Archivi tag: Siena

Haupt, Teodoro

Teodoro Haupt
N. Freiberg 1807
M. Firenze 1867

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere minerario

Biografia:
L’ingegnere minerario sassone Teodoro Haupt nacque a Freiberg nel 1807 e morì a Firenze nel 1867.

Produzione scientifica:
Nell’arco di circa quindici anni di attività, oltre a costituire “la massima autorità tecnica in materia”, e ad accompagnare il sovrano in numerose gite nel bacino estrattivo punteggiato da miniere in via di graduale attivazione grazie anche e soprattutto alle “indefesse ispezioni” dell’Haupt (Pesendorfer, a cura di, 1987, p. 481), fu autore di ben 16 carte geologiche o geognostiche a varia scala, relative ai bacini carboniferi di Montebamboli, Casteani e Sassofortino in Maremma, del Valdarno di Sopra, di Quarata e Valdichiana, di Montefollonico e di Casole nel Senese, alle cave di ferro dell’Elba orientale e di altre miniere o giacimenti non coltivati (Vitali, 1996, p. 317).
Scrive il granduca che “il regio consultore Haupt in quattordici anni di studio indefesso aveva compilato un Atlante di carte delle miniere toscane: questo, da me incoraggito, inviò all’esposizione mondiale di Londra e quel lavoro gli fruttò l’approvazione dei scienziati. Era mio consiglio che quell’Atlante delle miniere toscane fosse fatto noto, perché scienziati e speculatori si volgessero ad investigare li ascosi tesori di Toscana”. Tra l’altro, Haupt utilizzò in modo davvero applicativo in senso moderno la cartografia mineraria, come documenta lo stesso sovrano: “Haupt aveva segnato sulla carta della Toscana i punti di minerale già riconosciuti, congiunse con linee questi punti ed apparì che le intersecazioni delle linee cadevano sopra altri punti metallici riconosciuti già. Dove altre intersecazioni di linee nascevano, esso ricercò e trovò: seguitò così ad argomentare e trovò avverarsi in punti ancora sconosciuti esistenza di metalli. Così procedendo nacquero dei criteri in questa scienza più che altrove difficile in Toscana per le alterazioni avvenute nel suolo, e cominciò a trovare delle norme razionali a seguitar le ricerche” (Pesendorfer, a cura di, 1987, p. 482).
Alcune di queste figure – sette mappe di singoli bacini estrattivi e una carta topografica tematica mineraria della Toscana occidentale fra le Apuane e l’Amiata che utilizza come base la Carta Austriaca in scala 1:86.400 del 1851 – furono donate o vendute al Museo delle Miniere di Massa Marittima, che lo stesso ingegnere tedesco aveva contribuito a fondare nel 1851, e che da allora rappresenta un importante centro per la conservazione della memoria storica dell’attività estrattiva in Toscana.
Haupt è autore anche nel 1847 di un trattato a stampa sulle miniere e sull’industria mineraria della Toscana e il 29 giugno 1852 di un rapporto descrittivo sul sistema delle miniere del Massetano rimasto inedito (ASF, Ministero delle Finanze, f. 236, prot. 1, affare 9, anno 1858) (Rombai e Vivoli, 1996, pp. 159-161; Vitali, 1996, p. 317).

Produzione scientifica

Delle miniere e della loro industria in Toscana. Trattato di Teodoro Haupt, Firenze, Le Monnier, 1847;
Rendimento di conto del mio servizio in Italia, Firenze, Le Monnier, 1889.

Produzione di cartografia manoscritta:
Carta mineraria della Toscana occidentale e sei mappe di singoli bacini estrattivi delle Colline Metallifere, anni ’50 del XIX secolo (MMMM).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Rombai e Vivoli, 1996, pp. 159-161; Vitali, 1989, pp. 159-165; Vitali, 1996, p. 317; Francovich e Rombai, 1990, p. 699; Pesendorfer, a cura di, 1987, pp. 217, 283, 297, 474, 479 e 481; ASF, Ministero delle Finanze; MMMM; IGM.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

Gugliantini, Tancredi

Tancredi Gugliantini
N.
M.

Relazioni di parentela: figlio del più noto Jacopo

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
Svolse in modo evidentemente episodico l’attività di disegnatore e collaboratore del padre. La sua firma compare soltanto, come coautore (in qualità di “disegnatore”), insieme al padre, in alcune figure relative a poderi di Valdichiana: di Lama I e Vignacce nel 1822, e di Bugano nel 1823. Si tratta rispettivamente: del Disegno della pianta e prospetto della nuova casa e annessi del Podere primo di Lama sullo Stradone dell’I. e R. Fattoria di Montecchio in Val di Chiana, firmata insieme al padre nel 1822, già citata e della Pianta del Podere denominato le Vignacce posto nella Potesteria di Lucignano, copiata da Tancredi nel 1822 da una figura del padre, già citata, del 1821; e del Prospetto e Pianta della casa del Podere di Bugano che dimostra la riduzione che si progetta per il comodo dei Granai (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, nn. 226, 269, 269/1, 264 e 55).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Riferimenti bibliografici e archivistici

Guarducci, 2001, passim.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Gugliantini, Raimondo

Raimondo Gugliantini
N.
M.

Relazioni di parentela: Nei primi decenni del 1800, Jacopo Gugliantini venne coadiuvato nella sua attività da alcuni membri della famiglia: Tancredi Gugliantini (il figlio) e Raimondo Gugliantini, il fratello, il quale nel 1809 risulta essere ventunenne – quindi di 12 anni minore di Jacopo – di professione studente e residente anch’egli ad Arezzo nella Parrocchia di S. Domenico (ASA, Mairie di Arezzo (1808-1814). Lettere e Negozi, f. 5, tomo IV, ins. 36, “Stato civile degli individui maggiori di anni ventuno. Censimento del 1808-1809”, c. 544).

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere Capo della Comunità di Arezzo

Biografia:

Produzione scientifica:
Raimondo fu con certezza ingegnere capo della Comunità di Arezzo, anche se la sua attività ebbe una durata piuttosto breve (dal maggio 1813 all’estate del 1815).
In tale veste, è autore di numerosi progetti, perizie e relazioni, con talora il corredo di disegni e piante facenti sempre riferimento a tematiche architettoniche o, tutt’al più, urbanistiche di breve respiro. Dall’esame dei documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Arezzo, si può seguire dettagliatamente l’attività di Raimondo.
La sua prima perizia firmata in qualità di “Ingegnere della Comunità” (in sostituzione di Luigi Romanelli che fino all’inizio del 1813 è il perito comunitativo) è del 24 maggio 1813, sui lavori da farsi per la sistemazione del Prato Grande (da adibire a “pubblico passeggio” alberato, secondo il progetto del 1810) presso la fortezza aretina; troviamo poi una lettera di Raimondo Gugliantini del 3 agosto 1813 con perizia su uno scavo nei pressi delle mura di Arezzo, firmata insieme al capo muratore Donato Girelli (ASA, Mairie di Arezzo (1808-1814). Lettere e Negozi, f. 20, tomo II, ins. “Strade vicinali e comunali”, cc. 220, 298, 340).
Nello stesso anno è autore di un progetto di ristrutturazione, per usi militari, del convento soppresso aretino di Santa Trinita, corredato di due planimetrie (conservato negli ANP, N III Arno n. 10-1, 2).
Come ingegnere capo della Comunità di Arezzo, nel 1814 disegnò le Piante del Quartier militare di San Giusto ad Arezzo, un antico complesso monastico soppresso sotto Pietro Leopoldo e trasformato in caserma (ISCAG, E 1092 e 1094) (Principe, 1988, p. 56).
Tra gli innumerevoli affari trattati nel 1814 si ricordano, a titolo di esempio: la relazione, del 16 settembre dei lavori da farsi nel Palazzo Pretorio di Arezzo, da ridurre per abitazione del vicario e di altri funzionari, corredata di pianta geometrica del piano nobile del palazzo (compare, in questa e in altre, come perito, Angelo Lorenzo de’ Giudici); la perizia del 25 luglio dei lavori da farsi nell’edifizio delle carceri pubbliche di Arezzo; la perizia del 19 luglio dei lavori da farsi alla Casa del Bargello; la perizia del 20 luglio dei lavori da farsi nel quartiere di S. Giuseppe di Arezzo; la memoria del 27 agosto dei lavori da farsi alla Porta di S. Tolentino; la perizia del 19 luglio della spesa da farsi per vuotare il pozzo che resta nel Borgo della Badia in Arezzo; il dettaglio del 16 luglio dei lavori urgenti e da potersi differire nelle strade interne di Arezzo; oltre a varie perizie (dal 31 agosto al 5 dicembre), delle strade o sia sobborgo della Fornace (ASA, Archivio della Comunità di Arezzo (1814-65), serie Carteggio dei Cancellieri, f. 14, cc. 367-471).
Ma, dopo la prima metà del 1815, in cui troviamo ancora perizie e lavori pubblici firmati dal nostro tecnico, egli cade rapidamente in disgrazia nell’amministrazione aretina.
In una supplica, del 10 marzo 1815, inviata al gonfaloniere ed ai priori, il nostro ingegnere chiede chiarimenti sul perché gli sia stato “scemato per metà l’annuo suo onorario, cioè da scudi 60 alla miserabile somma di scudi 30”, quando invece “il ricorrente sperava un aumento per le cresciute molteplici sue fatiche”. In una seconda supplica, del 6 agosto dello stesso anno, sempre indirizzata a gonfaloniere e priori, si legge: “essendo stato escluso dall’Impiego l’Ingegnere e Perito Comunitativo, Raimondo Gugliantini di Arezzo, per cagione di un foglio incautamente avanzato al loro Seggio, chiede umilmente scusa e perdono, e supplica la loro umanità e clemenza a volersi degnare di riconfermarlo nel primiero suo impiego”. Tale richiesta non venne però mai accolta, come dimostrano le successive suppliche per essere reintegrato, del 22 novembre, del 4 dicembre (con richiesta almeno dei crediti dello stipendio) e del 20 dicembre 1815 (ASA, Mairie di Arezzo (1808-1814). Lettere e Negozi, f. 15. Anno 1815, cc. 89, 166, 392, 394-397).
Fin dal 1813, probabilmente prima di passare al servizio della comunità di Arezzo, Raimondo aveva realizzato 4 piante, di cui due da solo e due insieme al fratello Jacopo (ma con ruolo subalterno di “disegnatore”) di poderi e terre spezzate dell’Aretino e della Valdichiana, appartenenti a proprietari privati, talora confinanti con le fattorie imperiali. Si vedano: la Pianta 18 del Podere di Oliveto situato a Ponente da Arezzo, e distante miglia 10 nel Popolo di Oliveto Sotto Prefettura di Arezzo, Dipartimento dell’Arno, datata 1813, già citata; la Pianta geometrica dei beni attenenti al Signor Ferdinando Redditi, e situati nella Collina di Brolio in Val di Chiana alle di cui falde esistono le praterie spettanti all’Imperial Fattoria di Montecchio, in tre esemplari; e la Pianta dell’Imperial Fattoria di Montecchio (rispettivamente in ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni, nn. 26, 53, 53/1, 54 e 216).
Sicuramente, Raimondo, dopo il licenziamento dall’impiego comunale, svolse presso l’Amministrazione delle fattorie della Val di Chiana un’attività professionale, sia pur molto sporadica. Occorre ricordare almeno: la Pianta geometrica che dimostra il progetto di prolungamento dello stradone della Imperial e Reale Fattoria di Montecchio dalle Capannacce al Porto a Brolio per la comunicazione della Comunità di Castiglion Fiorentino e provincia adiacente a Foiano e alla Strada Senese, col confronto della Via Vecchia per la Collina di Brolio e dell’altra strada per la Fattoria del Pozzo, “fatta ed eseguita a Montecchio” da Raimondo Gugliantini il 1° febbraio 1816 e “riscontrata” sui luoghi da Jacopo Gugliantini il 10 febbraio 1816 (un progetto che inquadra tutta la rete stradale del territorio in oggetto, con dettagliate annotazioni); la Pianta delle praterie di Brolio spettanti all’Amministrazione della Corona in Val di Chiana, del 1817 (una carta molto lunga che raffigura le praterie lungo tutta la striscia delle comunanze), firmata da Jacopo Gugliantini “Ingegnere della Corona in Val di Chiana” con l’annotazione “Raimondo Guagliantini disegnò”; e la Pianta dell’Imperial Fattoria di Montecchio, senza data, disegnata sulla base di un'altra carta a firma questa di Jacopo (rispettivamente in ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni, nn. 228 e 229, 217 e 216/1).
In una nota del 16 agosto 1816, Raimondo Gugliantini dichiara di aver ricevuto dal signor Francesco Meacci, agente della fattoria di Acquaviva, “lire dugento quaranta per le operazioni e piante geometriche della strada che dalla Comunità di Chiusi, al Termine dei Salcini, arriva ad Acquaviva, a forma del convenuto e fissato dai Deputati e Cancelliere del magistrato della Comunità di Montepulciano” (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 5269, Valdichiana. Pacco di Carteggi. Anno 1771-1816. Ins. 49).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Principe, 1988, p. 56; Guarducci, 2001, passim; ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni; ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni; ASA, Mairie di Arezzo (1808-1814); ASA, Archivio della Comunità di Arezzo (1814-65); ANP; ISCAG.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Gugliantini, Jacopo

Jacopo Gugliantini
N. Arezzo 10 gennaio 1776
M.

Relazioni di parentela: E’ probabile che Jacopo sia figlio di quel Giovanni di Lorenzo Gugliantini che, all’inizio degli anni ’20 del XIX secolo, era accatastato come residente ad Arezzo e proprietario di beni fondiari per poco più di 15 quadrati di superficie (oltre 5 ettari), con rendita di lire 720 e centesimi 13. Data la modestia della proprietà, c’è da pensare che Giovanni, all’epoca, svolgesse, o avesse svolto, in precedenza, una attività professionale nei settori extragricoli.

