carta della Toscana inquadrata con la maggior precisione possibile nel reticolato geografico.
Da allora, la vita di Ximenes fu impiegata più che nelle speculazioni teoriche nello studio finalizzato alla risoluzione di problemi importanti della vita umana e dell’amministrazione statale, e specialmente nella progettazione e realizzazione di innumerevoli lavori e interventi pubblici di ordine idraulico, stradale, urbanistico e confinario. Per offrire contributi originali alle risposte che salivano dalle istituzioni e dalla società, il gesuita si occupò con pari efficacia – curando particolarmente l’aggiornamento con le fitte corrispondenze internazionali e con l’approvvigionamento di libri, riviste scientifiche e strumenti (oltre a quelli astronomici e topografici, disponeva di sofisticati barometri, livelle, bussole con traguardo, ecc.) – dei saperi matematico-astronomici, ingegneristico-architettonici correlati ad acque, strade e urbanistica, e dei saperi naturalistico-geografici incentrati sull’analisi ambientale e territoriale. Dotato di una singolare curiosità storico-erudita, il nostro provvide sempre a ricercare nelle biblioteche e negli archivi non solo fiorentini fonti documentarie scritte e specialmente cartografiche funzionali ad una più agevole lettura geografica del territorio e alla redazione di più consapevoli ed aderenti progettazioni di interventi spaziali.
Ad esempio, nelle sue opere idrauliche del 1765 relative al Bolognese e alla Romagna, utilizzò con maestria le celebri cartografie tolemaiche, dell’Aleotti e del Magini e tante altre a stampa e manoscritte di cui poté disporre, opportunamente comparate con la raffigurazione ufficiale “sottoscritta concordemente da’ periti bolognesi e ferraresi” nel 1762, per “dimostrare il vero antico stato di tanti paduli” e per evidenziare i mutamenti e le permanenze nell’assetto territoriale con speciale considerazione per la linea di costa e la maglia idrografica. Quando all’inizio degli anni ’60 si accinse a scrivere la sua Della fisica riduzione della Maremma Senese, non mancò di riunire in una filza che intitolò Relazioni e notizie dei lavori fatti nella Pianura di Grosseto in diversi tempi decine di memorie sei-settecentesche e la legislazione riguardanti l’area, con un inserto dedicato a Piante e profili del Lago e Fiumara di Castiglione dei Fossi della Pianura di Grosseto. Quando stava per stendere l’altro volume sulla stessa area Esame dell’Esame, scrisse a più riprese, da Grosseto, ai suoi collaboratori a Firenze perché ricercassero le fonti d’età antica, medievale e rinascimentale sulla Maremma e sulla navigabilità dell’Ombrone. Allorché dovette studiare i complessi problemi della bonifica della Valdichiana, richiese all’abate aretino Mauro Lancisi i documenti storici di cui era a conoscenza che fossero utili per l’esame della valle, e nel 1777 volle utilizzare la grande carta chianina di Antonio Ricasoli del 1551 per calcolare gli acquisti che erano stati fatti in oltre due secoli dalla bonifica e per visualizzare le trasformazioni paesistico-ambientali intervenute nel frattempo. E appena ebbe ricevuto l’ordine granducale, il 23 giugno 1780, di partecipare al consesso tra i rappresentanti degli Stati toscano e genovese per cercare di risolvere le controversie confinarie in Lunigiana, il nostro scienziato pensò bene di provvedersi, a Firenze, di una nutrita serie documentaria con circa 30 cartografie a stampa e manoscritte cinque-settecentesche sulla regione lunense e sui territori interessati di Pontremoli e Godano: la loro attenta considerazione doveva fare emergere – come dimostra l’emblematica e inedita Breve memoria sopra i confini delle carte – l’appartenenza di volta in volta dei piccoli territori controversi.
Del resto, l’Indice generale di tutte le carte topografiche, livellazioni, sezioni e profili occorsi nelle diverse operazioni e lavori fatti in campagna (redatto dopo la morte dello scienziato) dimostra che il gesuita era riuscito a costruire – e talora a procurarsi da altri – numerose rappresentazioni dello spazio, in parte espropriate dall’amministrazione statale e attualmente conservate negli Archivi di Stato di Firenze e Pisa, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e in parte oggi disperse: ben 148 fra carte singole e atlanti che “coprivano” tutte le aree di cui si era interessato, vale a dire la Valdichiana, il Bolognese con la Romagna, il bacino di Bientina con la Versilia e la pianura pisana, la Maremma Grossetana, il Pistoiese, il Padovano con il Brenta e il territorio di Chioggia, l’area pontina, ecc. (in BNCF, Fondo Nazionale, II-368, fasc. 6).
Già l’11 agosto 1750, Ximenes approntò un articolato piano di ricerca basato su osservazioni astronomiche e rilevamenti geodetici e topografici (Considerazioni intorno alla rettificazione della Carta Geografica della Toscana, in BNCF, Fondo Nazionale, II-307, ins. 27), questi ultimi da svolgere con l’aiuto del giovane Gregorio Michele Ciocchi, che “ha studiato tre anni sotto di me ed ha qualche misura di Astronomia e di Geografia”, e dell’ingegnere Antonio Falleri, che da anni lavorava individualmente ad un analogo progetto e che “intendeva bene di prospettiva e sapeva levare in pianta”. E’ da sottolineare che Ximenes previde pure la possibilità di misurazione di una base geodetica da Firenze a Prato o addirittura a Pistoia, oppure da Firenze a Livorno, impresa non ancora riuscita ad alcuno ma che proprio allora stavano conducendo i due confratelli Cristoforo Maire e Ruggero Giuseppe Boscovich nello Stato della Chiesa.
Per il primo e più impegnativo aspetto, quello astronomico, provvide al ripristino della quattrocentesca meridiana di Paolo Toscanelli in Santa Maria del Fiore e alla fondazione della Specola nel Collegio di San Giovannino (dove rimase sempre a lavorare, anche dopo la soppressione dei gesuiti nel 1773 e l’assegnazione della sede agli scolopi), per determinare le posizioni di Firenze; il problema della carta geometrica toscana (che impegnò lo scienziato fino al 1777) si rivelò ciclopico per un unico attore e finì col legarsi indissolubilmente al catasto particellare che, proprio nel 1777-78, il granduca Pietro Leopoldo tentò inutilmente di realizzare.
Sempre al fine di realizzare l’impresa della carta toscana, Ximenes previde inutilmente, fino almeno alla riforma del 1781, con vari scritti del 1750-77, l’unificazione delle tante e “incomodissime” unità di misura usate nel Granducato, spezzando una lancia a favore del miglio e braccio geografico, che peraltro non vennero mai adottati.
In ogni caso, l’impegno profuso nella costruzione di una moderna rappresentazione cartografica dello Stato lorenese gli valse – il 18 ottobre 1755 – il titolo di geografo imperiale, con tanto di cattedra di Geografia nell’Università di Firenze, mentre il contributo offerto come scienziato territorialista fu ulteriormente premiato – nel 1766 – con la concessione della qualifica di matematico regio. Non è da trascurare il fatto che è proprio grazie al prestigio del gesuita se la sua creatura scientifica – l’Osservatorio Ximeniano – poté sopravvivere alla sua scomparsa con la dotazione di due cattedre di astronomia e idraulica, assegnate rispettivamente agli allievi scolopi Gaetano del Ricco e Stanislao Canovai, intorno ai quali all’inizio del nuovo secolo dovevano formarsi tanti bravi ingegneri e scienziati (ad esempio, rispettivamente come Alessandro Manetti e Giovanni Inghirami).
Anche con il nuovo Reggente Botta Adorno, Ximenes ottenne la conferma dell’incarico della carta toscana, su cui il 18 gennaio 1761 presentò una seconda Memoria generale e un Piano operativo (ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 200, ins. Carta Generale della Toscana, e Reggenza, f. 780, ins. 53), in cui in sostanza si ripetono i contenuti del 1750, salvo specificare le caratteristiche di scala più topografica che corografica del prodotto, contemplante la restituzione planimetrica anche dei singoli edifici di interesse pubblico. Quando l’argomento tornò di attualità nel 1775-77, con Pietro Leopoldo che chiese il parere di Ferroni e Ximenes sul progetto presentatogli da Gian Domenico Cassini, il gesuita presentò – il 26 dicembre 1777 – la Memoria sulla Carta Geografica della Toscana e sul suo Estimario (BNCF, Fondo Nazionale, II-322, ins. 7), in cui sosteneva, una volta tanto d’intesa con l’altro matematico granducale, la convenienza di unire l’operazione carta alla realizzazione del catasto geometrico, con l’impiego di scienziati e ingegneri prevalentemente toscani (il collaboratore Francesco Puccinelli con il padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni tra i primi, Nini, Grobert e Bombicci fra i secondi).