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Jacopo Gugliantini nacque ad Arezzo il 10 gennaio 1776, e nel 1809 risultava residente nella parrocchia cittadina di S. Domenico. Anche nel 1812, lo troviamo iscritto con la qualifica di proprietario, fra i residenti del capoluogo aretino.

Produzione scientifica:
Il modo di disegnare di Jacopo appare raffinato ed elegante. Egli, tra gli anni ‘90 del Settecento e gli anni ’20 dell’Ottocento, firmò il maggior numero di prodotti per le fattorie dell’Ordine, non disdegnando neppure di trasmettere a privati (come dimostra il caso del notissimo cabreo attualmente conservato nella raccolta Lotteringhi Della Stufa del Calcione) i suoi prodotti che accoppiano l’arte alla tecnica, del resto adeguandosi con ciò ad una prassi diffusa e consolidata presso i mal pagati operatori territoriali al servizio del granduca o degli enti pubblici (Rombai, 1997, p. 127).
Gugliantini dimostra di saper ben coniugare il rigore scientifico dato dalla geometria, divenuta tra Sette e Ottocento quasi assoluta (con immagini ‘fedeli’ che dallo studioso, oggi, possono però essere percepite come pura astrazione, come costruzione scientifica del tutto spersonalizzata), propria dell’operatore catastale, con il cosiddetto modulo pittorico-vedutistico o prospettico, proprio della tradizione artistica di matrice tardo-medievale e rinascimentale. Tale integrazione è richiesta, e anzi imposta, dalla committenza (in questo caso l’Ordine cavalleresco o lo Scrittoio delle Possessioni granducali e le altre amministrazioni statali) per meglio evidenziare, con autentica immediatezza percettiva e “come dal vero”, e con effetti non privi di valore estetico/artistico, le componenti più importanti dell’organizzazione paesistico-agraria e territoriale: come le coltivazioni arboree e la vegetazione boschiva (rese con vari simboli e velature cromatiche), i seminativi nudi (individuati solo con il colore), gli edifici di uso agrario o signorile e gli opifici rurali (resi non solo planimetricamente, ma anche in alzato o prospettiva), insieme con altri elementi di rilievo per la strutturazione sociale dello spazio, quali le vie di comunicazione, la rete idrografica, le sistemazioni idraulico-agrarie, i nomi dei luoghi e dei proprietari confinanti.
Le cartografie prodotte da Jacopo: con i cabrei poderali, con le raccolte specificamente dedicate all’edilizia aziendale, con le tante case coloniche e le ville-fattoria, gli opifici rurali o i fabbricati urbani gestiti in qualità di case d'appoggio e magazzini per le esigenze produttive, ma anche alcuni fabbricati urbani (come ad esempio le case di Arezzo) (cfr. la pianta di Jacopo Gugliantini e Angelo Lorenzo de’ Giudici, autore, nel primo Ottocento, di vari disegni architettonici relativi a fabbricati aretini: Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 68-69, con progetto di costruzione di stalla e granaio), raffigurati soprattutto in occasione dei lavori di ristrutturazione o ampliamento, oppure per i passaggi di proprietà o livello.
A quanto è dato sapere, l’attività peritale di Jacopo Gugliantini per i due pubblici committenti della Sovrintendenza e dell’Ordine iniziò nel 1798 e, per qualche anno, restò circoscritta alla descrizione e rappresentazione di tipo architettonico.
Tra il 1798 e l’inizio del 1800, egli si accinse infatti alla redazione sistematica di raccolte relative a tutti i fabbricati presenti nelle diverse fattorie. Tali innumerevoli Piante delle Fabbriche (in realtà planimetrie e spaccati, talora vedute) relative a case poderali, palazzi di fattoria e edifici di servizio delle quattro aziende stefaniane storiche (Foiano, Montecchio, Fonte a Ronco e Creti), almeno all’inizio, costituiscono un vero e proprio censimento dello stato di fatto (anche se molte figure riportano annotazioni ottocentesche relative a successivi ampliamenti e ristrutturazioni dei fabbricati): è il caso delle Piante delle Fabbriche della nuova Fattoria di Creti (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 325), 16 figure planimetriche, “copiate e ridotte” nel 1798, con spaccati degli edifici relativi ai 19 poderi, alcuni dei quali accorpati per due famiglie ma con ingressi e forni separati, alla casa del mezzaiolo e a due stalloni separati pertinenti ai poderi primo, secondo e terzo di Creti, con annotazioni ottocentesche relative ad ampliamenti e ristrutturazioni dei fabbricati; oppure delle Piante delle Fabbriche della Fattoria di Foiano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 324), 14 figure planimetriche, “copiate e ridotte” sempre nel 1798, con spaccati degli edifici relativi ai 16 poderi e al palazzo di fattoria con case del vaccaio e della guardia, fornace, nuova chiesina e casa del Ponte in Cortona già di proprietà comunale; o anche delle Piante delle Fabbriche della Fattoria di Fonte a Ronco (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 322), 39 figure planimetriche, “copiate e ridotte” nello stesso anno, con spaccati, per il resto povere di riferimenti descrittivi, dei 23 poderi di Fonte a Ronco e dei 15 poderi del Pozzo, con la casa d’agenzia di Fonte a Ronco e gli altri edifici rurali per le guardie e le fornaci, con le abitazioni di Monte San Savino e Montagnano. Talora una sola casa ‘serve’ due poderi. Qualche volta, come ad esempio al Podere del Porto, compaiono annotazioni successive, nel caso precisamente del 1812, relative “ai lavori da farsi”; e infine delle Piante delle Fabbriche della Fattoria di Montecchio (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 323), 20 figure planimetriche, “copiate e ridotte” sempre del 1798, con spaccati degli edifici relativi ai 20 poderi e al palazzo di fattoria con granaio e tinaia, piaggione e mulino da olio, casa della guardia, due casette dei pigionali e fornace.
Compaiono presto, comunque, anche raffigurazioni che si connotano per le specifiche finalità progettuali, come ad esempio:
quella del 1800 relativa al fabbricato da erigere in Arezzo per essere adibito a stalla e granaio dell’Ordine: si veda la Pianta e facciata delle stalle e granai da fabbricarsi in Arezzo per la Religione di S. Stefano ordinata dal Nob. Sig. Amministr. Niccolò Gamurrini l’anno 1800 (in ASF, Miscellanea di Piante, nn. 450-451), rappresentante la planimetria e la veduta del fabbricato urbano da costruire, senza annotazioni descrittive di sorta.
Tale filone si fece più cospicuo a partire dal 1806, con le piante, i prospetti e le vedute della fabbrica della nuova fattoria del Pozzo, con le figure contemplanti la riduzione e l’ampliamento di edifici antichi ubicati nelle vie del Filo e degli Olmi (un corpo di immagini con progetto di trasformazione di alcuni edifici preesistenti in casa d’agenzia della nuova azienda stefaniana) (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 158/1-6); pure la Pianta geometrica della Fabbrica e annessi posta nel Comune di Tegoleto Comunità di Civitella, del 1808, riflette un progetto di ampliamento della casa d’agenzia per ricavare nuove abitazioni a servizio dei poderi del Giardino e del Palazzo (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 292.15).
All’inizio del 1800, Gugliantini comincia a cimentarsi pure nel rilievo topografico, come dimostrano le due mappe delle colmate della Mucchia (fattoria di Creti) e di Foiano, rispettivamente del 1802 e 1804, e cioè: lo schema planimetrico dal titolo Colmata della Mucchia nella Fattoria di Creti (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 143), o meglio ancora la topografia schematica raffigurante il recinto in progetto che avrebbe dovuto utilizzare le acque del Fiume Esse, dal titolo Pianta geometrica dell’attuale Colmata di Foiano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 170).
Il 22 luglio 1802, Gugliantini e Luigi Mazzoni furono incaricati di disegnare il catasto d’imposizione del circondario del fiume Salarco (Di Pietro, 2005, p. 143).
Numerose sono poi le relazioni e le perizie, talvolta corredate di disegni, relative ai lavori idraulici: si vedano, ad esempio, i due disegni topografici (Piante di corsi d'acqua in Valdichiana) eseguiti nel 1806 in collaborazione con l'ingegnere Luigi Maiani (in ASF, Miscellanea di Piante, n. 364); oppure la Memoria riguardante il Fiume Foenna per il Sig.re Giacomo Gugliantini Ingegnere dell’Insigne Ord.e di S. Stefano, del 7 febbraio 1807, in cui si relaziona minuziosamente sullo stato del corso d’acqua, su tutti i lavori fatti nel tempo e su quelli da farsi (cfr. ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 5269, Valdichiana. Pacco di Carteggi. Anno 1771-1816, ins. n.n.).
Sempre nel campo del rilievo topografico, si segnalano soprattutto le prime carte topografiche di alcune fattorie come Foiano (1805 e 1807), Montecchio (1806), Pozzo (1806 e 1807), Fonte a Ronco (1807) e Creti (figura non datata ma certamente coeva alle precedenti).
Per l’azienda di Foiano, si vedano la Pianta di una porzione di terreni attenente alla Tenuta di Foiano dell’Ordine di S. Stefano e la Pianta della Fattoria di Foiano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 173), due figure del 1805, ove si distinguono, con cromature diverse e con richiami alfabetici, i 14 poderi, le terre “a mano” o affidate ai mezzaioli e le terre allivellate, e finalmente le prata; la Pianta della Fattoria di Foiano nella Val di Chiana appartenente all’Insigne e Militar Ordine di S. Stefano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 171), del 1807, sempre in due figure topografiche di cui la prima a scala maggiore e quindi assai più accurata della fattoria, con identificazione e misura di ciascun appezzamento tramite richiamo numerico; la seconda è completata con la consueta simbologia e velatura cromatica della tradizione agrimensoria; infine, la Pianta della Fattoria di Foiano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 172), dello stesso anno, una topografia quasi identica alle precedenti con l’aggiunta, in legenda, della superficie aziendale (di 1325 quadrati) e dell’elenco dei 14 poderi e degli altri edifici aziendali (casa d’agenzia, della guardia e del ponte, del mezzaiolo, del fornaciaio, fornace, oratorio). Per Montecchio, la Pianta della Fattoria di Montecchio nella Val di Chiana dell’Insigne Militare Ordine di Santo Stefano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 219/1-4i), un corpo di figure del 1806 costituito da 6 piante della fattoria, di cui una in scala maggiore, che evidenziano il diverso uso del suolo con le dimensioni degli appezzamenti, in parte ancora palustri e a prato, con altre 5 piante della Paduletta da colmare e dei Prati di Montecchio.
Per la tenuta del Pozzo, sono da considerare le Piante, prospetti e vedute della fabbrica della nuova Fattoria del Pozzo con riduzione ed ampliamento di edifici antichi ubicati nelle vie del Filo e degli Olmi (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 158/1-6), un corpo di figure del 1806 con progetto di trasformazione di alcuni edifici preesistenti in casa d’agenzia della nuova fattoria stefaniana; e anche la Pianta della Tenuta addetta alla nuova Fattoria del Pozzo in Val di Chiana (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 266/1-2), del 1807, rappresentata in quattro piante a scale diverse che esprimono un linguaggio prettamente planimetrico: compaiono la colmata dell’Esse e, nella pianta 266/2, i richiami alfanumerici agli edifici e ai 16 poderi, compresa la nuova casa d’agenzia, per complessivi 1523 quadrati.
Fonte a Ronco è rappresentata invece nella Pianta della Tenuta addetta alla Fattoria di Font’a Ronco in Val di Chiana dell’Insigne Militare Ordine di Santo Stefano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 179), una topografia che raffigura accuratamente l’azienda, grazie anche al tradizionale linguaggio dei simboli e colori: domina il seminativo arborato sulle praterie a confine con le Comunanze della Chiana, realizzata sempre negli stessi anni.
Per la fattoria di Creti si vedano: la Pianta della nuova Fattoria di Creti della Religione di Santo Stefano (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 139), due figure coeve con indicazione di tutti i poderi, gli appezzamenti a prato e a bosco della fattoria ubicata tra la collina e il canale Maestro ed estesa 3291 quadrati; e la Pianta della Fattoria di Creti (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 141), identica alla precedente.
Vale la pena di sottolineare che da questi rilevamenti originali in grande scala (con dettagliata rappresentazione di tutti gli appezzamenti e delle relative destinazioni d’uso e superfici agrarie) deriveranno, per riduzione, le raffigurazioni planimetriche che affiancano le vedute dei centri aziendali nelle raccolte generali, o cabrei, del 1808 e del 1814.