Tra il 1756 e il 1765, il gesuita scrisse varie relazioni ai Reggenti Richecourt e Botta Adorno perché istituissero la carica di “Idrometra dello Stato o Ingegner Maggiore o Professore Idraulico” nella sua persona che “oltre alla scienza da lui dimostrata ne’ libri stampati accoppia una pratica locale acquistata in più occasioni”. L’idrometra avrebbe dovuto fondare a Firenze una vera e propria scuola di tecnici, abilitando altresì gli ingegneri già impiegati negli uffici statali e sovrintendendo a tutti i lavori pubblici del Granducato” (Barsanti e Rombai, 1987, p. 55).
Anche se fino al 1766 tale invito non fu accolto, come idraulico, Ximenes cominciò presto ad operare per formare tecnici adeguati e per rispondere a precise committenze statali. Infatti, egli si occupò per un trentennio – peraltro con risultati non sempre pari alle attese – di tantissime grandi o comunque impegnative operazioni di bonifica, ora con adozione del sistema della canalizzazione e ora di quello della colmata. Il suo pragmatismo nelle questioni di acque scaturiva dall’analisi – sempre accuratissima sul piano storico e su quello ambientale strettamente integrati – delle caratteristiche naturali e sociali di aree e luoghi, ma è certo che Ximenes è da considerare erede delle concezioni della scuola sperimentale galileiana, quando preferì la cosiddetta fisica riduzione (cioè la regolazione equilibrata dei deflussi di zone umide e corsi d’acqua, da raggiungere, insieme con il loro risanamento igienico-ambientale, mediante l’apertura di efficaci canali da utilizzare anche come comode idrovie) all’eliminazione totale di laghi e acquitrini a tutto vantaggio della colonizzazione agraria.
Il gesuita applicò le sue idee di bonificatore – supportate da ampie memorie geografico-storiche, nonché da cartografie e profili di livellazione – un po’ a tutte le zone umide della Toscana, in primis, a partire dal 1756-63, al bacino di Bientina e alle aree adiacenti del Valdarno di Pontedera e della Versilia, dove le acque lacustri e palustri defluivano o potevano essere fatte defluire mediante l’apertura di specifici scolmatori. In queste aree Ximenes tornerà ripetutamente negli anni successivi e fino all’inizio degli anni ’80, anche su incarico della Repubblica di Lucca.
Ad esempio, il 27 ottobre 1766 diresse la visita del granduca Pietro Leopoldo (neo incoronato) al comprensorio di Bientina per prendere visione dei lavori in gran parte già ultimati nel 1763 ma senza aver apportato i risultati sperati. E nel 1778 e fino al 1785 ottenne l’incarico per un progetto risolutivo della bonifica del Padule di Bientina (vi collaborarono anche illustri tecnici non toscani, incaricati dalla Repubblica di Lucca, come l'abate astronomo Ruggiero Giuseppe Boscovich, il bolognese Eustachio Zanotti, il matematico veronese Anton Maria Lorgna).
Dopo Bientina, fu la volta della pianura grossetana e del lago-padule di Castiglione, dove nel 1758-59 studiò analiticamente quel territorio e ne progettò la grandiosa riduzione fisica che cominciò ad essere realizzata nel 1766, con i lavori che continuarono almeno fino al 1781, anche qui senza i successi preventivati.
Contemporaneamente, si occupò anche dei problemi del bacino di Ghirlanda, della Maremma di Castagneto, della pianura pisana a sud e a nord dell’Arno fino a Pietrasanta, della Valdinievole e della Valdichiana, del piano di Rosia, del Pian del Lago, e di altre parti d’Italia a partire dalla regione romagnola e bolognese nel 1762-66, alla cui sistemazione dedicò sei memorie a stampa e altri opuscoli (tutti ben documentati, anche mediante il riuso della cartografia del passato), in singolare polemica con gli scienziati Tommaso Perelli e Pio Fantoni che sostenevano l’apertura di nuove linee o canali scolmatori con percorsi i più diversi, mentre invece il gesuita affermava la validità del Po di Primaro come scolmatore fondamentale dell’intera regione.
Altri studi, progetti e interventi riguardarono, nel 1775 e nel 1783, il basso corso del Tevere, nel 1765 il bacino pontino, nel 1774 il Lago Trasimeno, nel 1777 il territorio di Padova e del Brenta; non mancarono gli interventi di sistemazione e regimazione fluviale dei corsi d’acqua della piana di Arezzo, del Senese, del Grossetano, della Valdichiana e di altre aree anche fuori Toscana, e di progettazione e costruzione di saline (alle Marze di Castiglione), di canali navigabili (a Bientina e Fucecchio, tra Castiglione e Grosseto, a Firenze tra la pescaia di Ognissanti e l’Ombrone Pistoiese), oppure di acquedotti (solo progettati a Pistoia e Genova, realizzati a Castiglione della Pescaia e Capalbio) e di porti e approdi marittimi (a Castiglione e a Genova).
In questi lavori una parte non secondaria delle impronte tuttora rimaste nel territorio è costituita dai fabbricati con ponti cateratte o delle bocchette, come quelli di Castiglione della Pescaia e di Bientina (monumentali edifici idraulici progettati e realizzati per il controllo delle acque lacustri in rapporto al loro deflusso in mare o in Arno e anche per la pesca).
Come progettista e costruttore di strade e ponti, Ximenes ha legato il suo nome alla grande strada rotabile Pistoia-Modena per l’Abetone, detta appunto Ximeniana, realizzata nel 1766-78 con i suoi ponti e con le sue poste e fontane monumentali, dopo la radicale modificazione del progetto già redatto dall’ingegner Anastasio Anastasi; altre realizzazioni ximeniane degli anni ’70 e ’80 furono la Pistoia-Lucca (con le appendici della Traversa della Valdinievole tra Borgo a Buggiano e la Firenze-Pisa alle Fornacette e della diramazione per Altopascio), la Siena-Grosseto e la Lauretana tra Monte Oliveto e Sinalunga, insieme con tanti grandiosi edifici postali e ponti.
Ximenes studiò pure (con attenti sopralluoghi sul campo e ricerche documentarie d’archivio) i complessi problemi di confinazione in Lunigiana tra Granducato e Repubblica di Genova o in Maremma tra Granducato e Principato di Piombino (aree delle basse valli di Cornia, Pecora ed Alma, di Gualdo oggi Puntala, di Buriano).
Riguardo alle realizzazioni cartografiche – effettuate spesso insieme agli ingegneri suoi allievi o comunque collaboratori, come tra i primi Gregorio Michele Ciocchi al suo servizio dal 1758 al 1771 almeno, Donato Maria Fini, Alessandro Nini, Filippo Grobert e l’astronomo ingegnere pesciatino Francesco Puccinelli al suo servizio tra il 1767 e il 1784, e tra i secondi Ferdinando Grazzini, Giuseppe Montucci, Giovanni Maria Veraci, Agostino Fortini, Ferdinando Morozzi, Fiorenzo e Bernardino Razzi, Giovanni Boldrini, Bernardino Fantastici e Giuseppe Salvetti – sono da rilevare: la grande Carta topografica generale del Lago di Castiglioni e delle sue adiacenze sino alla radice dei poggi, rilevata nel 1758-59 insieme con Agostino Fortini e Gregorio Michele Ciocchi e altri tecnici per studiare il progetto di sistemazione d’insieme della pianura (l’originale è in ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 749, e in Miscellanea di Piante, n. 130.a) e poi edita nella sua memoria del 1769 con altre otto tavole relative alle bocchette e cateratte del padule e al fiume Ombrone, frutto di accurate misurazioni e osservazioni per mettere a punto un progetto di globale risanamento della grande e malarica zona umida di Castiglione della Pescaia, fino ad allora costituente uno dei principali centri di produzione ittica della Toscana. La Carta topografica generale rappresenta di fatto una delle prime e perfezionate topografie di una subregione toscana.
Altra rappresentazione di rilievo è quella della pianura costiera tra Pisa e Lucca con l’Arno e il Serchio e le zone umide confluenti sui due fiumi, rilevata dopo accurate livellazioni tra il 1757 e il 1762 e pubblicata insieme ad altre quattro tavole, con illustrazione dei vari progetti di canalizzazione e bonifica, nell’opera del 1782.
Tra le tante altre figure sono da segnalare la raccolta di 12 Piante dimostrative di vari rami del Fiume Ombrone dalla Barca d’Istia fino a Campagnatico, e de’ vari impedimenti che soffrirebbe la navigazione a monte di Grosseto, redatta nel 1766 a corredo di una perizia dello stesso scienziato, nell'ambito di un progetto finalizzato alla rimozione degli ostacoli nel letto del fiume per facilitare lo scorrimento delle acque in funzione della navigazione e della fluitazione del legname (ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 713, ins. "Lavori all'Ombrone"); e le tre incisioni di Giuseppe Pozzi che corredano l’Esame dell’esame di un libro sopra la Maremma Senese ripartito in tante note da uno scrittore maremmano del 1775: la Carta dell’antica Etruria, la pianta della città di Roselle secondo i ritrovamenti del 1774 e la pianta con sezione dell’antico anfiteatro rinvenuto nella stessa città (Zangheri, a cura di, 1984, p. 65).

Produzione di cartografia manoscritta:
Disegni di profili di livellazione dei canali Ozzeri e Rogio (Bientina), 1756 (ASP, Piante dell'Ufficio Fiumi e Fossi, nn. 66-69 e 70-71);
Piante di sezioni e livellazioni del Fiume Serchio e altre piante relative a corsi d'acqua dell'area del Padule di Bientina, attribuite, 1757 (ASP, Piante dell'Ufficio Fiumi e Fossi, nn. 60, 83 e 85);
Carta topografica della confluenza tra il Fosso Ozzeri e il Fiume Serchio, con Agostino Fortini, 1757 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 340);
Pianta topografica generale del lago di Castiglioni [della Pescaia] e delle sue adiacenze sino alla radice dei poggi, con gli ingegneri Agostino Fortini e Gregorio Michele Ciocchi, 1758-59 (ASF, Miscellanea di Piante, 56 e 130a, edita anche in Della fisica riduzione..., incisore Giovanni Canocchi, 1769);
Disegno di cateratte nel Padule di Bientina e profili dei suoi emissari (firmato come "Padre matematico Gimenes"), anni ’50-’60 del XVIII secolo (ASP, Piante dell'Ufficio Fiumi e Fossi, nn. 56, 57 e 72-73);
Piante e spaccati della Fabbrica delle Cateratte detta Casa Rossa a Castiglione della Pescaia, in 4 tavole, 1765-66 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 57a-c, editi anche in Della fisica riduzione..., incisore Giovanni Canocchi, 1769);
Raccolta di 12 Piante dimostrative di vari rami del Fiume Ombrone dalla Barca d’Istia fino a Campagnatico, e de’ vari impedimenti che soffrirebbe la navigazione a monte di Grosseto, 1766 (ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 713, ins. "Lavori all'Ombrone");
Piante e alzati (6 disegni) del nuovo mulino di Grosseto e del sistema idrico di alimentazione con fabbrica delle cateratte, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 128a-f);
Pianta Topografica del Nuovo Navigante Grossetano e de’ terreni adiacenti dalla Cateratta del Fiume Ombrone fino al Padule, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 129, e ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Fabbriche, cartella V, n. 9);
Carta delle nuove Saline delle Marze presso Castiglione della Pescaia, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 129b);
Pianta del Poggio della Badiola e de’ terreni annessi per i fieni della pesca, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 129/d);
Pianta dell’acquedotto di Castiglione della Pescaia, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 60);
Carte (oltre una quindicina di tavole) di diverse zone del Lago e del padule di Castiglione della Pescaia e della pianura grossetana, con i suoi corsi d'acqua, con profili di livellazione, 1765-70 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 129c-i, 182a-e);
Cabreo dei terreni comunali disposti intorno al lago-padule di Castiglione della Pescaia, suddivisi in preselle e cedute a privati nell’anno 1769, con Giovanni Boldrini, 1769 (ASF, Ministero delle Finanze, f. 545);
Profili della livellazione della Via Modenese, con Alessandro Nini, 1766-71 (ASF, Piante di Ponti e Strade, F.13, 41 e F.15, 65);
Pianta dimostrativa della Fattoria di Montecchio nel Valdarno di Pontedera, 1772 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 81/a);
Pianta del Palazzaccio del Sale e Tabacco nella Piazza del Duomo di Pistoia, 1774 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 185);
Piante e alzati (2 carte con progetto) del nuovo edificio della Posta della Scala da costruirsi sulla Strada Romana in Val d'Orcia, 1775 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 214);
Pianta dell’Acquidotto per la Città di Pistoia con l’unione delle Sorgenti di salici, Sette Fonti e Pian degli Osi fatta l’anno 1779 (ASF, Miscellanea di Piante, n. 206);
Carte dei confini tra Principato di Piombino e Granducato di Toscana disegnate da Alessandro Nini e Giacomo Benassi, in Val di Cornia, 1779-85 (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 37 e 517), in Val di Pecora (ivi, nn. 507, 516 e 764), in Pian d’Alma e Gualdo (ivi, nn. 58, 501, 513-514, 518, 520-522, 531, 535 e 545), nella sezione nord-occidentale della pianura di Grosseto tra la Bruna e il lago padule di Castiglione (ivi, nn. 503, 506, 515, 519 e 523-529);
Pianta del Padule di Bientina e del basso bacino del Serchio con i canali e le cateratte esistenti e in progetto, 1782; Pianta di Viareggio e del suo porto canale, 1782; e Pianta dell’ultimo tronco dell’Ozzeri e del Serchio fino al Mulino delle Carte, 1782 (edite con profili e livellazioni in Piano di operazioni idrauliche..., 1782).