A tal riguardo, corre obbligo di rilevare che questi cabrei furono senz’altro determinati dalla decisione imperiale del 1808 di sciogliere l’Ordine di S. Stefano. In quell’anno, infatti, Francesco Cambray Digny venne nominato ispettore dei beni di Santo Stefano e provvide, con l’ingegnere dell’Ordine Gugliantini, a redigere “un rapporto sullo stato dei beni” corredato dalle “piante di tutte le fattorie” e dai disegni prospettici dei centri aziendali.
Varie sono le redazioni finora conosciute dei cabrei del 1808 (poi aggiornati nel 1814, allorché le aziende passarono definitivamente al patrimonio granducale). Alcuni raffigurano solo le fattorie stefaniane, altri ‘ritraggono’ pure le antiche fattorie granducali. Allo stato attuale della ricerca, sono state individuate 4 raccolte complete:
il cabreo intitolato Beni dell’Imperatore Napoleone I, già dell’Ordine di Santo Stefano in Val di Chiana [Cabreo Della Stufa] del 1808, dove sono rappresentate le fattorie divenute nel frattempo otto (Montecchio, Creti, Bettolle, Badia, Foiano, Pozzo, Fonte a Ronco, Tegoleto), l’antico mulino dei Monaci sul Canale Maestro della Chiana, i due magazzini di Arezzo e del Ponte alla Nave, la “Casa di Rimessa” di Cortona e quella di Monte San Savino (è conservato, con rappresentazione delle sole fattorie chianine, al castello del Calcione della famiglia Della Stufa).
Il mulino dei Monaci si trova già in carte precedenti, come la Pianta delle fabbriche e annessi del Molino di Chiana appartenente all’Insigne Militar Ordine di S. Stefano Papa e Martire, Giovanni Franceschi, 1797 (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 106/1) e altra analoga figura di Jacopo Gugliantini, 1802-08 circa (Ivi, n. 106 e 106/2). Tre piante del grande complesso polifunzionale esistente vicino all’antica chiusa dei Monaci, con opificio molitorio a due palmenti e con frantoio da olio di semi, tintoria dei panni, gualchiera, bottega di fabbri, granaio, tinaia con cantina, fornace da mattoni e da calcina, cappella, abitazioni dei lavoranti già di proprietà dei monaci cassinensi della badia di Santa Flora e Lucilla di Arezzo, con le terre contigue, sono intitolate Mulino e terreni adiacenti alla Chiana dell’Ordine di S. Stefano, Jacopo Gugliantini, 1802 (Ivi, n. 107). Di poco successivo è l’abbozzo di pianta del complesso protoindustriale. Pianta delle Fabbriche e dei terreni del Mulino di Chiana, Jacopo Gugliantini, 1809 (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 3874, c. 402), ove si raffigurano planimetricamente, con disegno raffinato a china, il complesso industriale e i terreni circostanti, con precise annotazioni di ordine funzionale.
La raccolta sopra enunciata contiene anche una Pianta del corso delle acque delle Chiane dall’Arno fino in Paglia e Tevere – che non porta la firma del Gugliantini, il quale sicuramente la rielaborò ed aggiornò, utilizzando una base topografica, divenuta consueta, che risale agli anni ‘30 del XVIII secolo e resa celebre dalla memoria a stampa di Odoardo Corsini del 1742. E’ da notare che il cabreo Lotteringhi Della Stufa è corredato di una memoria introduttiva, evidentemente scritta dall’ingegnere stesso, sulle vicende della Valdichiana in generale ed in particolare sulle otto fattorie, che vengono descritte dettagliatamente (storia, modalità di gestione, rendite, abitazioni, natura e utilizzo del suolo, allevamento, ecc.).
Questa stessa raccolta di tavole si trova anche allegata ad un “rapporto” economico sui beni dell’Ordine di Santo Stefano, appena incamerati nel patrimonio della Corona, redatto ad Arezzo nel novembre 1808 dal commissario e ispettore imperiale Francesco De Cambray Digny (in BMF, Fondo De Cambray Digny, ms. 11, Rapporto sui beni dell’Ordine di S. Stefano in Val di Chiana del 1808). Vale la pena di segnalare che l’ingegnere Jacopo Gugliantini compare tra gli impiegati con stipendio annuo di lire toscane 1344; una cifra piuttosto bassa, se confrontata con quella degli agenti che erano retribuiti con almeno 2590 lire e fino ad un tetto di 3920 lire.
Una versione più tarda del cabreo, aggiornata al 1814, relativa questa volta all’intero patrimonio chianino (comprensivo anche delle antiche fattorie granducali) ormai unificato nelle mani del demanio statale, è conservata, invece, nel fondo delle Regie Possessioni (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 3874, cc. 180-197 e 398-432).
Un’altra versione, dello stesso anno, che abbraccia pure le altre 7 fattorie rimaste statali, ubicate in vari contesti spaziali toscani, si trova invece a Praga e porta il titolo "Memoria sopra le possessioni della Corona di Toscana compilata dall'attual Direttore di questa branca d'Amministrazione Antonio Brissoni lì 1 marzo 1814" (è in SUAP, RAT, Ferdinand III, ms. 11).
Numerose piante di singole fattorie dell’Ordine o ex stefaniane (in gran parte datate 1808), e in tutto analoghe a quelle già elencate, sono poi conservate nel fondo cartografico specifico delle Regie Possessioni. Per la nuova fattoria dell’Abbadia di Montepulciano si vedano: la Pianta della Fattoria dell’Abbadia in Val di Chiana dell’Insigne Militare Ordine di S. Stefano P. e M. (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 5), del 1808, una grande carta geometrica di tutta la fattoria con indicate le colmate fatte e da farsi, i poderi, le case, le strade, e i corsi d’acqua, con le misure dettagliate; la Pianta della fattoria dell’Abbadia in Val di Chiana dell’Insigne Militar Ordine di Santo Stefano Papa e Martire (Ivi, c. 5/1), dello stesso anno, molto più piccola della precedente, vi si indicano i terreni provenienti da altri poderi da riunire a questa fattoria; la Pianta della I. e R. Fattoria dell’Abbadia con porzione dei Beni addetti alla Fattoria di Bettolle. Estratta dai lucidi del Nuovo Catasto (Ivi, c. 5/2), degli anni ’20 del XIX secolo, di impianto catastale, ove si riportano tutte le particelle; la Pianta di Terreni che formano l’Imperial Fattoria dell’Abbadia in Val di Chiana (Ivi, c. 5/3), simile alla precedente e coeva, riporta anche tutte le misure dei poderi in un quadro a parte; infine, la Pianta della fattoria dell’Abbadia (Ivi, c. 5/4), quasi uguale alla precedente e coeva, però senza misure. Per la fattoria di Bettolle si dispone della Pianta della Fattoria di Bettolle dell’Ordine di S. Stefano (Ivi, n. 303), due figure non datate ma attribuibili al 1805-1808, di cui una allo stato di abbozzo, con indicazione dei poderi e dei 18 edifici colonici e d’agenzia esistenti, comprese la casa della guardia, della Fornace Vecchia, del Fosso a Cornio, della Cascina, della Fornace, per un totale di 1561 quadrati; la Pianta della Fattoria di Bettolle (Ivi, n. 37), una figura schematica del 1808, limitata alla strada da Montepulciano e agli edifici aziendali che compaiono a destra di essa; la Pianta della Fattoria di Bettolle in Val di Chiana dell’Insigne Militare Ordine di S. Stefano (Ivi, n. 39), una pianta dello stesso anno, in grande scala (con ciascun appezzamento accuratamente misurato, ma spoglio dei segni della tradizionale simbologia pittorica) che si trova riprodotta anche in scala ridotta (Ivi, n. 39/1), con l’usuale linguaggio pittorico-vedutistico. Per la fattoria di Creti, si veda la Pianta della Fattoria di Creti (Ivi, n. 142), una figura del 1808, a scala piuttosto grande, con ciascun appezzamento misurato, meno ‘rifinita’ sul piano pittorico di quella citata alla nota 30 (Ivi, n. 139). Tegoleto è raffigurata nella Pianta dei Poderi della Tenuta del Tegoleto nella Val di Chiana, del 1808 circa (Ivi, n. 293/1-2), composta da 4 figure della tenuta di recente creazione, che appare costituita da numerose terre spezzate, in parte a padule e pastura, organizzate in sei poderi, con le due nuove case dei poderi del Giardino e del Palazzo realizzate intorno alla casa d’agenzia.
Anche al servizio dell’amministrazione dei Beni della Corona, Gugliantini è autore di innumerevoli memorie e cartografie, quest’ultime relative soprattutto a poderi, fabbricati colonici e di fattoria, mulino della Chiana, edifici urbani collegato alla produzione aziendale, piccole colmate, strade rurali: tutte realtà dove si stava progettando o eseguendo una capillare mole di lavori di restauro, ingrandimento o nuova realizzazione, nel contesto di un progetto organico di valorizzazione delle risorse agricole e territoriali perseguito soprattutto a partire dall’avvio della “gran colmata” fossombroniana del 1787-89.
Per la cartografia poderale si vedano: la Pianta dei Poderi Secondo, Terzo e Quarto di Brolio apartenenti alla fattoria di Montecchio della religione di S. Stefano situati in detta collina di Brolio, del 1809 (Ivi, c. 51), non firmata ma, con molta probabilità del Gugliantini; la Pianta del Podere denominato la Casella posto nel Popolo di S. Pietro all’Abbadia Comune e Vicariato di Montepulciano; di attenenza dell’Imperiale e Reale Fattoria dell’Abbadia (Ivi, c. 3), anche questa non firmata ma quasi uguale alla successiva, anche se più accurata e dettagliata; la Pianta Geometrica del Podere della Casella nel Dipartimento dell’Ombrone, sotto Prefettura di Montepulciano, Circondario detto, posto nel Popolo e Cura dell’Abbadia, già di proprietà del Sig. Luigi Billi, oggi riunito all’Imperial Fattoria dell’Abbadia (Ivi, c. 4), firmata da Jacopo Gugliantini, del 1812; la Pianta dei due poderi di S. Pietro Vecchio all’Abbadia nel circondario di Montepulciano Dipartimento dell’Ombrone, provenienti dalla già Commenda Baratti, e oggi riuniti all’Imperial Corona (Ivi, c. 255) del 1812; la Pianta 18 del Podere di Oliveto situato a Ponente da Arezzo, e distante miglia 10 nel Popolo di Oliveto Sotto Prefettura di Arezzo, Dipartimento dell’Arno (Ivi, c. 26) e la Pianta 20 delle terre spezzate situate in diversi Popoli, nella Sotto Prefettura e Circondario di Arezzo, Dipartimento dell’Arno (Ivi, c. 26/1), ambedue del 1813, figure molto schematiche, disegnate con mano incerta, che riportano infatti anche il nome di Raimondo come “disegnatore”.
Per case coloniche e fattorie: i 19 disegni, in piante e sezioni, di case coloniche delle fattorie ex stefaniane (Ivi, cc. 322/22-322/40), datati 1812 e analoghi a quelli del 1798; il Disegno della nuova Fabbrica e Annessi che si propone di costruire per uso della Casa di Regia nell’Imperiale Fattoria dell’Abbadia in Val di Chiana (Ivi, c. 9), del 1811, dove, in un unico foglio troviamo prospetto, sezione e pianta dei due piani dell’edificio e dei “fondi” annessi, con allegati altri due esemplari molto simili (Ivi, cc. 9/1, 9/2, 6, 6/1, 6/2); il Taglio della Nuova fabbrica per uso di Regia, nell’Imperial fattoria dell’Abbadia in Val di Chiana (Ivi, cc. 9/3, 9/4, 6/3, 6/4), che rappresenta, in quattro figure quasi identiche, la sezione dell’edificio; la Pianta dei Fondi della nuova fabbrica dell’Imperial Fattoria dell’Abadia in Val di Chiana (Ivi, cc. 9/5, 6/5), in due esemplari molto simili.
Per gli opifici: la Pianta delle fabbriche e annessi del Molino di Chiana appartenente all’Insigne Militar Ordine di S. Stefano Papa e Martire (Ivi, n. 106 e 106/2) del 1802-08 circa (copia di una figura di Giovanni Franceschi del 1798 in Ivi, n. 106/1), che raffigura, in tre carte, il grande complesso polifunzionale esistente vicino all’antica chiusa dei Monaci, con opificio molitorio a due palmenti e con frantoio da olio di semi, tintoria dei panni, gualchiera, bottega di fabbri, granaio, tinaia con cantina, fornace da mattoni e da calcina, cappella, abitazioni dei lavoranti già di proprietà dei monaci cassinensi della badia di Santa Flora e Lucilla di Arezzo, con le terre contigue; il Mulino e terreni adiacenti alla Chiana dell’Ordine di S. Stefano (Ivi, n. 107), del 1802, un abbozzo di pianta del complesso protoindustriale; la Pianta delle Fabbriche e dei terreni del Mulino di Chiana (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 3874, c. 402), del 1809, in cui si raffigura planimetricamente, con disegno raffinato a china, il complesso industriale e i terreni circostanti, con precise annotazioni di ordine funzionale.
Per gli edifici urbani collegati alla produzione aziendale: le Piante delle Case poste in Cortona e a Monte S. Savino dell’Insigne Militar Ordine di Santo Stefano (ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 289), del 1804 circa, 4 planimetrie di edifici ubicati presso le mura urbane a Cortona e in piazza del Suffragio a Monte San Savino che servivano d’appoggio per le esigenze delle fattorie stefaniane; e Pianta e alzato della Casa posta in Arezzo appartenente alla Sacra Religione (Ivi, n. 25), del 1804, in cui si raffigura un edificio a quattro piani posto fra via Sacra e strada di Valle Lunga.
Per le colmate, si veda ad esempio: la Pianta del nuovo recinto da prepararsi per il Torrente Salcheto nei Beni della Real Fattoria di Acquaviva situati alla Bocca o Gronda del Chiaro di Montepulciano, nell’anno corrente 1815 (Ivi, c. 15).