Produzione di cartografia a stampa:
Opere a stampa: Memoria idrometrica relativa alla teoria delle tre linee proposte negli atti della visita di S.E. il Cardinale Conti aperta l’anno 1761, Faenza, Presso l’Archi, 1743;
Seconda memoria idrometrica responsiva alle difficoltà mosse contro alla prima da’ Signori Marescotti, Bertaglia e Bonati, Faenza, Presso l’Archi, 1763;
Terza memoria idrometrica, presentata per parte della Romagna alla nuova conferma del progetto di Primaro esibita per parte della città di Bologna, Firenze, Moucke, 1763;
Memoriale ragionato delle Città, Terre e Castella della Romagna interessata intorno alla nuova proposizione della Linea Perelli, Firenze, Moucke, 1763;
Quarta memoria idrometrica presentata per parte della Romagna in risposta al parere de’ due Matematici intorno a’ progetti sul regolamento delle acque bolognesi, Firenze, Moucke, 1764;
Del vero stato antico e moderno delle Valli Superiori e Inferiori del Bolognese e della Romagna e dei veri effetti, che possono augurarsi dai nuovi progetti, Roma, Bernabò, 1765;
Sommario della quinta memoria. Confronto della carta stampata ed inserita in una Raccolta di scritture e notizie concernenti la remozione del Reno dalle Valli fatta in Bologna l’anno 1682 per Giacomo de’ Monti, Roma, Bernabò, 1765;
Sesta memoria idrometrica presentata per parte della Romagna nella quale si replica alle risposte del sig. Dottor Teodoro Bonati e alla perizia del signor Antonio Baruffaldi, Roma, Bernabò, 1765; Scusa dell’Autore delle Memorie Idrometriche intorno al suo silenzio sopra un certo scritto intitolato Saggio de’ fatti insussistenti ecc. presentata per parte della Romagna, Roma, Bernabò, 1765;
Opuscolo intorno agli aumenti delle piene del fiume principale per l’unione di un nuovo influente, “Atti dell’Accademia delle Scienze di Siena detta de’ Fisiocritici”, 3 (1767), pp. 17-83;
Della fisica riduzione della Maremma Senese. Ragionamenti due ai quali si aggiungono quattro perizie intorno alle operazioni della Pianura Grossetana ed all’arginatura del Fiume Ombrone, Firenze, Moucke, 1769;
Esame dell’Esame di un libro sopra la Maremma Senese, ripartito in tante note da uno scrittore maremmano, Firenze, Cambiagi, 1775;
Risposta al parere di Francesco Bombicci sui pretesi vantaggi del Ponte nuovo di Pisa per la fattoria di Agnano, Firenze, Cambiagi, 1778;
Nuove esperienze idrauliche fatte ne’ canali e ne’ fiumi per verificare le principali leggi e fenomeni delle acque correnti, Siena, Bindi, 1780;
Memoria intorno alla regola con la quale si alterano le velocità dei fiumi influenti per il contrasto che ricevono dai loro recipienti, “Atti dell’Accademia delle Scienze di Siena”, 6 (1781), pp. 31-120;
Piano di operazioni idrauliche per ottenere la massima depressione del Lago di Sesto o sia di Bientina, Lucca, Buonsignori, 1782;
Raccolta delle perizie ed opuscoli idraulici del Sig. Abate L. Ximenes, alla quale si aggiungono le perizie di altri professori che hanno scritto sulle stesse materie, Firenze, Allegrini, vol. I, 1785 e vol. II, 1786;
Dell’utilità o inutilità delle arginature de’ fiumi e de’ laghi. Memoria idraulica di L. Ximenes coronata dall’accessit il 6 agosto 1777, “Atti della R. Società Economica di Firenze ossia dei Georgofili”, 1 (1791), pp. 196-302.
Opere manoscritte: Considerazioni intorno alla rettificazione della Carta Geografica della Toscana, 11 agosto, 1750 (BNCF, Fondo Nazionale, II-307, ins. 27);
Parere intorno alla cagione ed a’ rimedi delle frane, che negli anni assai piovosi accadono in molte parti della Toscana e massimamente nella Val d’Elsa e nel Lucardese, 1751 (BNCF, Fondo Nazionale, II-307, ins. 13);
Memoria intorno alle facilità e privilegi che possono accordarsi alla Maremma Senese, 1758-65 (ASF, Miscellanea di Finanze A, f. 107);
Memoria generale e Piano operativo per la costruzione della Carta Geografica della Toscana, 18 gennaio 1761 (ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 200, ins. Carta Generale della Toscana, e Reggenza, 780, ins. 53);
Relazione dei lavori ordinati da S.M.I. nel piano di Bientina ed eseguiti da Leonardo Ximenes della Compagnia di Gesù dal 1757 al 1763, 1763 (AOXF, 23);
Memoria sulla Carta Geografica della Toscana e sul suo Estimario, 26 dicembre 1777 (BNCF, Fondo Nazionale, II-322, ins. 7);
Visita delle strade e dei canali navigabili della Valdinievole, 1779, e Visita delle strade e dei canali navigabili della Valdichiana (ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, f. 879, mazzo I, ins. S); Relazione della Fonte della Città di Pistoia, 27 dicembre 1779 (BFPt, Manoscritti, B. 167); Memoria intorno alla linea del confine giurisdizionale tra il territorio di Pontremoli e quello del Genovesato, per servire d’informazione sulle regioni che competono alla Toscana, luglio 1780 (ASF, Reggenza, f. 656, Confinazione di Pontremoli);
Memoria di Leonardo Ximenes intorno allo stato delle operazioni maremmane alla consegna fatta all’Ufficio dei Fossi di Grosseto, 1781 (AOXF, 89, ins. 16);
Relazione sull’acquedotto di Genova, 15 settembre 1784 (BNCF, Fondo Nazionale, II-310, ins. 1); Relazione sul Porto di Genova, 1784 (BNCF, Fondo Nazionale, II-310, ins. 2);
Osservazioni generali e particolari sul progetto della strada o carreggiabile o corriera per la Riviera di levante, partecipato in due volumi di piante da’ Sigg. Capitani Brusco e Ferretti, 1784 (BNCF, Fondo Nazionale, II-310, ins. 3);
Memoria per la costruzione del Ponte sul Torrente Ramairone, e Relazione della fabbrica del Ponte sul Fiume Lemo, e Relazione sulla sistemazione dei torrenti Gromolo e Petornia, 1784 (BNCF, Fondo Nazionale, II-310, inss. 4-5, 7 e 11 con altri analoghi scritti).

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Barsanti e Rombai, 1987; Barsanti e Rombai, a cura di, 1994, pp. 133-152; Barsanti, 1987, pp. 135, 136, 151, 152, 155 e 156; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 86, 119-124, 145-147 e 159; Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001, pp. 40 e 42; Barsanti, 1992, p. 63; Sterpos, 1977, pp. 7, 24-26 e 34; Zangheri, a cura di, 1984, p. 65; ASF, Reggenza; ASF, Ministero delle Finanze; ASF, Miscellanea di Finanze A; ASF, Segreteria di Finanze ante 1788; ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Fabbriche; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Piante di Ponti e Strade; ASF, Pratica Segreta di Pistoia; ASF, Camera di Soprintendenza Comunitativa; BNCF, Fondo Nazionale; AOXF; BFPt, Manoscritti.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

Warren, Odoardo

Odoardo Warren
N.
M. Firenze 1760

Relazioni di parentela: Fu padre di Odoardo Warren il giovane, diventato maggiore del Corpo del Genio Militare nel 1749, a 35 anni, già capitano del Corpo da 5 anni, su proposta del direttore colonnello Giovanni De Baillou.

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Colonnello, direttore generale dell’Artiglieria e Fortificazioni

Biografia:
Muore a Firenze tra il 4 e il 15 gennaio del 1760 (al 4 gennaio risale l’ultimo documento firmato; il 15 gennaio vengono messi i sigilli al suo gabinetto di lavoro). Alla guida dell’Artiglieria e Fortificazioni gli succede il ten. col. Giuseppe De Baillou.
L’attività cartografica di Warren è documentata tra il 1739 e il 1749.

Produzione scientifica:
Con Ordinanza del 26 aprile 1739, art. 17, viene nominato nuovo Direttore generale dell’Artiglieria e Fortificazioni (ASF, RR. Fabbriche, f. 1942, n. 27), responsabilità che comprendeva la cura di tutti gli arsenali, le fabbriche militari e i porti di Livorno e Portoferraio.
Contemporaneamente è incaricato di predisporre le piante delle principali città e fortezze del Granducato, per le quali a partire dal 10 giugno dello stesso anno può contare sulla collaborazione dei comandanti delle varie piazze, sulla disponibilità di una nave e in generale su tutti quegli «aiuti, assistenze, e comodi che possono comunemente bisognarli per il miglior servizio di S.A.R.» (ASF, RR. Fabbriche, 1942, n. 27, doc. del 10.6.1739).
Tra il 1739 e il 1749 compila la Raccolta di Piante delle principali città e fortezze del Gran ducato di Toscana levate d’ordine di Sua Maestà Imperiale sotto la Direzione del S.re Odoardo Warren colonnello del Battaglione d’Artiglieria e Direttore Generale delle Fortificazioni di Toscana. MDCCXLIX (ASF, Segreteria di Gabinetto, n. 695), in collaborazione con Andrea Dolcini, dal 1746 luogotenente ingegnere del Corpo del Genio Militare, Giuliano Anastasi o Anastagi, nominato ingegnere solo il 27 dicembre 1745, Gaetano Benvenuti e Niccola Lotti, per il quale il Warren chiede il 14 aprile 1742 l’inserimento nel Corpo, e nel 1758 sarà luogotenente.
Il volume è dedicato a Sua Maestà Imperiale l’Imperatore e Granduca Francesco Stefano di Lorena – residente a Vienna come consorte di Maria Teresa d’Asburgo –, con una lunga introduzione e con la divisione delle fortezze in Prima Classe, Seconda Classe, Castelli e Torri lungo la Costa e nelle Isole. Il censimento fotografa, tramite una sessantina di raffigurazioni cartografiche e ampie descrizioni, torri, forti e centri urbani fortificati con relativi armamenti e funzioni e con ampio inquadramento dei medesimi nei territorio insulari, costieri e interni circostanti.
Nell’opera manca la rilevazione delle torri di alcuni settori costieri settentrionali e naturalmente quelle del territorio di Piombino e dell’Argentario che non appartenevano al Granducato.
Warren Allega alla Raccolta la carta di Teodoro Vercruyss Etruria Vetus et Nova (edita in T. Dempsterio, De Etruria regali, Firenze 1724), giudicandola «una di quelle che hanno meno errori», pur dopo averla fatta migliorare con l’aggiunta di tutte le torri e piazzeforti disegnate nel suo atlante e con la coloritura ad acquerello dei confini.
Vicino alla Raccolta, per datazione e autori, è il volume Città e Fortezze del Granducato (ASF, Segreteria di Gabinetto, n. 696), e ancora alla Raccolta possono riferirsi le Città murate, ville granducali e fortezze di Toscana (ISCAG, cartella XXII, nn. 1563-1656), un corpus di circa 90 tra mappe e prospetti.
Sotto la guida del Warren viene redatta anche la Carta della Toscana divisa nei stati fiorentino, sanese, pisano e pietrasantese, di Andrea Dolcini, 1755 (SUAP, RAT, 151).
Tra il 1743 e il 1745, Warren viene inviato a Livorno dal Consiglio di Reggenza per curare il potenziamento e la riorganizzazione di quella piazza; nel 1748 riordina e riorganizza il battaglione di artiglieria. Tra il 1742 e il 1752 ordina il disarmo e l’evacuazione delle fortificazioni di Sansepolcro, Cortona, Radicofani, Lusuolo, Barga, Prato, Montepulciano, Sorano e Pitigliano. Dal 1753 al 1756 è a Portoferraio per il potenziamento e la riorganizzazione della piazza.

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Archivio di Stato di Firenze, 1991; Barsanti, 1984; Barsanti, a cura di, 1992; Barsanti, Bravieri e Rombai, a cura di, 1988; Bellinazzi e MannoTolu, 1995; Bertocci, Bini e Martellacci, 1991; Bortolotti, 1982; Breschi, 1981, pp. 23-66; Di Pietro e Fanelli, 1973; Errico e Montanelli, 2000; Falciani Prunai, Minicucci e Rombai, 1980; Fara, Conforti e Zangheri, 1978; Ginori Lisci, 1978; Gurrieri, a cura di, 1979; Ludovico, 1991; Maccari, 2003; Manetti, 1991; Mazzanti, 1984; Mori, 1907, pp. 1-8; Orefice, 1999; Orefice e Martellacci, 1988; Principe, 1988; Rombai, 1993; Rombai, 1995; Rombai, 1987; Rombai, 1997; Rombai, 1980; Rombai, 1982; Rombai e Vivoli, 1998; Romby, 1993; Toccafondi e Vivoli, 1993; Valentini, 1993; Vivoli, 1992; ASF, Segreteria di Gabinetto; ISCAG; SUAP, RAT; ASF, Miscellanea di Piante, ASF, RR. Fabbriche.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Rosamaria Martellacci