Per le strade, ad esempio: la Pianta geometrica che dimostra il progetto di prolungamento dello stradone della Imperial e Reale Fattoria di Montecchio dalle Capannacce al Porto a Brolio per la comunicazione della Comunità di Castiglion Fiorentino e provincia adiacente a Foiano e alla Strada Senese, col confronto della Via Vecchia per la Collina di Brolio e dell’altra strada per la Fattoria del Pozzo (Ivi, cc. 228, 229), “fatta ed eseguita a Montecchio” da Raimondo Gugliantini il 1° febbraio 1816 e “riscontrata a Montecchio” da Jacopo Gugliantini il 10 febbraio 1816. Si tratta di una progetto, in due copie, che inquadra tutta la rete stradale del territorio in oggetto, con dettagliate annotazioni.
Gugliantini è pure autore di altre rappresentazioni relative ai patrimoni delle Commende dell’Ordine di Santo Stefano: nel giugno 1807, delle piante dei beni della Commenda di patronato Teri, consistenti “in due poderi situati nel comunello di Salutio, in comunità di Castelfocognano e Rassina, e in due case sulla piazza principale di Bibbiena”; e, nel marzo 1808, di quelle della Commenda Buratti, formata da due poderi posti nella Valdichiana senese, nel comune di Montepulciano. Relativamente alla prima, troviamo la Pianta prima dei terreni che formano i due poderi della Commenda ricaduta all’anzianità dell’Insigne Ordine di S. Stefano Papa e Martire situati nel comunello di Salutio, potesteria e comunità di Rassina, una “eccellente raffigurazione a colore e simbolo dei vari appezzamenti” dei poderi, corredata di una relazione dalla quale si evince che “la pianta è stata fatta […] nella faccia del luogo, con la nota alla mano dell’originaria fondazione, con gli estimi tanto antichi che moderni estratti in forma autentica dall’Archivio della Comunità di Rassina e con la traccia e guida degli indicatori pratici dei posti rispettivi, con l’intervento ancora della maggior parte dei possidenti limitrofi, chiamati a riconoscere nell’atto della misurazione i loro confini”; seguono poi la Pianta seconda degli appezzamenti di terra posti nel comunello di Salutio e sul Poggio dei Bagnacci nel popolo di Rassina e di S. Mama, addetti ai due poderi segnati nella prima pianta, la Pianta terza delle fabbriche poste in Tulliano nel comunello di Salutio e, infine, la Pianta quarta del piano terreno della casa di abitazione e della casetta annessa alla medesima, poste nella terra di Bibbiena (in ASP, Archivio dell’Ordine di S. Stefano, Zibaldone, n. 555, ins. 262).
Per la Commenda Buratti, il Gugliantini realizza quattro piante raffiguranti, “con estrema precisione rappresentativa”, mediante l’uso integrato del simbolo e del colore, numerosi appezzamenti e la planimetria di un edificio. Si tratta di: Piante dei due poderi di S. Pietro Vecchio all’Abbadia nella comunità di Montepulciano che il primo dell’Insigne Militare Ordine di S. Stefano e il secondo della Sig.ra Vincenza Buratti nei Tarugi e questo dato in permuta a detto Militare Ordine col podere delle Tre Berte nel popolo di Argiano in detta comunità, della Pianta degli appezzamenti di terra addetti ai due poderi di S. Pietro Vecchio all’Abbadia, comunità di Montepulciano, che uno della Religione di S. Stefano e l’altro della Sig.ra Vincenza Buratti ne’ Tarugi dato in permuta col podere delle Tre Berte alla data Religione; della Pianta del primo piano del palazzo situato nella città di Montepulciano e appartenente all’Insigne Militare Ordine di S. Stefano e della casa annessa che spettava alla Sig.ra Vincenza Buratti ne’ Tarugi; e infine della Pianta del podere delle Tre Berte nel comune di Argiano, comunità di Montepulciano dato in permuta dalla Religione di S. Stefano col secondo podere di S. Pietro Vecchio all’Abbadia in detta comunità, che apparteneva alla Sig.ra Vincenza Buratti ne’ Tarugi (tutte in ASP, Archivio dell’Ordine di S. Stefano, istrumenti di Fondazione, n. 1627, ins. 7).
Pure negli anni della dominazione francese (1808-1814), l’attività di Jacopo appare assai intensa. Essa non rimane circoscritta al contesto delle fattorie già stefaniane, incorporate nei beni della Corona, ma si allarga all’intero territorio della Valdichiana, fatto oggetto di molteplici interventi nei settori dei lavori pubblici di acque e strade.
Particolarmente impegnativa fu la progettazione e la ricostruzione della grandiosa pescaia o chiusa dei Monaci (da secoli situata alla confluenza nell’Arno del Canale Maestro della Chiana), cui attesero soprattutto il Gugliantini e in subordine il Manetti, con la collaborazione occasionale di altri periti, tra il 1809 e il 1811; tra l’altro, l’operato del Gugliantini venne molto elogiato dal direttore delle Acque di Valdichiana Andrea Nuti che dimostrò sempre una profonda stima per l’ingegnere aretino. In una lettera inviata dal Gugliantini a Andrea Nuti direttore delle Acque di Val di Chiana, si sollecita l’invio dei mezzi necessari per i lavori alla Chiusa. Nella Lettera scritta dal Direttore Brissoni all’Ingegnere Gugliantini, “Ingegnere dei Beni della Corona”, il 23 luglio 1810, si informa il tecnico che sono stati messi a disposizione dell’agente Cinelli della fattoria di Fonte a Ronco i fondi necessari per “incominciare i lavori ordinari alla Chiusa de’ Monaci”. Il 29 luglio 1810, il Gugliantini, insieme al Manetti “che assiste unitamente con me al detto lavoro”, informa il Nuti che è stato iniziato “il getto alla base della pescaia de’ Monaci, secondo il suo progetto”, ma che mancano ulteriori fondi per le opere necessarie. Pertanto, mentre il Manetti si recherà a Firenze per esporre il problema, il Gugliantini informa che resterà “alla direzione del proseguimento dell’opera, giacché per qualunque caso non conviene abbandonarla”, e dichiara: “sarò costantemente al lavoro fino alla sua totale ultimazione, a riguardo ancora di eseguire il suo piano coadiuvato anche dal Sig. Senator Fossombroni”. Il 2 agosto, il Gugliantini scrive al Fossombroni, “dal Mulino della Chiana”, che il lavoro “va avanti ottimamente e con celerità”; di tal cosa provvederà ad informare anche l’anziano notabile e perito aretino Angelo de’ Giudici. Il giorno 11 agosto, con un’altra lettera al Fossombroni, Gugliantini informa di avere “eseguito subito quanto m’impone col Sig. Angelo Giudici”, e che il lavoro alla chiusa per la parte del getto era terminato ma “l’accoltellato che serve di coperta al medesimo era giunto a un terzo”. Nel frattempo, a causa di una piena, i lavori sono fermi ma “si procurerà di cavare le acque […] per sollecitamente rimetter mano all’opera. Per quanto stamane ho potuto vedere e scandagliare col mezzo di una barca, con mio gran piacere non ho visto che le acque di detta piena abbiano cagionato danno alcuno al lavoro attuale […]. Può ella viver sicura del mio zelo e assidua assistenza all’esecuzione dell’opera suddetta premendomi assai che il tutto abbia quell’esito felice che ha sempre desiderato e desidera in tutti i suoi rapporti che la riguardano”. Sempre l’11 agosto, il Manetti scrive al Fossombroni che, non essendo più necessaria la sua presenza per i lavori alla Chiusa, farà ritorno a Firenze. Poi ragguaglierà dettagliatamente sullo stato dei lavori. Da una lettera di Andrea Nuti al Fossombroni del 12 agosto 1811 si evince che Gugliantini ha ben diretto i lavori di restauro della Pescaia dei Monaci e ora progetta il muro traverso al Canale Maestro per limitare l’impeto delle piene. Il 28 settembre, Gugliantini ragguaglia il Nuti dei danni occorsi ai lavori alla Chiusa in seguito ad una rovinosa piena. Egli fa una stima delle spese per riparare i danni e dei giorni occorrenti, affermando che “di tutto ciò ocularmente ne ho fatto l’esame sulla faccia del luogo e ho fatto assicurare quanto vi era rimasto in essere. Ho creduto preciso mio dovere di farle il dettaglio che sopra, affinché ella prenda quelle savie determinazioni che stimerà più proprie ed opportune” (ASA, Fondo Fossombroni, f. 7, Relazioni e Rappresentanze Pareri e Voti sulla Val di Chiana. Parte II. 1790-1813, ins. 2).
Dal 1816 Jacopo entrò a far parte della neoistituita Amministrazione Economico-Idraulica della Val di Chiana, creata per il proseguimento dei lavori di bonifica e per la gestione delle 12 fattorie demaniali ed ebbe come collega, fin dall'inizio, Alessandro Manetti: i due ingegneri, direttamente dipendenti dall'ente, ricoprivano contemporaneamente due cariche nell’amministrazione statale, operando anche presso il “Dipartimento delle Acque”.
Anche gli anni compresi tra il 1816 e il 1824 scandiscono una fervente attività del Gugliantini, dedito soprattutto:
alla progettazione ed esecuzione di colmate (utilizzando il fiume Foenna nel territorio di Montepulciano nel 1816 o il fiume Salcheto nella fattoria di Acquaviva nel 1818): si veda la Pianta che dimostra i recinti colmati e da colmarsi col fiume Foenna nei bassi e alti sciarti di Montepulciano e indica i terreni acquistati dai particolari compresi nell’attuale recinto e in quello da intraprendersi nelle Manzinaie e Pataie in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, n. 167/A), realizzata, in 4 copie, nel 1816, dal Gugliantini insieme con Luigi Mazzoni; e la Pianta della colmata del Salcheto nella R. Fat.ia di Acquaviva, del 1818 (Ivi, c. 14);
alla canalizzazione di vari corsi d’acqua: con la Pianta contenente la nuova direzione del corso d’Arno dal Masso di Vado sino al Ponte a Buriano con i lavori propri ad incanalare, e ritener le acque per la medesima, ed il Circondario dei terreni su cui debbon repartirsi le spese che occorrono per eseguirli e mantenerli (Ivi, c. 29/A), non datata, molto lunga, dettagliatissima, a firma del Gugliantini e di Francesco Focacci (“Pubblico Professore di Matematiche Pure e Applicate in Firenze”, occupatosi della parte relativa ai calcoli per le strutture portanti), con il tratto di fiume interessato ai lavori. In un'altra figura sono disegnate tutte le sezioni degli argini con le relative misure, a firma del Focacci (Ivi, c. 29/1). Altre due rappresentazioni sono dedicate a corsi d’acqua chianini: il Profilo longitudinale dei prati del Ramo di Montecchio per dedurre l’andamento che può avvenire alla Reglia dei Mulini come dalla Pianta annessa (Ivi, c. 225), un disegno schematico con tutte le misure, “fatto sul posto” nel 1820; e la Pianta geometrica che dimostra l’andamento attuale e il nuovo corso che può convenire alle Reglia dei Mulini, lungo le Praterie del Ramo di Montecchio (Ivi, c. 225/1), dello stesso anno;
alla confinazione e restituzione cartografica delle praterie esistenti lungo il Canale Maestro e tradizionalmente sottoposte ai diritti di pascolo delle popolazioni locali (e per tale ragione dette “comunanze”), che finirono però con l’essere annesse alle fattorie granducali: trattasi della Pianta geometrica delle praterie adiacenti a sinistra del Ramo di Montecchio per servire all’acquisto fatto dall’Imperiale e Reale Corona delle comunanze appartenenti alla comunità di Cortona (Ivi, c. 224), del 1820, una carta di grande formato; della Pianta delle praterie di Brolio spettanti all’Amministrazione della Corona in Val di Chiana (Ivi, c. 217), una carta molto lunga, del 1817, raffigurante le praterie delle comunanze, firmata da Jacopo e Raimondo Gugliantini (quest’ultimo in qualità di disegnatore); della Carta che dimostra il nuovo andamento del Canale di Montecchio sulla Prateria di Brolio in Val di Chiana (Ivi, c. 50), non datata; della Pianta Geometrica delle Comunanze spettanti alla Comunità di Arezzo a destra del Canal Maestro della Chiana, fatta nei giorni 31 Gennaio e P.mo febbraio 1822 (Ivi, c. 24/A), realizzata insieme a Luigi Romanelli “per ordine e commissione della Comunità d’Arezzo”, una figura molto lunga in cui sono indicate, con colori diversi, le “comunanze che vengono occupate dall’I. e R. Amministrazione Economico Idraulica”, con le relative misure; e, infine, della Pianta delle Comunanze spettanti al Comune di Arezzo a destra del canale maestro della Chiana (ASA, Piante sciolte provenienti dal Comune di Arezzo, n. 1), sempre dello stesso anno;
alla progettazione di nuovi appoderamenti con il corollario degli edifici colonici: si vedano il Disegno della pianta e prospetto della nuova casa e annessi del Podere primo di Lama sullo Stradone dell’I. e R. fattoria di Montecchio in Val di Chiana (ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni, n. 226), firmata anche da Tancredi Gugliantini come disegnatore nel 1822; la Pianta del Podere denominato le Vignacce posto nella Potesteria di Lucignano (Ivi, cc. 269 e 269/1), rilevata da Jacopo Gugliantini e copiata dal figlio Tancredi nel 1822; il Prospetto e Pianta della casa del Podere di Bugano che dimostra la riduzione che si progetta per il comodo dei granaj ove sono tutte le fosse dell’I. e R. Fattoria di Montecchio (Ivi, c. 55), quattro figure del 1823, fra alzato e piante, con l’indicazione dei lavori da farsi;