Viviani, Vincenzo

Vincenzo Viviani
N. Firenze 1622
M. Firenze 1702

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
Ebbe dai granduchi Ferdinando II e Cosimo III dei Medici importanti incarichi pubblici, partecipando altresì ai lavori dell’Accademia del Cimento, ove svolse un ruolo di primo piano e propose moltissime esperienze.
Per molti decenni operò a tempo pieno all’interno della magistratura del Capitani di Parte Guelfa – ufficio responsabile dei lavori pubblici ad acque, strade e fabbricati, e quindi della difesa del territorio – svolgendo ruoli tecnici sempre di maggiore responsabilità, dapprima (dal 1644) come capomastro, poi come aiuto dell’ingegnere (1649), ingegnere sostituto (1653) e ingegnere effettivo (1658).
Nel 1665, Viviani fu insignito della carica – che nel 1641-44 era già stata attribuita ad Evangelista Torricelli – di idrometra e primo matematico del granduca, con obbligo di insegnare matematica nello Studio di Firenze (Barsanti, 1994, p. 58).
Con Viviani, quindi, la direzioni dei lavori pubblici passò dai pratici ai matematici, e grazie all’impegno teorico e pratico profuso per quasi un sessantennio in materia di bonifica idraulica e sistemazioni fluviali, il nostro riuscì a qualificare e formare intere generazioni di ingegneri architetti (anche come cartografi) della Toscana, dai quali venne riconosciuto quale maestro indiscusso. Ma, più in generale, con Viviani la problematica idraulica esce dal chiuso delle accademie, e dalle speculazioni teoriche scende ad affrontare le questioni concrete: in perfetta consonanza con le nuove aspirazioni sviluppiste del governo e delle classi imprenditoriali della Toscana, passate ormai dalla pratica della mercatura alla valorizzazione produttiva delle campagne.
Le sue innumerevoli commissioni in ogni parte del Granducato richiesero la redazione di altrettanti rapporti e perizie rimaste manoscritte, quasi sempre in forma di brevi scritti tecnici su realtà spaziali molto esigue, talora corredati da mappe, disegni o schizzi sommari, tuttora conservati in vari fondi archivistici (principalmente in ASF, Capitani di Parte Guelfa e Miscellanea Medicea, ma anche in BNCF, Manoscritti Galileiani-Discepoli di Galileo).
Si pensi che soltanto nell’archivio dei Capitani di Parte Guelfa sono state individuate circa 300 relazioni del Viviani che fanno riferimento al fiume Arno!
L’onore della stampa spettò – seppure a distanza di quasi un secolo e mezzo, e precisamente nel 1822 – soltanto alle due opere più complete e organiche commissionategli dal granduca Cosimo III: la Relazione intorno al riparare, per quanto possibile sia, la città e campagne di Pisa dall’inondazioni, stesa nell’aprile 1684 in seguito ad una attenta visita eseguita insieme all’idraulico olandese Cornelio Meyer; e il Discorso intorno al difendersi da’ riempimenti e dalle corrosioni dei fiumi applicate ad Arno in vicinanza della città di Firenze, redatto nel gennaio 1687.
La Relazione sul Pisano evidenzia la criticità sanitaria e la precarietà dell’assetto idraulico della vasta bassa pianura dell’Arno, punteggiata di acquitrini permanenti e soggetta alle ricorrenti inondazioni del fiume e dei suoi numerosi affluenti; ed evidenzia pure la cautela e il pragmatismo propri degli scienziati galileiani e dell’Accademia del Cimento. Il piano del Viviani non prevedeva interventi drastici, come ad esempio la deviazione di gran parte delle acque dell’Arno a monte di Pisa (operazione da secoli richiesta da alcuni, per salvare la città dai ricorrenti pericoli alluvionali), o come la colmata generale dell’acquitrinosa pianura pisana, perché “non si può con industria ed arte vincer la forza della natura”.
Nel passato si era ovviato a questi pericoli mediante interventi contingenti e scoordinati tra loro, come la realizzazione di grossi argini fluviali e l’escavazione di canali di scolo verso il Fiume Morto a nord e lo stagno di Calambrone e Coltano a sud; tuttavia, l’impegno della specifica magistratura pisana, l’Ufficio Fiumi e Fossi, non era valso a mantenere in equilibrio questo sistema artificiale di drenaggio idrico.
Partendo da queste premesse storiche, il nostro scrive che occorreva innanzitutto “rimettere in opera e ridurre allo stato antico tutti quei fossi e scoli che più ora non operano con ricavarli e arginarli tutti insieme [...], ma prima si riaprano gli sfoghi di detti fossi e quello in particolare del Fiume Morto con cavare anche questo dove ne sia il bisogno, ma soprattutto col raddrizzarlo per la via più breve, ristringerlo all’apertura dei ponti ed arginarlo in moderata distanza dalle ripe sin dentro il mare con incassarvelo ancora per molte braccia”. Anche l’Arno – che subito a valle di Pisa arricchiva i paduli ivi esistenti per l’incapacità di far defluire in mare tutte le sue acque – doveva essere liberato del gomito o meandro di Barbaricina (un’ampia area da colmare e recuperare alle coltivazioni) e portato in un nuovo letto con inclinazione più favorevole al deflusso nel Tirreno.
Poiché il fiume stava progressivamente sollevando il suo alveo per l’interrimento naturale, occorreva anche rialzarne le sponde e consolidarle con la costruzione a distanza di contrargini da mantenere con cura; questi argini paralleli al corso d’acqua erano intesi come funzionali al deposito delle “fecondanti torbide” fluviali, per recuperare gradualmente all’agricoltura parte della pianura più depressa che era quasi stabilmente occupata da impaludamenti.
Viviani esprime la sua piena fiducia in questo metodo delle piccole colmate, da realizzare comunque con cautela e con ordine anche a distanza dall’Arno. “Messe in difesa le terre buone, occorre cominciare a colmare per grande altezza e non in fretta, a impresa per impresa, le terre più lontane dal mare ed insieme le più prossime all’Arno con le più remote da quegli scoli che debbono ricevere poi le loro acque piovane, e di poi l’altre terre di mano in mano per traverso fino ai predetti scoli per continuare con tale ordine a colmare le altre tenute per di sotto che si vanno accostando al mare”. Questo metodo sistematico – proposto anche per i grandi comprensori di bonifica, quali la Valdichiana e la Valdinievole – era ritenuto l’unico in grado “di restituire a Pisa la salubrità dell’aria, la copiosa popolazione e l’antico pregio di essere il granaio della Toscana”.
Il Discorso sul territorio fiorentino affronta in modo ugualmente organico il problema tanto temuto del riempimento del letto fluviale nei pressi di Firenze. Con accurate ricerche storiche e sul terreno, Viviani verificò il rialzamento di alcune braccia dell’alveo dell’Arno e dei suoi principali tributari, ciò che finiva con il provocare sempre più frequenti allagamenti dei piani interrati e a terreno delle abitazioni non solo urbane. Il nostro si accorse pure che il riempimento d’Arno “non segue già per uniforme altezza in universale né per tutta la larghezza del medesimo letto, ma questo occupamento di vaso e di continente dà causa alle piene di procurarsi il luogo perduto dentro le ripe più deboli onde ne seguono corrosioni e lunate, e di scorrervi ancora più alte donde n’avvengono inondazioni”. Pur non credendo che Firenze corresse il rischio di trasformarsi in una città acquatica, necessariamente intersecata da canali, come ad esempio Mantova e Ferrara, e che le sue campagne “abbiano a ricoprirsi d’acque e convertirsi in cubili di ranocchi o di pesci, poiché per divina provvidenza l’umana industria saprà conservare il tutto”, tuttavia il problema era preoccupante e ne andavano ricercate le cause.
Tali cause furono individuate nell’eccessivo “diboscamento, che in universale contro gli antichi provvedimenti è stato fatto delle alpi e dei monti, di quegli in particolare che secondano il corso dell’Arno dall’Incisa a Rovezzano”, con i coltivi che non sempre erano stati “fatti con buon ordine dalle radici di essi monti fino alle cime e nei fondi delle valli, per dove, passando le piovane, si formano i borri, i fossati, i rii, i fiumicelli e i fiumi che scendono in Arno. Queste sono le più potenti cagioni che concorrono alla di lui ripienezza, poiché le piogge cadenti sopra quei monti spogliati di legname e coltivati e smossi, non trovando più il ritegno della macchia e del bosco, vi scorrono precipitose e s’accompagnano colla materia di terra, sasso e ghiaia dalla quale son formati e la conducono furiosamente nel fiume”, che a sua volta la spingeva e l’abbandonava gradualmente lungo il proprio corso.
Il progetto elaborato dallo scienziato prevedeva vari interventi, a partire dall’innalzamento degli argini fluviali (rafforzati da scarpe, sassaie e altri manufatti di difesa) e dal parziale raddrizzamento dei corsi d’acqua per eliminare i gomiti troppo pronunciati che impedivano o rallentavano il deflusso; quanto però all’Arno, lo scienziato sconsigliava fermamente la sua canalizzazione – proposta da molti onde accrescerne le funzioni idroviarie – tra Firenze e Signa perché d’estate non c’era acqua sufficiente ad alimentare il canale stesso.
Ma di fondamentale importanza erano il rinnovo della legislazione vincolistica nei confronti dei tagli dissennati dei boschi alpestri e l’attivazione di una vera e propria bonifica montana fatta di adeguate sistemazioni idraulico-agrarie e forestali: a partire da quelle trasversali ai pendii montani e collinari, realizzabili con “serre o chiuse o leghe o traverse di buon muro”, sopra le quali costituire “folte piantate di boscaglie o da fuoco o da taglio” oppure di olivi. Invece, nelle aree vallive (e specialmente nelle aree fra Incisa e Firenze), occorreva rimettere in funzione gli antichi sbarramenti trasversali ai corsi d’acqua, le pescaie, “e fabbricarne delle nuove” (anche sui principali affluenti) per rallentare il deflusso delle acque.
La prima impresa idraulica del Viviani fu la visita – fatta nel giugno 1644 con gli ingegneri Alessandro Bartolotti e Baccio Del Bianco – al Bisenzio in località Poggione, per visionare e risarcire la steccaia devastata dalle piene fluviali. Della stessa area, il nostro si interessò a più riprese, come nel luglio 1652, quando rilevò la pianta della zona di Capalle per progettarvi un taglio o raddrizzamento fluviale, mentre nello stesso anno provvedeva a riparare l’argine d’Arno alle Cascine. Sempre sul maggior fiume della Toscana, nel maggio 1653, insieme ad Alfonso Parigi (come pure, da solo, nell’ottobre 1669), propose rimedi “necessarissimi” (“palate” soprattutto) alla breccia d’argine formatasi alla confluenza del fiume Greve; nel settembre 1661 e nell’ottobre 1670 restaurò la steccaia di Montevarchi; nel giugno 1662 rinforzò la strada romagnola che lambiva l’argine del fiume in loc. Girone; nel gennaio 1666 riparò la corrosione nel bosco di San Moro di Signa; nel settembre 1673 e ancora nel settembre 1691 effettuò lavori ad Ugnano e Brozzi; nel 1679 effettuò lavori di rifacimento degli argini nel Pian di Ripoli e anche subito a valle di Firenze; nel luglio 1680 risarcì il pignone sotto Varlungo, ecc.
In altri contesti spaziali, nell’ottobre 1669 studiò la realizzazione di un ponte cateratte in loc. Mora, nel piano di Lecore, sull’Ombrone Pistoiese, per salvaguardare dalle esondazioni la campagna circostante. Nel dicembre 1679 denunciò gli abusi del proprietari frontisti dell’Ombrone che – anziché rinforzare gli argini – li avevano indeboliti con l’espandervi le coltivazioni e con il costruirvi vari manufatti che addirittura occupavano anche il letto fluviale, ostacolando in tal modo il deflusso delle acque. Dalla visione di questa situazione, il nostro per la prima volta osava allargare la sua attenzione dalla contingenza del bisogno locale ai problemi generali di sistemazione fluviale durevole e di messa in sicurezza delle pianure, con il consigliare l’ufficio di ricostruire con luci di adeguata altezza i ponti esistenti, di reprimere gli abusi umani (demolire i manufatti e i campi impropriamente costruiti), di sistemare a dovere la sfociatura dell’Ombrone in Arno con la realizzazione di una solida sassaia per stabilizzare i due corsi d’acqua, di riarginare gli affluenti dell’Ombrone con tanto di rettificazione degli alvei di alcuni di loro, e finalmente di provvedere per quanto possibile al rialzamento delle piane più depresse mediante la pratica antica e di lungo periodo delle piccole colmate.
Si occupò pure – insieme all’ingegnere Francesco Landini, nel luglio 1671 e nel marzo 1672 rispettivamente – del consolidamento delle colline meridionali fiorentine dominate dal forte e dalla basilica di San Miniato e dalla villa granducale di Poggio Imperiale, mediante l’erezione di muri di consolidamento, l’escavazione di acquidocci e l’impianto di filari di cipressi e di altre alberature.
Tra gli altri impegni, vale la pena di ricordare il suo parere del 1691 sulla causa relativa al triplice taglio del torrente Vingone progettato dall’allievo prediletto, l’ingegnere Giuliano Ciaccheri, ma rifiutato dai locali proprietari terrieri. Lo scienziato non esitò a sconfessare il più stimato rappresentante della burocrazia tecnica medicea, convinto com’era che lo scavo di un nuovo lungo letto fluviale in area più soggetta a maggiori rischi di esondazione dell’Arno non era conveniente anche per il consumo di fertile terreno agrario che ne sarebbe derivato, e quindi consigliava prudentemente di fare una deviazione assai più contenuta e di raddrizzare per quanto possibile il torrente con eliminazione delle maggiori tortuosità, provvedendo semmai alla costruzione, nell’alto bacino idrografico, di solide serre per attenuare l’impeto della corrente e, nella sua parte bassa, di scoli per “separare le acque di monte, che per lo più ne scendono cariche di materie nocive, dall’acque piovane e chiare del piano”.
Poiché questi consigli erano rimasti inascoltati, nel 1697 Viviani tornò a perorare la validità delle opere di sistemazione fluviale eseguite a monte, propedeutiche alla salvaguardia degli argini di piano. Del resto, lo scienziato – almeno a partire dagli anni ’80 – fu sempre coerente con il convincimento che il complesso problema della sistemazione e messa in sicurezza della valle dell’Arno poteva essere risolto soltanto mediante la messa in pratica di un piano organico di bonifica generale (Barsanti, 1994, pp. 59-60).
Viviani operò in modo non episodico anche nei comprensori umidi più lontani da Firenze, come la pianura grossetana, e soprattutto la Valdichiana e la Valdinievole.
Nella pianura di Grosseto Viviani seguì il lavoro svolto dal suo principale collaboratore Giuliano Ciaccheri tra il 1694 e i primi anni del nuovo secolo. Nell’impossibilità di provvedere alla bonifica completa del lago-padule di Castiglione della Pescaia, si provvide al risarcimento degli argini dell’Ombrone (per impedire che le esendazioni fluviali peggiorassero l’assetto idraulico della pianura) e alla costruzione del nuovo canale Navigante da Castiglione al Porticciolo di Grosseto: in questo periodo furono disegnate anche una carta generale della pianura di Grosseto (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 6944) e varie carte topografiche della fiumara con porto canale di Castiglione e del Nuovo Navigante con l’area attraversata (ASF, Mediceo del Principato, f. 2029, cc. 1-3 e 13-15) (Barsanti, 1984, pp. 62-63).
Nel comprensorio del padule di Fucecchio, il nostro si recò più volte per risolvere i gravi problemi della bonifica che interessavano le tante fattorie granducali della valle. Nel maggio 1670 osservava come le colmate poco regolate della Pescia di Pescia stessero danneggiando i circostanti terreni di proprietà granducale e privata, appartenenti alle fattorie di Altopascio e Bellavista. Proponeva pertanto di togliere il fiume dal suo letto e di condurlo a sfociare nel padule del Cerro, riempiendo l’alveo rimasto asciutto con una vicina gora alimentatrice di un mulino. Nel 1682 fece un’importante ispezione a Ponte a Cappiano dove la chiusura di buona parte delle calle produceva difficoltà di deflusso e ristagno delle acque: lo scienziato ordinò la riapertura delle bocche e anzi il loro ampliamento con la sbassatura della loro soglia, anche per potenziare la navigazione nella zona umida; a quest’ultimo fine, progettò pure la costruzione di un nuovo canale navigante nel padule. Nel 1693, visitò la fattoria granducale del Terzo dove progettò possenti arginature alle casse di colmata e pera di canalizzazione per impedire ce le torbide della Nievole e della Borra pregiudicassero gli scoli di Bellavista e di altre proprietà (Barsanti, 1994, pp. 65-66).
Pure della Valdichiana, e soprattutto della parte meridionale ove passava il confine fra Granducato e Stato Pontificio, Viviani si occupò a più riprese fin dal 1657-60, anche collaborando con il matematico papale Gian Domenico Cassini.
Così, nel 1657 accompagnò nelle Chiane il cardinale Giovan Carlo de’ Medici e in quell’occasione si rese conto del grande interrimento che si era registrato nell’area di confine, con il rischio di bloccare il deflusso delle acque verso il Tevere: da qui, l’idea di riportare l’Astrone nel piano di Cetona. Nell’aprile 1664, grazie anche al suo contributo e a quello dell’ingegnere Francesco Landini che lo affiancò, furono approvati i tredici capitoli dell’intesa o Concordia fra il papa Alessandro VII e il granduca Ferdinando II (edita nel 1665 con una pianta con profilo), che riguardavano la regimazione e riescavazione anche con nuovi letti dei torrenti Tresa, Astrone, Buterone, Cardete e altri scorrenti nel delicato scacchiere e che – prima di confluire nel Canale Maestro della Chiana – inondavano e danneggiavano le campagne. Nel 1667, il nostro scienziato si dichiarò sgomento di non poter quantificare le spese per i lavori delle Chiane “così inferme e noiate dall’acque trattenutevi”; ancora nel 1677 visitò l’area palustre delle Chiarine, proponendo lavori per il loro risanamento.
Nel 1684 e ancora tra 1689 e 1690 Viviani fu inviato a Roma per discutere con i tecnici pontifici un accordo generale per la bonifica definitiva della valle, operazione da sempre avversata dai romani per i timori di accresciute inondazioni da parte del Tevere che una simile sistemazione avrebbe potuto arrecare: per convincere il papa e i suoi collaboratori, Viviani portò con sé numerose piante fatte disegnare dal suo principale collaboratore tecnico, l’ingegnere Giuliano Ciaccheri.
Nel maggio 1691, lo scienziato dette puntuali istruzioni a Ciaccheri circa il procedere dei lavori nelle Chiane, e in particolare su come voltare Parce, fosso di Gragnano e Astrone nel piano di Chiusi, con il raccomandare di servirsi sempre di precisi rilevamenti cartografici (Barsanti, 1994, pp. 66-67; Di Pietro, 2005, pp. 109-111).
Come è facile capire, buona parte dei suoi rilievi e progetti fu invariabilmente corredata da disegni di livellazioni e/o da mappe o carte topografiche, ma a quanto è dato sapere queste rappresentazioni – redatte sotto la sua direzione – furono regolarmente disegnate e in genere firmate dagli ingegneri e capomaestri suoi collaboratori, ed è quindi difficile se non impossibile presentare qui un elenco.
Basti ricordare che, con l’ingegnere Giuliano Ciaccheri è autore della prima cartografia in scala topografica frutto di regolari operazioni metriche pubblicata a corredo di un’opera idraulica: trattasi della Carta del Pian di Pisa inviata manoscritta al granduca Cosimo III nel 1684 e poi inserita nell’opera a stampa dell’idraulico olandese Cornelio Meyer Arte di restituire a Roma la tralasciata navigazione del suo Tevere (Roma, Per il Varese, 1685) (Gabellini, 1987, p. 150).