e finalmente alla “riduzione” o nuova costruzione di fabbricati di servizio ai centri aziendali: si veda il disegno della Pianta e Alzato per la nuova fabbrichetta e per l’altra di aumento che si propone di fare alla Palazzina dell’I. e R. Fattoria di Foiano in Val di Chiana nel modo indicato sul progetto del 29 marzo 1824 (Ivi, c. 175), figura con alzato e pianta, come di consueto; e Pianta della situazione della Palazzina ad uso di Agenzia dell’I. e R. Fattoria di Foiano e degli annessi che vi si propongono di aumentare (Ivi, c. 175/1), planimetria del 1824 che inquadra la palazzina, con i nuovi e i vecchi edifici, e i terreni circostanti.
Oltre alle piante, moltissime sono le relazioni, le stime e le perizie (con resoconti di pagamenti, controlli ai lavori, ecc.) sui lavori stradali e idraulici dati in accollo dall’amministrazione ai lavoratori cottimanti (fra i quali compaiono molto di frequente i capi muratori Angiolo e Giuseppe Bianchini) che portano la firma di Jacopo Gugliantini. Ad esempio, nel febbraio 1819, la relazione sui lavori da farsi per arginare un tratto del nuovo canale di Montecchio; oppure il “Riscontro dei lavori sulle Praterie di Brolio fatti dal Bianchini” nel luglio 1821 e il “Riscontro della misura del Canale di Montecchio, ultimo tronco eseguito nel 1822” (il 27 marzo) (ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, f. 817, Contrattazioni diverse carteggio e fogli relativi per non avvenute stipulazioni o separati dalle medesime, ins. 28).
Anche nell’Inventario dei Documenti e carte diverse, state rimesse questo dì 23 Gennaio 1817 dall’Ill.mo Sig. Cav. Niccolò Gamurrini, stato Direttore dell’Amministrazione dei beni della Corona in Val di Chiana all’Ill.mo Sig. Federigo Capei Aiuto di S. E. il Sig. Sop.te Generale di detta Amministrazione (Ivi, f. 5269, Valdichiana. Pacco di Carteggi. Anno 1771-1816), in occasione del passaggio alla nuova Amministrazione della Valdichiana, l’amministratore Gamurrini elenca tutta la serie delle carte (biglietti, lettere varie, contratti, memorie, ecc.) che passano al nuovo ufficio. Fra queste, con il n. d’ordine 21, si nominano due lettere dell’ing. Gugliantini, del 2 e 13 luglio 1816, “accluse alle quali si trovano n. 5 perizie riguardanti, che una la strada di Brolio presa in accollo dalla Fattoria di Montecchio per conto della Comunità di Castiglion Fiorentino […], l’altra la strada di Chiusi, che la fattoria di Dolciano tiene in accollo dalla Comunità di Chiusi […], l’altra per la surriferita strada, per quella porzione che la Regia Fattoria di Acqua Viva tiene in accollo dalla Comunità di Montepulciano […], l’altra che la fattoria di [Fonte a Ronco] tiene in accollo dalla Comunità del Monte S. Savino […], e finalmente l’altra che la Fattoria di [Tegoleto] tiene in accollo dalla Comunità di Civitella”.
Ciò nonostante, ad appena tre anni dall’incarico ottenuto nella nuova Amministrazione Economico-Idraulica, la fortuna del Gugliantini (probabilmente per problemi di convivenza col giovane ed emergente Alessandro Manetti) sembra in irrimediabile declino. Già in un rapporto trasmesso dal direttore dell’Amministrazione Federigo Capei al soprintendente generale Vittorio Fossombroni sull’operato di tutti i dipendenti, con proposte di cambiamenti di persone o mansioni, il direttore non manca di esprimere un parere sostanzialmente negativo sulla figura e l’operato dell’ingegnere aretino; in sostanza, l’amministratore arriva a chiederne la sostituzione, motivando l’istanza con gli altri incarichi statali che distoglievano necessariamente Jacopo dai lavori per l’Amministrazione, e con le non perfette condizioni di salute dello stesso ingegnere (ASF, Segreteria di Gabinetto, f. 164. Miscellanee XIX, ins. 3).
Infatti, nell’informare che il ruolo risultava sguarnito venendo a mancare Jacopo Gugliantini, “uno dei due ingegneri addetti a questa Amministrazione”, essendo “altrove destinato”, non manca di suggerire al superiore che egli, anche al fine di fare “economia nel ruolo”, avrebbe potuto essere rimpiazzato “con un semplice Aiuto d’Ingegnere, per cui può bastare la metà della paga”.
A sostegno della sua proposta, il Capei fa presente che la mancanza di un tecnico esiste anche quando il Gugliantini è presente, poiché “non molto è il servizio che, in parte per motivi di salute, e di abitudini, si ricava e si può ricavare dall’Ingegnere”. Pertanto, nel ruolo di aiuto, “considerando il bisogno che vi è di questo collaboratore”, il Capei consiglia di nominare, da subito, “il giovine Lorenzo Corsi di Firenze, figlio del defunto Segretario Corsi, il quale già da più di tre anni, fa con molto successo le sue pratiche sotto l’Ingegner Manetti” e viene, in qualche modo, già ricompensato dall’Amministrazione, “giacché, allorché egli opera in campagna insieme, o per conto e in vece dell’Ingegner Manetti, viene naturalmente a dovere essere alloggiato e nutrito nelle fattorie; e di poi per alcune operazioni non può a meno di considerarsi la sua opera, come appunto è stato necessario di fare per la misurazione delle comunanze acquistate dalle Comunità di Montepulciano, Cortona e Castiglion Fiorentino, operazione di cui non poteva occuparsi l’Ingegner Manetti d'altri più importanti e difficili lavori contemporaneamente incaricato e che non poteva attendersi dall’altro Ingegnere, la cui salute, anche come ho già accennato, non gli permette lo strapazzo della campagna”.
In un’altra nota si aggiunge poi che, durante le “non brevi” assenze del Manetti “per la Commissione della Strada della Spezia” e in occasione di un suo viaggio, “l’opera del Corsi è stata non solo utile, ma necessaria”.
La scarsa considerazione, almeno da parte del Capei, per il lavoro del Gugliantini – che viene addirittura definito allusivamente “ingegnere soltanto di nome” –, emerge anche dagli incarichi che gli vengono affidati nella nuova amministrazione. Si afferma, infatti, che “di undici fattorie, tre soltanto di quelle ove minore si richiede l’ispezione dell’arte, sono affidate alla cura del Gugliantini, cioè Frassineto, Montecchio e Creti. Tutte le altre che son traversate dai grandi influenti della Valle, l’Esse, la Foenna, il Salarco, il Salcheto, la Parce ecc., insieme con le Bozze di Chiusi con tutti i Circondari d’Imposizione per i fiumi e canali superiori, mantenimento delle strade principali, ecc., tutto è affidato all’ispezione dell’Ingegner Manetti. N’è più tempo oramai che la cura idraulica di questa Provincia possa esser rimessa nelle mani di semplici pratici, e d’Ingegneri soltanto di nome. Altroché la Valdichiana comprendeva molti terreni palustri, la scelta e la direzione delle bonificazioni dava poca pena, e poteva essere accennata in grande, ed affidata poi, come lo era, alle cure delli Agenti e pratici del luogo, di cui con delle semestrali visite passeggere, si verificava l’operato; ma oggimai ridotti sani quasi tutti i terreni all’intorno dei grandi influenti, non è più col nudo occhio, e con una passeggiata di poche ore che può determinarsi il progetto e l’andamento di una nuova buonificazione, perché si rischia di bonificare un luogo a scapito, non già di un prossimo terreno palustre, ma bensì di terreni più o meno coltivati e fertili”. Pertanto, si sostiene che per “l’esecuzione di queste delicate e importanti operazioni […] non possa impugnarsi l’utilità e necessità di dare all’Ingegner Manetti, ossia di aggiungere alla Direzione, nella branca dell’Ingegneri, quell’Aiuto che non può interamente ricavarsi dall’opera dell’altro Ingegnere [cioè il Gugliantini]. La paga per quest’Aiuto potrebbe esser frattanto determinata, come già ho avuto l’onore di accennare, in scudi 180 all’anno”.
Il Capei continua esprimendo il suo disappunto per la diminuzione della “provvisione dell’Ingegnere Manetti e dell’Ispettor Francioli […] dalle lire otto e sei alle lire sette e quattro, nelle loro diarie”, affermando che “tutto quello che l’Amministrazione può aver fatto di bene […] è dovuto alla cooperazione di questi due impiegati, ciascuno nella loro branca”; pertanto, chiede di riportare la diaria del Manetti a lire 8 e di stabilire a suo favore “un’annua somma o supplemento di paga in zecchini trenta da tener luogo di gratificazione per la formazione della Mappa del corso dei fiumi e canali colle relative livellazioni longitudinali e trasversali”.
E, ancora una volta, il Capei coglie l’occasione per sottolineare l’inadempienza del Gugliantini, affermando che tale lavoro, “assai delicato”, dovrebbe essere eseguito, come tutti gli altri, “di concerto ed insieme coll’altro Ingegnere [il Gugliantini]”, ma il Manetti è obbligato ad eseguirlo “per l’intero con l’aiuto del Giovine Corsi”; pertanto, si ritiene necessario un adeguato compenso, motivato anche dal fatto che, sempre secondo l’opinione del Capei, “delle piccolissime sedicentesi livellazioni, fatte per inezie, da sedicentesi Ingegneri e Matematici”, sono state nel passato lautamente pagate.
A ulteriore conferma di quanto detto, il Capei tira in ballo ancora una volta l’Ingegner Gugliantini, il quale – si dice – prima dell’istituzione della nuova Amministrazione, guadagnava “15 o 18 scudi al mese” ma si sa “per sua stessa confessione e per asserzione de’ suoi superiori [che] veniva realmente a guadagnare più di due mila scudi all’anno”, mentre adesso gli ingegneri, che prendono 30 scudi al mese, “potranno tra diarie e risparmi, stando in campagna, portare il loro guadagno a poco più di 600 scudi all’anno”. Dal momento che tutte le operazioni da ingegnere venivano pagate, il Capei asserisce che il Gugliantini faceva “più lavori per guadagnare di più, ed un tal sistema non era sicuramente adatto per condurre al risultato di ottenere operazioni esatte e precise”.
Dai documenti esaminati, sembra che gli ultimi lavori di Jacopo Gugliantini per l’Amministrazione della Val di Chiana siano il Disegno della Pianta e Alzato per la nuova fabbrichetta e per l’altra di aumento che si propone di fare alla Palazzina dell’I. e R. Fattoria di Foiano in Val di Chiana (ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni, c. 175) e la Pianta della situazione della Palazzina ad uso di Agenzia dell’I. e R. Fattoria di Foiano e degli annessi che vi si propongono di aumentare (ASF, Piante topografiche delle Regie Possessioni, c. 175/1), entrambi del 1824.
Per lo meno dal 1826 e per tutti gli anni ’30 del XIX secolo compare, infatti, con la qualifica di ingegnere dell’Amministrazione Economico-Idraulica della Val di Chiana, accanto all’ormai onnipotente Manetti, soltanto il fido allievo Lorenzo Corsi che firma diversi progetti e relazioni già dal 1818 (in ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni, nn. 175 e 175/1).
Da questo silenzio si deve, quindi, arguire che Jacopo sia stato estromesso, o per licenziamento o per pensionamento, dal ruolo dell’amministrazione.
Nel 1826, troviamo, per l’ultima volta, la firma di Jacopo Gugliantini come disegnatore della Pianta topografica e veduta geometrica della Città di Firenze, lavoro diretto da Giorgio Angiolini, inciso da B. Rosaspina e stampato presso Lorenzo Bardi, editore fiorentino. La figura (d’impostazione planimetrica, dotata di veduta frontale) è dedicata al granduca Leopoldo II e alla consorte M. Carolina, raffigurati in un medaglione retto dal vecchio Arno e posto in basso a destra (è conservata in BNCF, Nuove Accessioni, cartella VII, n. 70 e in AMFCE, 44. Cfr. Mori e Boffito, 1923).
Dopo questa data, Jacopo e gli altri Gugliantini sembrano sparire nel nulla, non solo come tecnici, ma anche come cittadini di Arezzo e del suo contado. Sfogliando, infatti, i dati del censimento nominativo del 1841, essi non compaiono più tra i residenti nella città di Arezzo (unico residuo della ‘dinastia’ risulta, nella parrocchia di S. Domenico, la famiglia del benestante Gugliantini Giovanni di anni 44, quindi nato nel 1796-97, di professione computista, con moglie, due figli studenti e serva), né nelle comunità dell’Aretino, a partire da Foiano, Cortona, e Monte San Savino (ASF, Stato Civile di Toscana. Censimento nominativo del 1841. Comunità di Arezzo, Foiano, Cortona e Monte San Savino).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Mori e Boffito, 1923; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 68-69, 332 e 357-358; Barsanti, 1991, pp. 229-234; Rombai e Torchia, 1994, p. 167; Rombai, 1997, p. 127; Guarducci, 2001, passim; Di Pietro, 2005, p. 143; ASF, Piante topografiche dello Scrittoio delle Regie Possessioni; ASF, Miscellanea di Piante; ASF, Segreteria di Gabinetto; ASF, Stato Civile di Toscana; ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni; AMFCE; BMF, Fondo De Cambray Digny; ASP, Archivio dell’Ordine di S. Stefano; ASA, Fondo Fossombroni; ASA, Piante sciolte provenienti dal Comune di Arezzo; SUAP, RAT, Ferdinand III.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Grazzini, Marco

Marco Grazzini
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Contemporaneo e molto probabilmente parente di Giovanni, anche lui, come gli altri due Grazzini si occupò di progetti inerenti la costruzione di saline.

Produzione scientifica:
Ad un certo Grazzini Marco vengono attribuiti i disegni dei Beni dell’Ordine di S. Stefano in Valdelsa (Fattoria Il Pino), eseguiti nel 1777 (Bonelli Conenna, Brilli e Cantelli, 2004, pp. 53-59).
E’ autore il 26 novembre 1806 di un progetto con pianta redatto per costruire al Campese nell’isola del Giglio “un corpo di saline alla trapanese” (ISCAG, E 758); nel 1807 della planimetria con alzato della Torre di Ansedonia o di San Biagio (ISCAG, F 1245); e nel 1811 dell’edifico della Gran Caserma di Orbetello (ISCAG, E 705/a).

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Principe, 1988, pp. 118, 124 e 155; Bonelli Conenna, Brilli e Cantelli, 2004, pp. 53-59; ISCAG.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Anna Guarducci

Grazzini, Giovanni

Giovanni Grazzini
N.
M.

Relazioni di parentela: Probabilmente figlio di Ferdinando Maria

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere

Biografia:

Produzione scientifica:
Anche lui, come gli altri due Grazzini, si occupò di progetti inerenti la costruzione di saline.
Giovanni Grazzini fece parte dell’équipe di ingegneri (Masini, Montucci, Veraci, ecc.) che nel 1758-59 affiancò Leonardo Ximenes nella visita e nei rilevamenti nella pianura di Grosseto (Barsanti e Rombai, 1986, p. 122).
Alla fine del XVIII secolo operava come ingegnere dello Scrittoio delle Regie Fabbriche a Portoferraio; nel 1805 era impiegato per lo Scrittoio delle Regie Fabbriche sempre ad Orbetello.
Si interessò alle saline dell'isola del Giglio, dell'Elba e di Castiglione della Pescaia.
E’ autore del progetto della seconda metà del XVIII secolo di una planimetria con alzati per la costruzione di un fortino sul Poggio della Scoperta dell’isola di Giannutri (ISCAG, F 757).

Produzione di cartografia manoscritta:
Piante di Saline da realizzarsi all'Isola del Giglio (un disegno) e all'Isola d'Elba (presso Portoferraio, in 3 disegni), seconda metà del XVIII secolo (ASF, Miscellanea di Piante, nn. 121 e 222-222b);
Pianta di una porzione della pineta costiera comunitativa di Orbetello che deve essere venduta, 1807 (Orbetello) (ASGr, Ufficio dei Fossi, n. 611, cc. 393v-394r, sc. 267);

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Cresti e Zangheri, 1978, p. 120; Barsanti e Rombai, 1986, p. 122; Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 117 e 162; Principe, 1988, p. 127; Barsanti, Bonelli Conenna e Rombai, 2001, p. 85; ASF, Miscellanea di Piante; ASGr, Ufficio dei Fossi; ISCAG.

Rimandi ad altre schede: G.

Autore della scheda:

Grazzini, Ferdinando Maria

Ferdinando Maria Grazzini
N.
M.

Relazioni di parentela: Probabilmente padre di Giovanni

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Ingegnere

Biografia:

Produzione scientifica:
Anche lui, come gli altri due Grazzini (Giovanni e M.) si occupò di progetti inerenti la costruzione di saline.
Nel 1758-59 fece parte del gruppo di collaboratori (con Fortini, Veraci, Montucci e Masini) di Leonardo Ximenes nella visita idraulica della Pianura grossetana e castiglionese, con effettuazione anche di lavori ai fossi e al porto di Castiglione.
Grazzini stese il progetto (corredato da pianta) di costruzione delle nuove saline alle Marze di Castiglione (ASF, Miscellanea di Finanze A, f. 108, doc. 35 per la relazione, e ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche, V, n. 16 per la pianta) (Barsanti, 1984, p. 112), e – tra il 1758 e il 1761 – progettò e seguì l’edificazione del Palazzo delle Marze presso Castiglione della Pescaia, che doveva servire “per abitazione dei Ministri delle nuove Saline”.
Intorno al 1766, disegnò una planimetria parziale di Portoferraio.
Dalla visita effettuata dal granduca Pietro Leopoldo alle saline di Portoferraio scaturì l’ordine di potenziare quell’impianto statale: così, nel 1766 l’ingegnere Ferdinando Maria Grazzini redasse il progetto di quattro nuovi corpi di saline all’uso trapanese, con l’inserimento dell’impianto in una precisa rappresentazione dell’intera cittadina elbana, la Pianta della Piazza di Portoferraio e porzione di Campagna del Territorio medesimo, suo Golfo Saline Vecchie e Nuove (in ISCAG), progetto che venne portato a termine dal probabile figlio Giovanni qualche anno dopo.

Produzione di cartografia manoscritta:
Pianta della Piazza di Portoferraio e porzione di Campagna del Territorio medesimo, suo Golfo Saline Vecchie e Nuove, 1766 (ISCAG).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Barsanti e Rombai, 1986, p. 122; Principe, 1988, pp. 105 e 164; Riparbelli, 1989, p. 107; ASF, Miscellanea di Finanze A; ASF, Scrittoio delle Regie Fabbriche; ISCAG.

Rimandi ad altre schede: G.

Autore della scheda:

Grandi, Guido Francesco Lodovico

Guido Francesco Lodovico Grandi
N. Cremona 10 ottobre 1671
M. Pisa 4 luglio 1742

Relazioni di parentela: Nato da Pietro Martire, un modesto ricamatore in oro, e Caterina Legati

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:

Produzione scientifica:
Sul piano culturale, Grandi – con il suo carattere vivace, la sua vena polemica e la sua sferzante ironia – “svolse una funzione determinante in Toscana e in Italia nel collegamento fra pensiero scientifico galileiano e cultura europea, fra sperimentalismo ed illuminismo”, tanto da essere accolto su proposta di Newton nella prestigiosa Royal Society di Londra. Egli è “difficilmente classificabile in una specializzazione tecnica precisa in quanto a lasciato tracce profonde in campo matematico, fisico, idraulico, filosofico, storico, ecclesiastico e letterario con le sue più di ottanta pubblicazioni e tantissimi manoscritti”.
Già nel 1707 ottenne il riconoscimento di matematico del Granducato, e posto a sovrintendere alle acque toscane, egli “formò un proprio gruppo di allievi presto divenuti validissimi ingegneri quasi tutti strutturati”, seppure a vario titolo, nell’amministrazione medicea e soprattutto lorenese di Toscana, tra i quali spiccano i nomi di Filippo Santini e Tommaso Perelli (Barsanti, 1994, p. 69).
Fu autore di innumerevoli pareri e memorie, scritti anche per perizie prestate al servizio di privati: alcune pubblicate, ben sette, nella Raccolta d’autori che trattano del moto dell’acque (edita a Firenze nel 1723, II, pp. 435-713, con la sua collaborazione; altre memorie vennero pubblicate nell’edizione successiva della Raccolta, quella di Bologna del 1821-1826, IV, pp. 5-310).
A queste perizie su aree del Granducato e della Repubblica di Lucca, si unirono relazioni sulla vexata quaestio della regolazione del fiume Reno (BUP, Mss., 36-41).
Ci limitiamo qui agli impegni territorialistici di maggiore rilievo dello scienziato svolti per l’amministrazione granducale o per altri Stati e privati.
Pare nello stesso anno 1707, Grandi, contro l’opinione di Eustachio Manfredi, “ebbe a censurare severamente l’inconsulto sistema di deviare in colmata tutti i torrenti del Canale Maestro delle Chiane, e di tenere questo canale chiuso con la pescaia de’ Monaci” (Di Pietro, 2005, p. 112).
Nella primavera del 1714 fu richiesto di un parere circa l’aggrovigliata causa del progetto di edificazione, da parte del marchese Niccolini, di un nuovo mulino sull’Era nella zona di Ponsacco, previa costruzione di una pescaia di derivazione delle acque fluviali, opera contestata dall’altro grande proprietario circostante, il marchese Riccardi: lo Stato e le parti in causa ricorsero a periti di gran nome, come gli ingegneri granducali Pier Antonio Tosi e Michele Gori e il matematico bolognese Eustachio Manfredi. Grandi dimostrò che la costruzione della pescaia “avrebbe finito per determinare l’allagamento in tempo di piena dei terreni superiori ed ostacolato lo scolo di tutta la campagna adiacente”. Successivamente, nel mese di giugno dello stesso anno, dopo altri accurati sopralluoghi e scandagli dell’alveo, suggerì ai giudici di “non voler permettere novità alcuna” all’assetto idraulico; e finalmente, agli inizi del 1715, tornò puntigliosamente a demolire le ragioni dei Niccolini avvalorate da una perizia del bolognese Geminiano Rondelli, tanto che il governo decise di negare qualsiasi autorizzazione alla costruzione della pescaia e del mulino (Barsanti, 1994, pp. 71-72).
Intanto, per ordine del Magistrato di Sanità, nel luglio 1714 Grandi era stato incaricato di visitare – in compagnia del capitano Giuseppe Santini – la pianura costiera fra Arno e Serchio per individuare le cause degli impaludamenti ivi presenti. Scoprì che il ristagno diffuso delle acque era causato non solo dalla naturale depressione dell’area, ma anche dall’incuria dei proprietari e dalla negligenza dell’Ufficio Fiumi e Fossi di Pisa, se è vero che scoli e fiumi apparivano “tutti ricolmi di terra e cannuccia” e molti corsi d’acqua addirittura ingombrati da argini e paratie abusivi per la pesca (Barsanti, 1994, p. 73).
Nel settembre dello stesso anno – nell’ambito del problema della rotta prodotta dal fiume Egola fra San Miniato e Ponte a Egola – Grandi propose ai Capitani di Parte di costruire un alto argine rinforzato con pignoni “di sasso grosso della Gonfolina”, ma tale suggerimento non fu accettato, e nel dicembre 1723 il matematico dovette occuparsi nuovamente della questione dell’allagamento prodotto dal corso d’acqua; insieme all’allievo Filippo Santini, figlio del capitano Giuseppe, disegnò una mappa dell’area e invitò i proprietari ad effettuare il raddrizzamento del fiume secondo un vecchio progetto degli ingegneri Pier Antonio Tosi e Giovanni Franchi, o quanto meno il rifacimento del meandro e la sua accurata manutenzione (Barsanti, 1994, p. 73).
Nel dicembre 1714, Grandi fu chiamato come perito per una causa prodotta da interventi edilizi a Pisa fra l’Ordine di S. Stefano e il Monte di Pietà cittadino (Barsanti, 1994, p. 73).
Nel 1715, e precisamente nel mese di gennaio, su ordine del granduca, il nostro scienziato ispezionò il ponte a due luci sul fosso della Vicinaia fra Pisa e San Giuliano, per il quale il grande proprietario fondiario dell’area, il duca di Massa e Carrara, aveva progettato il rifacimento ad un solo arco: Grandi autorizzò tale intervento in una memoria corredata “tre piccoli splendidi disegni” (Barsanti, 1994, p. 74).
Nel mese di marzo, Grandi visitò la pianura meridionale pisana – insieme con il soprintendente delle fattorie di Santo Stefano Lippi, con il sotto provveditore dell’Ufficio Fiumi e Fossi di Pisa Venturi e con l’ingegnere Giovanni Franchi – per osservare le colmate del torrente Isola nei paduli di Guinceri e Ghimerla e del torrente Tora nell’area della Risaia: per far meglio defluire le acque chiarificate, venne decisa la generale riescavazione di fossi e canali dell’intero territorio fino a Livorno e alle sue colline (Barsanti, 1994, p. 74).
Nel mese di aprile, il matematico – con l’auditore di Siena Sozzifanti, il provveditore dei Quattro Conservatori Cennni e il sotto provveditore dei Capitani di Parte Nardi – fu inviato a prendere visione della Maremma Grossetana, specialmente per valutare se il Secondo Navigante in corso di escavazione nell’area acquitrinosa fra Castiglione della Pescaia e Grosseto su progetto dell’ingegnere Giuliano Ciaccheri dovesse essere completato o meno: dopo sopralluoghi, misurazioni, livellazioni e rilevamento di una pianta d’insieme, la deputazione – con l’autorità scientifica di Grandi – rendicontava il 16 aprile da Siena al sovrano lo stato di disordine in cui versava il territorio per colpa degli appaltatori della pesca del lago-padule che addirittura – per trattenere il pesce – avevano chiuso cinque delle sei cateratte di deflusso in mare della zona umida, e consigliavano di completare il nuovo canale navigabile; invece, riguardo ai propositi di colmata del lago-padule con le acque dell’Ombrone, Grandi (richiamandosi a Galileo e ai galileiani) non esitò ad esprimere la sua contrarietà all’eliminazione totale di laghi e paduli, “perché qualche ricettacolo d’acqua era necessario di mantenersi: bensì conveniva invigilare che non si estendesse più del dovere”. Infine, con altra memoria del 29 giugno, si ribadiva l’utilità dell’ultimazione del Navigante, “per la comodità della navigazione, il rasciugamento dei terreni e il raffreddamento più stabile delle acque del lago tra i suoi argini, perché restasse regolato l’esito delle medesime alle Bocchette” (Barsanti, 1994, pp. 74-75).
Se l’attenzione per la Maremma fu occasionale e tutto sommato spazialmente circoscritta, ben più duraturo si rivelò l’interesse di Grandi per la bonifica del Padule di Fucecchio in Valdinievole. Già nel maggio 1715 fu incaricato dal marchese Francesco Feroni, proprietario della fattoria ex granducale di Bellavista, di verificare se le colmate da tempo in atto nelle adiacenti fattorie medicee di Ponte a Cappiano, Altopascio, Stabbia, Castelmartini e Terzo erano da ritenersi responsabili del crescente disordine idrografico in cui versavano i terreni più bassi di Bellavista. Al riguardo, lo scienziato sentenziò che – a causa della continua diminuzione dell’invaso lacustre-palustre per effetto della bonifica e della colonizzazione – “la natura non vuole essere ingannata, né sopraffatta dall’umana industria, essa sa farsi ragione da sé cercando di trovare altrove lo spazio perduto”, appunto con l’impaludamento di aree prima asciutte; di conseguenza, il Nostro avvertiva che la fattoria di Bellavista in ogni caso doveva essere nuovamente ricolmata, e più in generale le colmate – anziché continuare a restringere in modo disordinato il cuore residuo della zona umida – avrebbero dovuto recuperare i terreni “delle gronde”, ovvero le aree circostanti non ancora bonificate, con il procedere in modo ordinato, rialzando cioè prima i terreni superiori e poi gradualmente quelli inferiori per non creare ostacoli allo scorrimento delle acque (Barsanti, 1994, p. 76).
Di fronte alle critiche rivolte a Grandi dai difensori delle scriteriate bonifiche granducali, lo scienziato dovette tornare più volte, coraggiosamente, e con maggiori argomentazioni sulla questione. Anche nel febbraio 1717 polemizzò con le tesi degli ingegneri granducali Franchi e Boncinelli finalizzate ad una più approfondita canalizzazione del comprensorio del Padule, tornando a sostenere invece – con appoggio su memorie secentesche di tecnici quali Santini e Del Bianco, Giamberti e Cecchi – sia la necessità di un regolare rialzamento del piano di campagna del territorio agricolo da perseguire con un graduale programma di colmate, e sia l’esigenza di salvaguardare il lago residuo e di mantenerlo ricco d’acque per la salubrità dell’aria e per la sicurezza degli abitati del Valdarno di Sotto.
In effetti, ovunque egli si applicò alla trasformazione e gestione dei comprensori umidi, Grandi non volle “punto concorrere al disfare affatto il padule di Fucecchio – come qualsiasi altro lago-padule – perché se i laghi fossero venuti a mancare, sarebbe bisognato con arte scavare de’ nuovi”, e perché poi per legge di natura asciugato un padule ne scaturiva un altro come le teste dell’idra di Lerna tagliate da Ercole. Queste ferme e lungimiranti valutazioni furono ribadite in un’altra relazione dell’aprile 1718, quando tornò a misurare e rilevare tutto l’invaso palustre di Fucecchio con un moderno livello a doppio cannocchiale e a disegnarne una carta d’insieme con l’ingegnere e cavaliere stefaniano Carlo Giuseppe De Segnis, dalla quale operazione di livellazione trovò sicura conferma che il piano di campagna di Bellavista era inferiore a quello della zona umida (Barsanti, 1994, p. 77).
Questa precisa Pianta della Fattoria di Bellavista, e altre dimostrazioni fatte nel Padule di Fucecchio dall’Interessati (edita nell’opera Relazione delle operazioni fatte circa il Padule di Fucecchio, in Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Firenze, Cambiagi, vol. VII, 1770, pp. 178-193), frutto di regolari operazioni metriche, rappresenta il prodotto cartografico migliore del Grandi (Gabellini, 1987, p. 150).
Mentre lavorava al padule di Fucecchio non vennero meno le altre commissioni. Basti dire che tra luglio e novembre 1715 dovette nuovamente occuparsi – insieme ai due ingegneri Santini padre e figlio – della questione dell’Era, prima per il cambio d’alveo proposto dal marchese Niccolini, e poi per realizzare un puntone ed altre opere di difesa in località Casone-La Cava presso la confluenza del torrente Roglio (Barsanti, 2004, pp. 77-78).
Nell’aprile 1716 riprese la visita della campagna meridionale pisana. Nell’area compresa fra il Fosso Reale e le colline dell’Era, i torrenti Isola, Tora, Orcina e Crespina che la solcavano trasportavano quantità ingenti di depositi solidi, per cui lo scienziato si convinse che l’unico rimedio per mantenere in equilibrio il sistema idraulico era quello di estendere le colmate in corso alla Lavoria di Collesalvetti, alla Risaia e al padule di Guinceri (Barsanti, 1994, p. 78).
Dal 6 al 31 ottobre 1716, Grandi fu coinvolto nella questione del Reno e della Romagna: con gli ingegneri Giuseppe Rossi, Romualdo Valeriani, Eustachio e Gabriello Manfredi venne nominato perito di parte pontificia, con il contrasto esistente fra le due città di Bologna e Ferrara, in una visita nel Ferrarese per stabilire le trasformazioni ivi intervenute dal 1693 (visita dei cardinali D’Adda e Barberini), e stabilire se fosse o meno profittevole indirizzare un corso d’acqua rovinoso per il suo regime torrentizio come il Reno nel Po Grande, come da molti proposto. La visita all’ampio territorio fra il delta del Po e le colline romagnole fu assai meticolosa, non mancando i periti “di fare sul campo di giorno il maggior numero possibile di profili, sezioni, schizzi, disegni e livellazioni poi accuratamente completati la sera in albergo”.
Le numerose lettere e memorie con i profili delle livellazioni redatti da Grandi costituirono la documentazione su cui la commissione arrivò a proporre l’immissione del Reno nel Po Grande mediante un nuovo canale diversivo che avrebbe dovuto consentire la stabile regimazione della pianura, il potenziamento della navigazione interna, il recupero agricolo di molti terreni infrigiditi e l’alimentazione di tanti mulini. I risultati furono discussi a Roma l’anno successivo, ma l’opposizione della città di Ferrara e di altri centri padani impedì alla Sacra Congregazione Pontificia delle Acque di approvare l’opera.
Ciò nonostante, l’attenzione di Grandi per la Romagna non venne meno. Nel 1718 si interessò ai problemi dei fiumi del Ravennate, e nell’ottobre 1719 fu ancora perito pontificio in una nuova visita al Reno e al Po che, con intervalli, si protrasse fino al maggio 1721 con altri tecnici (il fido Filippo Santini e l’amico C. Galiani, l’imperiale I. G. Marinoni, i fratelli bolognesi Manfredi, i mantovani Giovanni Ceva e D. Moscatelli Battaglia, il modenese D. Corradi, il veneto Bernardino Zendrini), a causa delle capillari misurazioni e livellazioni e delle piante da fare lungo il corso del Po da Pavia al mare e nel territorio del Polesine. Ma ancora una volta questa immane fatica scientifica non trovò l’accordo degli Stati interessati (Barsanti, 1994, pp. 78-80).
Tornato in Toscana dopo l’impegnativa esperienza romagnola, nel 1721 Grandi studiò la bonifica del comprensorio umido costiero di Porta o Beltrame presso Pietrasanta. Fra il novembre 1722 e l’ottobre 1724 si recò più volte (con gli ingegneri Gabrielli, Giannetti e Veraci) a visitare il Serchio fra Barga e Gallicano, per cercare di risolvere la disputa relativa ai lavori di difesa fluviale fatti dai toscani e contestati dai lucchesi; nell’occasione, venne disegnata una mappa dell’area a seguito di attente misurazioni e livellazioni (Barsanti, 1994, p. 84).
Dopo il 1723-24, l’attività idrometrica di Grandi sembra interrompersi per vari anni.
All’inizio del 1727, lo scienziato si disse contrario alla costruzione di un mulino nell’Albereta dell’Anconella a Firenze, perché il canale di derivazione delle acque era “pericoloso e fallace e contrario alle stabili leggi della natura”, essendo la ripa d’Arno già debole e soggetta a corrosioni ed esondazioni provocate dalla vicina pescaia di Rovezzano (Barsanti, 1994, p. 84). Nell’ottobre dello stesso anno venne incaricato di un parere sul torrente Fraga non lontano da Ponte a Moriano (Lucchesia), da secoli utilizzato per rifornire di acque – con derivazioni anche illecite – mulini e ville signorili (Barsanti, 1994, pp. 84-85).
Nel marzo 1728, Grandi si occupò della controversia esplosa fra i signori Boscaini e Magagnini circa la presa d’acqua di due mulini del Pisano, ed effettuò una visita a Livorno (con Filippo Santini) per verificare l’insabbiamento del porto che varie macchine escavatrici a tenaglia e a cucchiara cercavano di impedire. Nell’occasione, per bloccare le sabbie portate dai marosi, suggerì di costruire una scogliera dalla Torre del Marzocco all’imboccatura del porto e fece eseguire vari disegni e una pianta di Livorno (Barsanti, 1994, p. 85).
Dal 1729, Grandi fu nuovamente in Romagna come matematico pontificio: ebbe due incontri sulla questione Reno-Po a Faenza, divisi da una nuova visita all’area con tanto di misurazioni e piante, effettuata con I. G. Marinoni, Bernardino Zendrini, Eustachio Manfredi e Giovanni Ceva; ma ancora una volta la sua proposta di immettere il Reno e parte del ramo principale del Po in un nuovo diversivo da condurre nel Po di Volano fu respinta anche per la violenta opposizione di Ceva (DBI, ad vocem).
Tra il 1730 e il 1735, tornò al servizio del marchese Feroni per l’interminabile causa di Bellavista; l’escavazione del canale di derivazione delle acque – a fini di colmata – dal fiume Pescia di Pescia aveva incontrato l’opposizione degli altri proprietari dell’area, e lo scienziato fu incaricato di spiegare ai privati l’infondatezza delle loro preoccupazioni circa possibili future esondazioni nei loro terreni agricoli.
Con tre relazioni dei primi anni ‘30 e con l’avallo tecnico del solito Filippo Santini infine poté sentenziare che la bonifica del Feroni era stata effettuata a regola d’arte. Ma le conseguenze negative di colmate fatte in modo poco regolato non tardarono a manifestarsi, tanto che nel 1735 Grandi dovette prendere atto della realtà problematica e suggerire di riportare – dopo la Pescia – anche la Nievole nel suo letto antico (Barsanti, 1994, pp. 87-88).
Nel novembre 1734, si occupò dell’idea della Comunità di Sinalunga in Valdichiana di aprire un canale per far defluire le acque stagnanti dei Prati e per dare maggiore pendenza alla gora del mulino comunale di Monte Martino azionato dalla Foenna (di cui si erano già occupati Giuliano Ciaccheri alla fine del XVII secolo e Raffaello Nardi e Giovanni Franchi nel 1713). Grandi visitò l’area insieme agli ingegneri Luigi Orlandi e Pier Antonio Montucci e optò per il progetto steso nel febbraio di quello stesso anno da Filippo Santini, di costruire un fosso sottopassante la Foenna per scaricare le Acque nel Canale Maestro. L’Ordine di Santo Stefano chiese un parere su tale progetto ad Eustachio Manfredi che, con una relazione del giugno 1736, concordò con la proposta di Santini e Grandi e l’opera poté essere allora realizzata (Barsanti, 1994, p. 89).
Nel settembre 1735, fu richiesto di un parere dai grandi proprietari dell’area circa il “rimedio migliore per utilità, durabilità e dispendio” sulla sistemazione dell’emissario Usciana del padule di Fucecchio che era solito esondare le campagne. Un problema annoso che – nonostante le proposte degli ingegneri Giuliano Ciaccheri del 1675 e Pier Antonio Tosi e Ignazio Rossi del 1730 – non era mai stato risolto. Pochi mesi prima, anche Giovanni Veraci aveva consigliato di scavare un apposito fosso maestro di raccolta delle acque della pianura. Grandi, dopo aver esaminato tutte queste memorie, optò per l’antifosso ideato da Ciaccheri, da realizzare parallelo all’Usciana, apportandovi alcune correzioni circa lo sbocco in Arno (Barsanti, 1994, pp. 88-89).
Nell’aprile 1736, il priore della chiesa della Compagnia del S. Crocifisso di Pontasserchio gli chiese se convenisse demolire e poi ricostruire ex novo – come voleva l’ingegnere Giuseppe Maria Forasassi – oppure se restaurare – come consigliava Filippo Santini – l’edificio religioso che minacciava di crollare. Lo scienziato visitò il fabbricato e progettò il suo consolidamento con quattro pilastri esterni a forma di barbacane (Barsanti, 1994, p. 90).
L’ultima fatica idraulica fu il problema del taglio d’Arno al meandro di Barbaricina presso Pisa (già studiato da Cornelio Meyer e Vincenzo Viviani). Lo scienziato nell’ottobre 1737 – ormai malato e impossibilitato a scrivere e disegnare – fece redigere ad un suo assistente la mappa dell’area e sostenne che la costosa canalizzazione non era del tutto necessaria perché non avrebbe rimosso i rischi di esondazione e quindi di impaludamento della bassa pianura, in quanto subito a monte restavano altre sinuosità ancora più pericolose. Proponeva, in alternativa, di realizzare robuste opere di difesa spondale e l’approfondimento dell’alveo (Barsanti, 1994, p. 90).
In definitiva, nonostante la grande mole di lavoro svolto, Grandi non ha legato il suo nome a nessuna grande operazione idraulica. Anche la produzione cartografica in Grandi non risulta copiosa e in parte non è stata rinvenuta. “Eppure possedeva precisione, capacità figurative e doti estetiche non indifferenti come si può notare soprattutto in alcuni bei prospetti di edifici (molini del Po, ponte di Vicinaia, molini e case coloniche dell’Anconella, ecc.) (Barsanti, 1994, p. 91).


Produzione scientifica

Opere a stampa: Informazione agli Ill.mi Sigg. Commissari ed Ufficiali dell’Ufficio dei Fossi della città di Pisa circa una nuova terminazione proposta sul fiume Era (1715), Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Firenze, Tartini e Franchi, 1723, vol. II, pp. 659-671;
Relazione prima all’Ill.mo Marchese F. Feroni circa il Padule di Fucecchio e i danni che cagiona a Bellavista (26 maggio 1715), Lucca, Venturini, 1715;
Relazione seconda sopra gli affari di Bellavista ed i lavori proposti nel Lago di Fucecchio dall’Ill.mo Marchese F. Feroni (1° febbraio 1717), Lucca, Venturini, 1718;
Relazione delle operazioni fatte circa il Padule di Fucecchio ad istanza degli interessati e riflessioni sopra le medesime (4 aprile 1718), Lucca, Venturini, 1718;
Relazione delle operazioni fatte circa il Padule di Fucecchio, in Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Firenze, Cambiagi, vol. VII, 1770, pp. 178-193;
Relazione sopra il Valdarno Inferiore (1735), in Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Firenze, Cambiagi, vol. IX, 1774, pp. 231-242.
Opere manoscritte: Relazione sul mulino sull’Era, e Risposta al parere di Eustachio Manfredi, 1714 (BUP, Manoscritti, 39, XV, cc. 30-34r e 115r-117v), Relazione, 1714 (BUP, Manoscritti, 39, X, cc. 72r-100r), Relazione, 1715 (BUP, Manoscritti, 39, XI, cc. 101r-106r);
Visita e parere sopra le acque del piano di Pisa, 30 luglio 1714 (BUP, Manoscritti, 38, n. 7, cc. 18r-22v);
Memoria sulla rotta cagionata dal fiume Evola, 19 settembre 1714 (BUP, Manoscritti, 38, n. 34, cc. 161r-161v), e Memoria con pianta, con Filippo Santini, dicembre 1723 (BUP, Manoscritti, 38, n. 33, cc. 158r-160r);
Relazione e visita sopra il ponte del fosso della Vicinaia con tre disegni del ponte, 1715 (BUP, Manoscritti, 39, XVII, cc. 176r-178r);
Relazione della visita delle colmate fatte col fiume Isola, 1715 (BUP, Manoscritti, 38, n. 5, cc. 14r-15r);
Lettera a S.A.R., 16 aprile 1715 (BUP, Manoscritti, 38, n. 24, cc. 104r-105r), Lettera a D. A. Cennini, 12 giugno 1715, e Relazione sulla Maremma (BUP, Manoscritti, 38, n. 24, cc. 66r-76v), e Relazione sugli affari di Grosseto, 29 giugno 1715 (BUP, Manoscritti, 38, n. 24, cc. 92r-93v);
Risposta di Guido Grandi all’Autore delle Specificazioni sopra le colmate, e Replica di Guido Grandi all’Aggiunta di Specificazioni, 1715-16 (BUP, Manoscritti, 40, XV e XVI, cc. 208r-213r e 214r-217bis, e XVII, cc. 218r-223v);
Memoria, 17 luglio 1718 (BUP, Manoscritti, 40, XI, cc. 151r-181v);
Memoria, 1718 (BUP, Manoscritti, 40, XIII, cc. 187r-203r);
Considerazioni sopra le torbe delle acque che scorrono per la parte di Stagno, 18 aprile 1716 (BUP, Manoscritti, 38, n. 2, cc. 6r-7v);
Osservazioni circa il progetto del diversivo del Reno nel Po; Risultato delle livellazioni; Diario della visita del Reno; Parere dell’introduzione del Reno nel Po; Riflessioni sopra le acque del Reno, Po e diversivo; Lettera; Livellazioni diverse; Atti della visita al Reno e Po dell’ottobre 1716; Sezioni e profili (BUP, Manoscritti, 37, I, cc. 3r-11v e 12r-v, III, cc. 13r-30r, IV, cc. 31r-32v, IX, cc. 79r-80v, XIV, cc. 87r-111v, XVIII, cc. 236r ss., 36, n. 3, cc. 6r-32v, n. 4, cc. 34r-56v);
Perizie e lettere varie sul diversivo del Reno (BUP, Manoscritti, 39, XVI, cc. 125r-131r);
Discorso sulla velocità delle acque e osservazioni di vari torrenti (BUP, Manoscritti, 39, XII, cc. 107r-111v);
Relazione sui fiumi di Ravenna (BUP, Manoscritti, 39, XVI, 28 e 29, cc. 167r-169v);
Nomina, 14 ottobre 1719 (BUP, Manoscritti, 36, n. 5, cc. 58r-v);
Diario della visita del 1718-19; Diario della visita del 1721; lettere e memorie varie (BUP, Manoscritti, 36, n. 6, cc. 60r-135v, n. 8, cc. 138r-153r, 37, docc. V, VI e VIII, cc. 45 ss.);
Relazione della visita sul Serchio; Relazione della visita per la causa Barga-Gallicano (BUP, Manoscritti, 38, n. 44, cc. 239r-241v, n. 50, cc. 268r-270r);
Relazione con mappa dell’Anconella, 1727 (BUP, Manoscritti, 42, XXI, cc. 214r-223r);
Relazione sul torrente Fraga, 1728 (BUP, Manoscritti, 38, nn. 25-32, cc. 109r-155r);
Memoria sopra l’acqua d’un mulino del Sig. Boscaini, 8 marzo 1728 (BUP, Manoscritti, 42, XX, cc. 212r-v);
Visita al porto di Livorno, con carte varie, 1728 (BUP, Manoscritti, 38, n. 12, cc. 56r-57v, nn. 52-76, cc. 278r-419r);
Diario della visita del Po del 1729; Riflessioni sulla quantità d’acqua da estrarsi dal Po; Continuazione del Diario; Opposizione dei Modenesi; Prospetto di livellazione del 22 giugno 1729, Replica a Giovanni Ceva (BUP, Manoscritti, 36, n. 35, cc. 301r-315v, n. 36, cc. 323r-324r, nn. 40 e 43, cc. 37r-330r e 333r-334v, n. 44, c. 335, n. 45, cc. 341r-342r, n. 37, cc. 317r-323v);
Scrittura prima alla R. Consulta in risposta al ristretto di ragioni del R. Capitolo Fiorentino nella causa della restituzione del fiume Pescia di Pescia nel suo letto antico; Scrittura seconda; Scrittura terza, con documenti di corredo (BUP, Manoscritti, 40, I, cc. 2r-18r, II, cc. 19r-31r, III, cc. 64r-80r);
Lettera circa la restituzione della Nievole nell’antico suo letto, luglio 1735; Scrittura sopra le colmate di Bellavista; Pregiudizi che ha ricevuto e riceve la Fattoria di Bellavista dalle colmate della Fattoria del Terzo (BUP, Manoscritti, 40, XXIII, cc. 336r-339r, XXIV-XXV, cc. 349r-354v e 355r-364r, XXX, cc. 380r-381r);
Visita alla Gusciana, 1735 (BUP, Manoscritti, 39, XXI, cc. 185r-317r);
Scritti, memorie e lettere intorno agli scoli delle acque stagnanti di Sinalunga (BUP, Manoscritti, 41, n. 24, cc. 113r-116v e 134r-135v, n. 25, cc. 117r-118r, n. 26, cc. 119r-122r, n. 33, cc. 1385-153v, n. 49, cc. 209r-235);
Richiesta di parere, aprile 1736; e Parere sulla chiesa di Pontasserchio, 26 maggio 1736 (BUP, Manoscritti, 39, XVI, 30, cc. 170r-v, e 31, cc. 171r-173r);
Scrittura agli Ill.mi Commissari et agli Uffiziali de’ Fossi circa il rimedio dovuto alla corrosione della destra sponda dell’Arno dirimpetto a Barbaricina, 9 ottobre 1737 (BUP, Manoscritti, 42, XX, cc. 50r-54v);

Produzione di cartografia manoscritta:
Tre disegni del ponte a due luci sul fosso della Vicinaia fra Pisa e San Giuliano, 1715 (BUP, Manoscritti, 39, XVII, cc. 176r-178r);
Pianta della pianura di Grosseto, aprile 1715 (BUP, Manoscritti, 38, n. 24, cc. 104r-105r);
Pianta della Fattoria di Bellavista, e altre dimostrazioni fatte nel Padule di Fucecchio dall’Interessati, con l’ingegnere Carlo Giuseppe de Segni, 1718 (edita in Relazione delle operazioni fatte circa il Padule di Fucecchio, in Raccolta d’autori italiani che trattano del moto delle acque, Firenze, Cambiagi, vol. VII, 1770, pp. 178-193);
Pianta della rotta del fiume Evola, con Filippo Santini, dicembre 1723 (BUP, Manoscritti, 38, n. 33, cc. 158r-160r);
Relazioni, 1715-23 (BUP, Manoscritti, 39, I-III, cc. 1r-4v, 5r-14v e 15r-24v);
Relazione e visita, 22 maggio 1716 (BUP, Manoscritti, 39, VIII, cc. 35r-37r);
Relazione con mappa dell’Anconella a Firenze, 1727 (BUP, Manoscritti, 42, XXI, cc. 214r-223r);

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Barsanti, 1988, pp. 33-73; Barsanti, 1994, pp. 69-95; Gabellini, 1987, p. 150; Di Pietro, 2005, p. 112; DBI, ad vocem; BUP, Mss.

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai

Gori, Michele

Michele Gori
N.
M.

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica:

Biografia:
Michele Gori di Silvestro, ingegnere granducale, attivo nella Magistratura fiorentina dei Capitani di Parte Guelfa, fu allievo di Vincenzo Viviani.
Nel 1692 fu chiamato ad intervenire sulla terminazione dell'alveo del Fiume Bisenzio, annoso problema che aveva visto impegnati per oltre un secolo i periti della Parte (si ricordano, nel 1586, Davide Fortini e Luigi Masini e nel 1631 Stefano Fantoni); la soluzione del Gori (illustrata in una pianta di cui non sappiamo la collocazione), benché approvata dal granduca, incontrò l'opposizione dei proprietari frontisti e venne annullata per essere ripresa, più o meno nella stessa forma, nel 1729 ad opera dei periti Sansone Pieri e del suo aiuto Pasquino Boncinelli, anche questa volta senza esito. L'intricata questione verrà risolta nel 1733 dal solito Sansone Pieri, questa volta con la collaborazione di Pier Antonio Tosi e Giovanni Maria Veraci.
Altri disegni sempre relativi al Bisenzio risalgono al 1705: questa volta l'oggetto erano due ponti sul corso d'acqua ed il mulino di S. Moro che il Gori rappresenta abilmente in pianta e in alzato (in ASF, Miscellanea di Piante, n. 751) (Piccardi, 2001, pp. 47-48, 93).
Nel 1705 collaborò attivamente con Felice Innocenzio Ramponi al progetto di canalizzazione dell'Arno nel Valdarno di Sopra.
All'inizio del XVIII secolo (le date estreme sono 1705-1729) collaborò alla raccolta dal titolo Disegni di più ponti dello Stato di S.A.R. e profili di fiumi e strade (in ASF, Miscellanea di Piante, nn. 751-751vII), comprendente ben 55 disegni (fra planimetrie e più spesso vedute di notevole interesse topografico ma anche pittorico e artistico) di ponti e 5 piante di percorsi stradali relativi all'incirca alle attuali province di Firenze e Arezzo, alla Romagna Granducale e alla Lunigiana fiorentina, territorio sul quale esercitava la sua competenza la Magistratura dei Capitani di Parte Guelfa; le tavole sono disegnate, oltre che dal Gori, da Dario Giuseppe Buonenove e da altri anonimi ingegneri della Parte
Nel 1709 il Gori illustrò, mediante una bella pianta riccamente decorata, il Giardino granducale di Boboli con sullo sfondo Palazzo Pitti, indicando nel dettaglio tutte le singole componenti: prati e boschetti, vasche e fontane, il teatro, la ghiacciaia, le uccellaie e la grande cava di pietraforte (in BNCF, Nuove Accessioni, VII, 159).
Nel 1697 eseguì una Pianta di Mercato Vecchio[di Firenze] per dimostrazione de luoghi che si appigionano dal Magistrato della Parte (in ASF, Miscellanea di Piante, n. 170).

Produzione scientifica:

Produzione di cartografia manoscritta:

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Rombai, Toccafondi e Vivoli, 1987, pp. 141 e 456-472; Tartaro, 1989, p. 18; Rombai e Torchia, 1994, p. 192; Piccardi, 2001, pp. 47-48 e 93; ASF, Miscellanea di Piante; BNCF, Nuove Accessioni.

Rimandi ad altre schede: G.

Autore della scheda:

Giuli, Giuseppe

Giuseppe Giuli
N. 1778
M. 1851

Relazioni di parentela:

Ente/istituzione di appartenenza:
Qualifica: Medico e naturalista (botanico, chimico e studioso di storia naturale) senese

Biografia:

Produzione scientifica:
Dal 1822 fu docente di Scienze Naturali e Botanica nello Studio di Siena ove diresse anche l’Orto Botanico.
Fu autore di svariati saggi sulle acque minerali toscane e su altri argomenti di varia cultura. Nella “Continuazione Atti dell’Accademia dei Georgofili”, pubblicò due lavori: Sulla distillazione del sugo fermentato dei frutti del Sambucus Ebulus, vol. VIII (1807), pp. 388-407; e Memoria sull’istituzione del Monte dei Paschi di Siena, vol. IV (1818), pp. 202-230.
Fu anche direttore dei Bagni di Montecatini.
Al 1835 risale il suo Progetto [a stampa] d’una carta geognostica ed orictonostica della Toscana per servire alla tecnologia, o al modo di rendere utili i minerali del Granducato alle arti, ed alle manifatture che venne ultimata nel 1840 e pubblicata nel 1843 (insieme ad una memoria interpretativa o Saggio statistico di mineralogia utile della Toscana per servire agli ingegneri, ai possidenti, ai medici, agli artisti e manifattori ed ai commercianti), alla scala di 1:200.000, con utilizzazione della Carta geometrica della Toscana di Giovanni Inghirami del 1831. Con velature cromatiche, si raffigurano i vari tipi di terreni e i diversi giacimenti minerali. Nonostante i tanti errori di classificazione di rocce e minerali (dovuti alle sue fonti, rispettivamente Abram Gottlob Werner e Francois-Sulplice Beudant) (Vitali, 1996, p. 312), questa rappresentazione tematica è particolarmente apprezzabile in quanto costituisce in assoluto una delle prime carte mineralogico-geologiche italiane.


Progetto d’una carta geognostica ed orictonostica della Toscana per servire alla tecnologia, o al modo di rendere utili i minerali del Granducato alle arti, ed alle manifatture, Siena, Onorato Porri, 1835;
Saggio statistico di mineralogia utile della Toscana per servire agli ingegneri, ai possidenti, ai medici, agli artisti e manifattori ed ai commercianti, Bologna, Nuovi Annali delle Scienze Naturali di Bologna, 1843.

Produzione di cartografia manoscritta:
Carta geografica di mineralogia utile della Toscana, Siena, Bindi, Cresti e Compagni, 1843 (e Gran carta geografica mineralogica della Toscana del Cav. Giuseppe Giuli, 1840-43, in otto pezzi, ASF, Piante del Ministero delle Finanze, nn. 178-185).

Produzione di cartografia a stampa:

Fonti d’archivio:

Bibliografia:
Francovich e Rombai, 1990, p. 699: Rombai e Vivoli, 1996, p. 161; Vitali, 1996, p. 312; ASF, Piante del Ministero delle Finanze

Rimandi ad altre schede:

Autore della scheda: Leonardo Rombai