Discorso al Serenissimo Granduca di Toscana Cosimo III intorno al difendersi da’ riempimenti, e dalle corrosioni de’ fiumi applicate ad Arno in vicinanza della Città di Firenze edita in Raccolta d’Autori Italiani che trattano del moto dell’acque, Firenze, Stamperia di Sua Altezza Reale, vol. IV, 1765, pp. 217-258;
Relazione al Serenissimo Granduca di Toscana Cosimo III intorno al riparare per quanto possibile sia la Città e Campagne di Pisa dall’inondazioni edita in Raccolta d’Autori Italiani che trattano del moto dell’acque, Firenze, Stamperia di Sua Altezza Reale, vol.. IV, 1765, pp. 259-269.


Produzione di cartografia manoscritta:
Pianta della zona di Capalle, 1652 (ASF, Capitani di Parte. Numeri neri, f. 1073, c. 61);
Pianta e profilo dello stato dell’acque delle Chiane dal Ponte di Valiano sino al Ponte di Sotto ecc., disegni degli ingegneri Gio. Nicolò Pulega e Francesco Landini (ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni, piante topografiche, n. 105.5);
Carta del Pian di Pisa, con l’ingegnere Giuliano Ciaccheri, 1684 (edita in Cornelio Meyer, Arte di restituire a Roma la tralasciata navigazione del suo Tevere, Roma, Per il Varese, 1685;
Disegno in pianta della Pianura di Grosseto, con Giuliano Ciaccheri, 1694 circa (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 6944);
Varie carte topografiche della fiumara con porto canale di Castiglione e del Nuovo Navigante con l’area attraversata, con Giuliano Ciaccheri, 1694 (ASF, Mediceo del Principato, f. 2029, cc. 1-3 e 13-15);

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Barsanti, 1984; Barsanti, 1994, pp. 43-68; Gabellini, 1987, p. 150; Maglioni, 2001; Piccardi, 2001; Di Pietro, 2005, pp. 109-111; ASF, Capitani di Parte Guelfa. Numeri neri, ff. 1055, c. 144, 1063, cc. 223 e 259, 1073, cc. 56 e 61, 1074, c. 39, 1081, cc. 80 e 113, 1082, c. 111, 1085, c. 103, 1092, c. 62, 1103, cc. 24 e 51, 1667, cc. 13 ss.; ASF, Segreteria di Finanze, f. 1013; ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, ff. 6941, 6943 e 6944; ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni, piante topografiche, n. 105.5; ASF, Mediceo del Principato, f. 2029, cc. 1-3 e 13-15; ASF, Miscellanea Medicea; BNCF, Manoscritti Galileiani-Discepoli di Galileo, nn. 222, cc. 79 ss. e 153 ss., 229, c. 91, 232, c. 52, 233, cc. 9, 161, 217 e 237 ss., 234, cc. 97 ss. e 125 ss., 235, cc. 73 ss. e 167 ss., 236, cc. 34 ss., 263, cc. 98 ss.; BRF, Manoscritti Riccardiani, n. 2711, c. 81.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai